L’ennesima mancata Palma d’oro a Pedro Almodovar (anche stavolta il favorito della vigilia). La vittoria di un film che viene dall’Oriente, proprio come nel 2018. L’assenza di premi per l’Italia. Sono queste le cartoline che ci arrivano dalla cerimonia di chiusura della settantaduesima edizione del Festival di Cannes, in cui a trionfare aggiudicandosi il riconoscimento più importante è stato “Parasite” diretto dal regista sudcoreano Bong Joon Ho. Ha il sapore dell’Oriente anche la Palma d’oro 2019 (l’anno scorso il premio fu vinto da “Un affare di famiglia” del maestro giapponese Kore-eda Hirokazu), assegnata a una pellicola forte, attuale, che parla di precarietà e lotta di classe. Del tutto unanime la decisione presa dalla giuria presieduta dal regista premio Oscar Alejandro Gonzalez Inarritu (tra cui i nove membri c’erano anche la nostra Alice Rohrwacher, l’attrice Elle Fanning e il regista greco Yorgos Lanthimos), che prima di annunciare il vincitore ha anche dichiarato sul palco del Grand Theatre: “L’edizione di quest’anno è stata straordinaria, e ha visto la presenza di grandi maestri conosciuti, autori affermati ma anche tante nuove voci. Molti di essi hanno mescolato i generi, fatto cinema in modo visionario e creativo, ma ciò che li ha accomunati è stata la capacità di parlare di ciò che sta accadendo nel mondo”.

Il vincitore “Parasite” è un film che parla di differenze sociali e similitudini umane, distanze socioeconomiche e affinità psicologiche, e lo fa mettendo in scena due famiglie molto diverse tra loro. Una è costituita da persone che si arrabattano e sbarcano il lunario usando stratagemmi e mezzucci (fanno lavoretti precari, si agganciano a wi-fi gratuiti), l’altra è ricca e benestante. Ebbene, la prima riuscirà a poco a poco a intromettersi nella vita dell’altra, in un turbinio di menzogne che gli si ritorceranno poi contro. “Sono molto onorato di ricevere questo riconoscimento perché sono sempre stato molto ispirato dal cinema francese: vorrei ringraziare in particolare due maestri che mi hanno dato tanto, cioè Claude Chabrol e Georges Cluzot. L’avventura di questo film è stata straordinaria e voglio ringraziare tutti gli artisti che mi hanno sostenuto“. “Parasite” è una pellicola che mescola dramma e commedia, che era tra i favoriti per la vittoria (aveva ricevuto recensioni molto positive dai critici di tutto il mondo) e che tocca un tema (quello della lotta di classe) che il regista sudcoreano aveva già affrontato in “Okja”, presentato proprio a Cannes nel 2017, quando i film prodotti da Netflix erano ancora ammessi alla kermesse.

Il film “Parasite” del sudcoreano Bong Joon Ho ha vinto la Palma d’Oro del Festival di Cannes 2019

Guardando il Palmarès, tutti i film premiati trattano il tema della giustizia e ingiustizia sociale” ha commentato Inarritu durante la cerimonia. “Il cinema cerca di elevare la coscienza del mondo, e l’ambizione dell’arte si riflette nel sentire attraverso le frustrazioni e gli incubi del nostro tempo quale può essere il futuro, e tutto questo appartiene al linguaggio del cinema“.  Ed ecco che il Gran Premio della Giuria è andato a un dramma che parla di migranti e di chi rimane in patria ad attenderli, il film “Atlantiques” della regista di origine senegalese Mati Diop (prima africana in gara a Cannes), che ha ricevuto il premio dalle mani di Sylvester Stallone. “Sono profondamente onorata e felice, mi sembra tutto così folle stasera!” ha dichiarato la regista, che ha chiesto di essere raggiunta sul palco dalla sua troupe. “Penso a tutti coloro che mi hanno dato fiducia nella realizzazione di quest’opera, dall’inizio alla fine. E’ stata un’avventura molto dura, ero stanchissima alla fine del film, che dedico a Dakar e al Senegal: sono qui con tutti voi ma sono anche in Senegal in questo momento. Voglio ringraziare moltissimo i miei attori, che sono il cuore del mio lavoro”. La storia parla di boat-people, attraverso la vicenda di Ada, una giovane donna di Dakar innamorata di Suleiman, operaio senza lavoro e senza salario. Un giorno l’uomo scompare: tutti lo credono morto ma Ada non rinuncia a sperare che si sia imbarcato per la Spagna, su una delle tante barche dirette verso un futuro migliore. E lo aspetta, nella città del Senegal.

Il film “Atlantiques” di Mati Diop ha vinto il Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes

Nella categoria miglior interpretazione maschile, il premio è stato assegnato ad Antonio Banderas, splendido protagonista del film di Pedro Almodovar “Dolor Y Gloria”. Delusione per il cineasta iberico, che ancora una volta non è riuscito ad accaparrarsi la tanto ambita Palm d’oro e che nei pronostici era sicuro vincitore; grande soddisfazione invece per l’attore di Malaga, la cui intensa e toccante interpretazione ha messo d’accordo i membri della giuria. “Questo premio è in nome del personaggio che interpreto Salvador Mallo, che (non è un mistero per nessuno) è Pedro Almodóvar” ha dichiarato Banderas, molto emozionato, ritirando il premio. “Ho incontrato Pedro quarant’anni fa, lo amo, lo rispetto, è il mio mentore, mi ha dato tutto, e questo riconoscimento glielo devo. Abbiamo sofferto, c’è dolore dietro il lavoro di ogni artista, poi ci sono sere di gloria come queste. Il meglio deve ancora arrivare”. La storia narrata è quella appunto di Salvador Mallo (nome in cui si coglie anche l’anagramma del cineasta), un regista ormai giunto a fine carriera, terrorizzato dall’idea di essere malato, attanagliato dalla nostalgia e dal ricordo del passato. Nel corso dei 115 minuti della pellicola, il protagonista ripercorre i momenti salienti della sua vita, il rapporto stretto con la madre (Penelope Cruz) sin da quando era bambino, il trasferimento a Paterna insieme alla famiglia, il primo amore a Madrid, il presente, e la riflessione su come il cinema, la creatività, la scrittura gli abbiano salvato la vita. Gioia e gloria per Banderas, un po’ di delusione per la mancata vittoria del premio da parte di Pierfrancesco Favino, considerato uno dei papabili della vigilia grazie alla sua incarnazione di Tommaso Buscetta nel film di Marco Bellocchio “Il traditore” (unico italiano in gara).

Antonio Banderas miglior attore al Festival di Cannes per “Dolor Y Gloria” di Pedro Almodovar

A Michael Moore è stato affidato il compito di annunciare il premio della Giuria, andato ex aequo al francese “Les Misérables” e al brasiliano “Bacurau”. “L’arte, nei periodi bui e difficili, aiuta a non perdere la speranza” aveva dichiarato il regista di “Bowling for Columbine” e“Farheneit 9/11”. E di disperazione parlano entrambi i film. “Les Misérables”, potente opera prima del ventinovenne regista Ladj Ly, parla di bande delle banlieu parigine, cioè gitani, fratelli musulmani, prostitute nigeriane, protettori, ladri e poliziotti. Niente ricchi, solo persone che si arrangiano, ultimi che vivono nel quartiere di Montfermeil, proprio dove era ambientato gran parte del romanzo di Victor Hugo. “Dedico il mio film a tutti i miserabili di Francia” ha commentato il regista ritirando il premio. “Non esistono erbe cattive o uomini cattivi, esistono solo cattivi agricoltori“.
“Bacurau”, diretto da Juliano Dornelles e Kleber Mendonça Filho, è invece ambientato in un futuro prossimo in uno sperduto villaggio dell’entroterra brasiliano chiamato appunto Bacurau. La comunità è in lutto per la morte della matriarca Carmelita, spentasi a 94 anni, e pochi giorni dopo il triste evento accade qualcosa di strano: gli abitanti si accorgono che il loro villaggio è scomparso da ogni mappa. Un film forte, capace di mettere insieme tanti generi e di assumere toni molto diversi, ambientato in un futuro distopico. “Bacurau è una sorta di western, è stato realizzato da tantissime persone provenienti da ogni parte del Brasile, che hanno lavorato duro per portare a termine questo film. Dedico questo premio a tutti i lavoratori del Brasile, a coloro che lavorano nel settore della scienza, della cultura e dell’educazione”.

“Bacurau” e “Le Misérables”, premio della Giuria ex aequo al Festival di Cannes

Il premio per la miglior regia è andato a due vecchie conoscenze del Festival di Cannes, due fratelli che di Palme d’Oro ne hanno già vinte due (per “Rosetta” nel 1999 e per “L’Enfant, una storia d’amore” nel 2005): Jean-Pierre e Luc Dardenne hanno vinto con il loro film “Le jeune Ahmed”, in cui ci portano attraverso il percorso di radicalizzazione di un tredicenne islamico, che dopo aver incontrato un Imam che gli ha fatto il lavaggio del cervello, e seguendo l’esempio del cugino kamikaze, uccide la sua insegnante perché considerata apostata. Un altro film che affronta temi attualissimi, un altro riconoscimento per i Dardenne che hanno commentato: “I populismi crescono, questo film è un’apertura, un appello alla diversità e alla vita, che è poi la vocazione del cinema.

Jean-Pierre e Luc Dardenne hanno vinto il premio per la miglior regia al Festival di Cannes, per il film “Le jeune Ahmed”

Per quanto riguarda la migliore interpretazione femminile, il premio è andato all’attrice inglese Emily Beecham, intensa interprete del film “Little Joe” della regista austriaca Jessica Hausner. Il titolo prende il nome da una pianta che ha un bellissimo fiore rosso, ed è stata creata da Alice (Beecham) esperta di genetica vegetale impiegata in un’azienda che si occupa dello sviluppo di nuove specie. La pianta (il cui nome deriva da quello del figlio di Alice) dona felicità a chi la mangia, ma quando cresce alla donna sorgono forti dubbi sulla sua creazione e su quel bellissimo fiore, che forse non è così innocuo. Una storia vera, interpretata con maestria dalla sua interprete, che sul palco ha ringraziato brevemente la regista e i suoi produttori.

L’inglese Emily Beecham miglior attrice per il film “Little Joe” al Festival di Cannes

Gael Garcia Bernal ha consegnato il premio per la miglior sceneggiatura, attribuito a Céline Sciamma per “Portrait de la jeune fille en feu”, storia dell’amore proibito tra due donne, ambientato nella Francia del ‘700: alla pittrice Marianne viene commissionato il ritratto della giovane Héloïse affinché riesca a suscitare l’interesse di pretendenti per un futuro matrimonio, ma presto le due donne si innamorano l’una dell’altra. “Fare questo film è stata l’esperienza più bella della mia vita di cineasta” ha dichiarato Sciamma “E’ stato un lavoro di collaborazione, realizzato grazie allo sguardo delle tante donne che vi hanno lavorato. che ha voluto ricordare lo sguardo di tutte le donne che hanno lavorato al film”. Nella pellicola tutta al femminile c’è anche la nostra Valeria Golino, che interpreta la madre della fanciulla a fuoco. Il film ha vinto anche la Palma Queer, per la prima volta assegnato a una regista donna.

Céline Sciamma, miglior sceneggiatura per il film “Portrait de la jeune fille en feu”

Insomma, questa edizione del Festival di Cannes ha visto il trionfo di cineasti innovativi, capaci di trattare tematiche contemporanee mescolando generi e toni, riuscendo a stupire e a raccontare. Tanta Europa sul podio, pochi maestri affermati (snobbati Loach, Bellocchio, Malick, Almodovar) e la solita ventata di novità che il festival di Cannes riesce sempre a dare. Perchè si sa, la Croisette è sempre lo specchio del meglio che il cinema produce in un determinato periodo, ed è da lì che partono le nuove tendenze della Settima Arte.