C’è chi i millennials li giudica “mammoni”. E chi li difende ricordando che lottano ogni giorno fra lavoro precario, voucher e affitti alti. Di fatto il 67% dei ragazzi italiani fino a 34 anni resta a casa e non si fa una vita indipendente dai genitori.

Una generazione spesso al centro di analisi, cifre e polemiche. Sono i millennials italiani, ovvero i giovani fra i 18 e i 34 anni. Oltre due terzi di essi vivono a casa con i genitori, secondo quanto ha rilevato l’agenzia statistica europea Eurostat. Una percentuale, quella italiana, pari al 67,3% dei millennials del Bel Paese che nel 2015 è cresciuta rispetto al 2014. E che si conferma in cima alla classifica dei Paesi dell’Unione europea. Ciò significa, in dettaglio, che l’Italia è superata per percentuale di “mammoni” solo dalla Slovacchia (69,6%) e seguita da Malta (66,1%).

Fra il dato dei giovani italiani presunti mammoni e il medesimo dato medio a livello di Unione europea, ci sono quasi 20 punti di differenza. La media dei millennials del Vecchio continente che restano a casa da babbo e mamma fino a 34 anni è infatti del 47,9%. In Italia il divario cresce ancora di più nella sottofascia tra i 25 e i 34 anni, quella nella quale si dovrebbe aver finito di studiare per cominciare a lavorare. In questa “categoria” i giovani a casa con mamma passano dal 48,4% del 2014 al 50,6% a fronte del 28,7% in Ue e del 3,7% in Danimarca. Oltre quattro ragazzi su dieci che vivono con mamma lavorano comunque a tempo pieno.
La percentuale dei giovani adulti che vivono a casa con i genitori è cresciuta di quasi due punti tra il 2014 e il 2015 passando dal 65,4% al 67,3% mentre in Ue è scesa dal 48,1% al 47,9%.

Quali sono le reali motivazioni che impediscono a due terzi dei ragazzi italiani di lasciare la casa in cui sono cresciuti? L’analisi è complessa e sarebbe sbagliato ridurre tutto alla faciloneria dell’etichetta “mammoni”.  Di sicuro, tra le motivazioni non manca il fatto che andare a vivere da soli o, ancor più, cercare di creare una famiglia in Italia è ormai molto costoso: tra affitto, bollette e spese varie. Il precariato domina i rapporti di lavoro. E sempre più spesso i ragazzi sono pagati con i voucher. Se non addirittura in alcuni casi davvero drammatici, con buoni pasto.