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La terribile storia di Abu Zubaydah: detenuto a Guantanamo e privato della sua umanità

Abu Zubaydah è il nome del detenuto saudita catturato in Pakistan nel 2002, divenuto tristemente noto per le torture subite nel carcere di Guantanamo nel 2007.

Carcere di massima sicurezza di Guantanamo Bay 2007: nella base americana in terra cubana c’è una stanza nascosta agli occhi del mondo, dei media, dell’umanità. Lì privato dei suoi diritti e di ogni forma carità è detenuto Abu Zubaydahda 9 anni. Quasi due lustri di torture e supplizi per un sospetto: quello di appartenere ad Al Qaeda. L’uomo ha affidato lo strazio dei suoi racconti alle colonne del New York Times: è la prima testimonianza in prima persona di una vittima di tortura a Guantanamo, resa pubblica dal governo assieme ad altri documenti «top secret» dell’agenzia di intelligence americana, su richiesta dell’American Civil Liberties Union.

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«Avevo i ceppi ovunque, anche alla testa, non potevo muovermi. Poi mi hanno messo un panno in bocca e hanno cominciato a buttare acqua»: Abu Zubaydah racconta così la pratica di tortura del «waterboarding», utilizzata dalla CIA, per simulare l’effetto del soffocamento generando il panico nel soggetto che è completamente inerme, incapace di muoversi e che viene portato ad un passo dalla morte, prima di essere rianimato e subire ancora la stessa tortura. Sottoposto al «waterboarding» 83 volte in un mese, finché non smetteva di respirare e i medici lo riportavano in sé. «All’ultimo momento, prima che morissi, si fermavano». Io gli dicevo: «Se volete uccidermi, fatelo». Invece, aspettavano che riprendesse fiato e ricominciavano.

Tenuto in piedi per ore legato e nudo era costretto a fare i suoi bisogni in un secchio davanti ad altre persone, come un animale. Veniva svilito e deriso per condurlo al punto di rottura, per condurlo sulla strada della follia e dell’annientamento psicologico. Ogni volta che perdeva i sensi, sapeva, che quando avrebbe riaperto gli occhi sarebbe ricominciato tutto da capo, un incubo da cui non si sarebbe mai svegliato. Alla sua drammatica testimonianza, si sono aggiunte le rivelazioni di documenti «declassificati» -pubblicati dal Guardian- : “Il personale medico della Cia dava istruzioni su come torturare i detenuti utilizzando la deprivazione del sonno, il digiuno parziale, il «waterboarding» e le «scatole di confinamento», bare in cui a malapena poteva entrare il corpo di una persona”. Si tratta di vere e proprie «linee guida per il sostegno medico e psicologico» alla tortura. Abu è stato tenuto per 11 giorni in una scatola grande poco più del suo corpo e altre 29 ore in una scatola ancor più piccola, 76x76x53 cm e quando ha deciso di smettere di mangiare per lasciarsi morire e porre fine al suo calvario è stato alimentato per via rettale. Abu oggi racconta la sua storia, il suo sguardo si è spento. Abu oggi denuncia gli abusi subiti. Abu oggi è ancora detenuto a Guantanamo.

Photo Credits: Facebook

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