La coppa America del centenario, quella per la prima volta negli Stati Uniti, verrà ricordata come l’ennesima beffa per Messi e compagni.
Doveva essere la grande rivincita per l’Argentina, dopo un mondiale perso malamente ai supplementari nel 2014 e una coppa America persa in Cile ai rigori contro i padroni di casa nel 2015, doveva essere, sopratutto per Messi, la consacrazione con la propria nazionale con cui non è ancora riuscito a vincere nulla di importante, lui che a livello di club col Barcelona ha vinto tutti i titoli possibili, ma i ragazzi della “roja” negli anni hanno sempre dimostrato di essere determinati fino ad essere “cattivi”, gli avversari peggiori da affrontare in una finale.
Per festeggiare il Centenario della Conmebol, acronimo di Confederación sudamericana de Fútbol (in italiano Confederazione Sudamericana del Calcio) le cose sono state organizzate in grande, 16 squadre partecipanti, con la prima volta di squadre come Haiti più pittoresche che tecniche, con 10 stadi negli Stati Uniti pronti a ricevere migliaia di tifosi ( si parla di oltre 45000 presenze a partita), una nuova coppa dal particolare design da consegnare ai vincitori; forse la contemporaneità con i campionati Europei di Francia un pochino oscura l’evento ma i sudamericani sono dei tifosi di “pancia” e generosi e di conseguenza il seguito mondiale garantito. Inizio con risultati clamorosi e grandi conferme: il Brasile, ormai malato cronico del calcio mondiale, che non passa il turno di qualificazione, così come pure l’Uruguay orfano di Suarez, mentre l’Argentina batte all’esordio il Cile prendendosi temporaneamente la rivincita e dimostrando, seppur senza Messi nelle prime partite, di essere “la squadra” da battere, gli USA che spinti dal tifosi di casa, regalano prestazioni forse al di sopra dei propri mezzi tecnici. In effetti l’Albiceleste sembra in tour, negli stadi si acclama ad ogni occasione il nome di Lionel Messi, il simbolo e l’uomo copertina, tutti aspettano che finalmente riesca a segnare la rete che lo farebbe diventare, superando Gabriel Batistuta, il miglior cannoniere della storia argentina; cosa che accade con puntualità e con modalità da film, entra contro Panama ed in meno di 30 minuti realizza una tripletta che manda tutto lo stadio in visibilio. Tutto prosegue secondo copione fino alla finale, tutto è apparecchiato per vedere, dopo 23 anni di astinenza, la nazionale Argentina sollevare un trofeo, proprio contro il Cile che lo scorso anno l’aveva “avvelenata” ai rigori; dopo pochi minuti la roja resta in 10 per un’espulsione e l’Argentina sbaglia con Higuain un’occasione pazzesca, sinistramente simile a quella sbagliata nella finale del 2014; qualcosa cambia, l’arbitro espelle un giocatore argentino e le squadre, ora in parità, lottano su ogni pallone con ferocia e agonismo da finale, ma la gara non si sblocca e alla fine si arriva ancora ai rigori.
Cominciano i cileni che sbagliano con Vidal il primo rigore e Lionel si avvicina al dischetto, con tutto il peso che solo i grandi campioni portano sempre sule loro spalle, un passo e… tiro alle stelle, pubblico incredulo, compagni scioccati e finale, a questo punto, scontato! Claudio Bravo blocca il rigore di Biglia e il Cile batte nel back to back (dopotutto siamo negli States) i ragazzi argentini. Ancora una volta le lacrime di Messi, consolato e abbracciato dall’amico Claudio Bravo, compagno di club, sono l’ultima immagine di un evento appassionante che dimostra che non bastano i titoli e le vittorie a parole, per arrivare in fondo servono le “huevos”.
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