La verità è il punto di partenza per l’elaborazione di un lutto. 24 anni dopo la morte di Borsellino, lo Stato non ha ancora trovato la verità ma, nonostante ciò, a prendere l’abbaglio più grande era stata la stampa francese.
Partiamo da ciò che sappiamo: il 1987 è un anno molto importante per l’Italia perché grazie alla testimonianza di Tommaso Buscetta, lo stato riesce a ricostruire per la prima volta le dinamiche e la struttura della più grande organizzazione criminale presente sul territorio. Quasi 2700 anni di reclusione vennero inflitti, causando un danno notevole alla mafia che contava sui suoi appoggi in politica per riuscire a salvarsi da quella mattanza annunciata. Non tutti finirono in carcere: molti riuscirono a scampare grazie alla latitanza, altri trovarono la libertà grazie a numerosi cavilli burocratici. La mafia, però, è fiaccata, stremata, stanca. Aspetta nell’ombra e miete vendetta. il 12 marzo 1992 viene assassinato Salvatore Lima, eurodeputato, uno dei principali referenti politici della mafia ed affiliato fin dai primi anni della sua attività politica. Viene punito per non aver difeso, la “Piovra“, per non essere riuscito a sfruttare le sue doti di mediatore tra gli organismi statali e quelli della mafia. La stampa francese riporta la notizia sui principali quotidiani nazionali, raccontando una storia molto diversa: “Salvatore Lima, l’uomo ucciso mentre combatteva la sua battaglia contro la mafia”, viene descritto come un eroe. Lo sgomento è collettivo: Lima era il loro referente. In Italia lo sapevano tutti.
Il 18 maggio una nuova tragedia si consuma: Giovanni Falcone subisce un attacco, viene trasportato d’urgenza in ospedale e muore tra le braccia dell’amico fraterno Paolo. In Francia non capiscono cosa stia succedendo, attribuiscono tutte le colpe alla natura degli italiani: quegli stranieri che hanno tanta reticenza a seguire le regole, le leggi, non ci riescono, “non è nella loro natura”. Una xenofobia tutta europea, mentre da questa parte delle Alpi iniziano a venire fuori risvolti inquietanti: Falcone stava lavorando alla stesura di una lista di personalità statali affiliate alla mafia. Paolo si prepara, sa che ora tocca a lui. Chi lo vede in quei drammatici mesi dopo la Strage di Capaci lo descrive provato, con il volto scavato, spaventato (e coraggioso) dal futuro nero che lo attende.
il 19 luglio in Via Mariano D’Amelio a Palermo di fronte all’abitazione della madre, da cui era visita un auto esplode e lo travolge. Nessuna possibilità di salvezza, nessuno spiraglio di luce. Iniziano le indagini e si scopre che l’agendina del magistrato è scomparsa, che lui aveva chiesto la rimozione di un’auto sospetta, quella che poi è esplosa. Il coinvolgimento dello stato è sempre più evidente, l’ansia di una verità che non si troverà mai, cresce. Intanto oltralpe i quotidiani francesi parlano di un attentato mafioso che non ha nulla a che spartire con le autorità, si parla di un popolo, quello italiano, che sta protestando perché non ha ricevuto il benessere promesso dalla classe politica degli anni ’80. È una protesta collettiva che arriva da tutta Europa, una crisi del socialismo globale che in Italia si esprime non solo con un voto di disapprovazione (il 1992 è l’anno dell’exploit della Lega Nord) ma anche con l’attribuzione di ogni défaillance a livello di sicurezza allo stato. 24 anni sono passati, noi siamo stati Charlie Hebdo, abbiamo pregato per Parigi, per Nizza, perché la morte non ha bandiera, per loro, invece siamo rimasti “un gruppo di bambini capricciosi”.
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