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16 anni di domande: ecco cos’è successo a Simonetta Cesaroni

Sono passati 16 anni e al delitto di Via Poma non è ancora stato trovato un colpevole: la famiglia Cesaroni è uno dei nuclei italiani a non conoscere ancora il volto dell’assassino e le dinamiche dell’omicidio della figlia Simonetta.

7 agosto 1990, via Poma n.2, Roma: una ragazza, Simonetta Cesaroni, si trova nello stabile per lavorare in ufficio. È sola. Dalle 16.00 alle 20.00 i portieri si riuniscono nel cortile a parlare e mangiare cocomero e non vedono nessuno varcare l’ingresso. Un uomo pericoloso, però, si aggira nello stabile, suona all’ufficio e assalisce Simonetta. Lei viene immobilizzata a terra, qualcuno è in ginocchio sopra di lei e le preme i fianchi con le ginocchia con tanta forza che le lascerà degli ematomi. La colpisce con un oggetto, oppure le sbatte la testa violentemente a terra, ad ogni modo per via di questo trauma cranico Simonetta sviene. A questo punto l’assassino prende un tagliacarte e inizia a pugnalarla a ripetizione. Saranno 29 alla fine i colpi inferti, di circa 11 centimetri ciascuno di profondità. Sei sono i colpi inferti al viso, all’altezza del sopracciglio destro, nell’occhio e poi nell’occhio sinistro. Otto lungo tutto il corpo, sul seno e sul ventre. Quattordici dal basso ventre al pube, ai lati dei genitali, sopra e sotto. Alcuni abiti di Simonetta, fuseaux sportivi blu, la giacca e gli slip vengono portati via assieme a molti effetti personali che non saranno mai ritrovati. Lei viene lasciata nuda, con il reggiseno allacciato, ma calato verso il basso, con i seni scoperti, il top appoggiato sul ventre a coprire le ferite più gravi, quelle mortali. Porta addosso ancora i calzini bianchi corti, mentre le scarpe da ginnastica sono riposte ordinatamente vicino alla porta. Le chiavi dell’ufficio, che aveva nella borsa, vengono portate via.

Per anni si indaga sull’assassino senza mai arrivare ad una conclusione. I sospettati sono molti ma ad arrivare in tribunale è uno solo: Raniero Busco, ex fidanzato della vittima. Il 26 gennaio 2011, al termine del processo di primo grado, Raniero Busco viene riconosciuto colpevole dell’omicidio di Simonetta Cesaroni e condannato a 24 anni di reclusione. Ricorre in appello dove viene assolto per insufficienza di prove a suo carico.

Vi è una “mancanza di prova che fa cadere la certezza della presenza dell’imputato sul luogo del delitto al momento del delitto”, anche se il suo dna era stato ritrovato sul reggiseno della vittima. Il morso sul seno di Simonetta attribuito a Busco è stato in primo grado considerato il segno che l’uomo fosse sulla scena del delitto e il perno della condanna. La Cassazione rileverà, più tardi, che la tesi del morso era una delle ipotesi – non l’unica. Infine la Suprema Corte ricorda che di questo non provato morso manca del tutto la traccia dei segni dell’arcata dentale “opponente” e la circostanza rende “evidente il pericolo di giungere a conclusioni abusive”. Busco viene scagionato e dopo 16 anni non si conosce ancora il nome del suo assassino, in una vicenda che presenta ancora molti lati oscuri.

Via Poma 1

Photo Credits: Facebook

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