Che poi, in un periodo in cui avere delle certezze è una rarità, (ri)trovarne alcune è bello, ti rallegra. Senza volerlo ti accorgi di avere quel sorrisetto soddisfatto e felice stampato in faccia, e quella sensazione ti fa stare bene. Come ti fa star bene ascoltare l’ultimo disco dei Tre Allegri Ragazzi Morti, “Sindacato dei sogni”, e pensare immediatamente: “Loro non tradiscono mai, e non sbagliano un colpo!” Già, perché anche l’ottavo album in studio del trio mascherato pordenonese è una garanzia, un prodotto in linea con il percorso musicale della band che festeggia quest’anno 25 anni di carriera, e che rassicura per la sua coerenza unita a un’irrefrenabile voglia di offrire comunque sempre qualcosa di nuovo e diverso. Dieci brani che rivelano una certa voglia di ritorno alle origini, con sonorità più garage e rock anni Settanta, intrise di testi che ancora una volta pescano nell’immaginario tipico dei TARM (con gli ossimori, l’ironia ma anche l’osservazione della realtà e della provincia che da sempre li caratterizzano). Nel loro “Sindacato dei sogni” il leader Davide Toffolo (instancabile raccontatore), il batterista Luca Masseroni e il bassista Enrico Molteni (abili creatore di una sezione ritmica forte e precisa) partono a bomba con “Caramella” e quel martellante “io sono te” che entra subito in testa. Arriva poi “Calamita”, con il suo ritmo ipnotico e il testo con riferimenti sociali alla loro Pordenone, e si passa a “C’era un ragazzo che come me non assomigliava a nessuno”, che colpisce per l’innesto del potente sax del friulano Francesco Bearzatti. “AAA cercasi” è una filastrocca sognante che parte con la fisarmonica a bocca di Matt Bordin (tra l’altro collaboratore alla produzione del disco), mentre “Accovacciata gigante” ha un sound a metà tra il folk e lo psichedelico. “Bengala” (uno dei tre singoli del disco) è un pezzo in puro stile Tre Allegri Ragazzi Morti, di quelli che ti entrano in testa e non riesci a smettere di canticchiare, mentre “Mi capirai (solo da morto)” ha l’ironia e l’amore per il paradosso tipici della band, un po’ come la successiva “Difendere i morti dalle persone”. “Non ci provare” è una ballatona contro le paure che bloccano le relazioni umane, e la conclusiva “Una ceramica italiana persa in California” (della durata di 12 minuti) al primo ascolto sembra un brano quasi prog uscito da un film con colonna sonora di Wendy Carlos.
Dopo il lancio di “Sindacato dei sogni”, i Tre Allegri Ragazzi Morti affrontano ora una lunga tournée estiva, partita ieri sera da Ortigia, che li porterà in giro per l’Italia fino al 12 settembre. Del disco, del tour, di musica alternativa e festival abbiamo parlato con il bassista Enrico Molteni, che con grazia e gentilezza si è sottoposto a un’interessante intervista/interrogatorio.

E’ partito il tour estivo dei Tre Allegri Ragazzi Morti, in giro per l’Italia fino al 12 settembre

VELVET: Il disco è uscito da ormai cinque mesi, ne avete parlato in svariate interviste, e sono molti i giornalisti che hanno scritto le loro critiche e i loro giudizi in merito. C’è una recensione, tra quelle che sono state fatte, che secondo te non risponde a verità, è sbagliata o non ti trova d’accordo? E invece quella che più ti ha sorpreso?
ENRICO MOLTENI: Se devo essere sincero non leggo più le recensioni. Quando abbiamo iniziato a suonare ero molto più attento, me la prendevo se le cose non andavano come dicevo io, o al contrario ero contento quando ricevevo commenti positivi sul mio lavoro. Da un po’ di tempo però, sarà forse che sono diventato grande e ho fatto più esperienza, i commenti positivi o negativi non mi spostano minimamente dalla mia posizione! Cerco di fare il mio lavoro al meglio, so da solo quali sono i pregi e i difetti di quello che facciamo; se poi qualcuno si sbilancia in commenti negativi, penso “Boh, forse non ha capito”, così come quando arrivano giudizi super positivi, ne sono contento ma ciò non cambia molto la mia posizione.

VELVET: E allora, giudica te stesso e il lavoro con i tuoi colleghi! Qual è la soddisfazione più grande nell’aver fatto questo disco? C’è qualcosa che avresti fatto diversamente, ragionando a bocce ferme adesso che l’album è uscito?
EM: La cosa che mi dà più soddisfazione è il fatto che abbiamo registrato questo disco come si faceva una volta, in presa diretta: è un elemento secondo me molto positivo, perché più vado avanti con gli anni più mi rendo conto che la maggior parte dei dischi rock che ho amato sono stati fatti così. Questa modalità mantiene più vivo il musicista dietro lo strumento, e ascoltando la musica registrata in questo modo sembra quasi di respirare l’aria del momento in cui è stata prodotta. Negli ultimi anni è diventato sempre più facile fare “copia e incolla” con i computer, rendere anche il rock un po’ più plasticoso: ammetto che anche noi a volte ci siamo lasciati trasportare dalla tecnologia, ma il fatto che “Sindacato dei sogni” sia live e senza editing è qualcosa che mi piace parecchio. Ciò che magari apprezzo un po’ meno di questo lavoro, è il fatto che forse mancano una o due ulteriori canzoni per far quadrare l’album nel suo insieme. Forse ci volevano un paio di pezzi più rappresentativi dell’intero disco: “Sindacato dei sogni” va ascoltato nella sua interezza, e forse è difficile trovare una canzone che di per sé rappresenti l’album. Comunque è vario, e l’insieme delle intenzioni risulta abbastanza chiaro.

I Tre Allegri Ragazzi Morti portano in tour il nuovo album “Sindacato dei sogni” e la loro storia musicale

VELVET: Sì, è un album decisamente riconoscibile come vostro. E a proposito di questo termine “riconoscibilità”: in passato hai affermato che proprio questa dovrebbe essere la caratteristica principale di un artista, cioè poterlo indovinare subito per uno stile ben preciso e definito. Tutto questo fino a quando è arrivata Lady Gaga, che ha sconvolto la tua teoria grazie al suo essere sempre così diversa, di lavoro in lavoro. C’è qualche altro artista che ti ha spiazzato nell’ultimo periodo?
EM: In questo momento mi colpisce sicuramente Liberato. Ciò che mi sbalordisce è come sono riusciti a fare bene il lavoro sulla comunicazione ad esempio, la capacità di dire talmente poche cose, in modo così chiaro a un pubblico così vasto. E’ impressionante! Da anni ci sforziamo di fare tanti comunicati per spiegare ciò che facciamo, affinché il nostro lavoro arrivi a tutti, mentre la comunicazione di Liberato è così secca: a volte scrive solo “Roma” per dire che suonerà in quella città ma non dice la data, il luogo. E’ molto criptico ma efficace, ha tolto tutti i fronzoli, con pochissimo è riuscito ad avere una risonanza molto ampia, e questo mi colpisce.

VELVET: E’ vero che il titolo di lavorazione dell’album era “Classic”? In che momento avete deciso di cambiarlo in “Sindacato dei sogni”?
EM: Era uno dei titoli papabili in effetti, un po’ perchè in quel momento stavano uscendo tanti dischi italiani aventi per titolo una sola parola sola in inglese (come “Love” dei Thegiornalisti, oppure “Start” di Ligabue). Questo fatto ci divertiva molto, e avevamo pensato di intitolare il nostro nuovo lavoro semplicemente “Classic”, perché è un bel titolo e nessuno lo aveva ancora usato. Poi ci abbiamo ragionato su, abbiamo capito che forse non era opportuno star a giocar troppo con le parole: abbiamo quindi pensato che “Sindacato dei sogni” fosse un titolo più in linea con quelli degli altri album dei Tre Allegri Ragazzi Morti, che comunque sono sempre di per sè una piccola fonte di ispirazione, partenza, stimolo per qualche pensiero. Anche in questo caso “Sindacato dei sogni” era più coerente con chi siamo e aveva qualche messaggio in più.

Tre Allegri Ragazzi Morti, la band mascherata più famosa d’Italia

VELVET: Avete ben 25 anni di carriera alle spalle. Quando ti guardi indietro per vedere tutto quello che avete fatto in questo quarto di secolo, come siete cresciuti, cosa avete prodotto, a cosa pensi? Come siete cambiati? Come vi siete evoluti?
EM: Se mi chiedi cosa vedo quando mi guardo indietro, ti dico un furgone! Scherzi a parte, è una domanda complessa. Alcuni giorni fa abbiamo suonato a Milano per la commemorazione del nostro fonico che non c’è più: non c’era il nostro quarto uomo Andrea Maglia (chitarra elettrica e voce, ndr), e quindi abbiamo suonato in tre, come una volta. Effettivamente abbiamo fatto alcuni pezzi vecchi, che non suonavamo da più di dieci anni. Li abbiamo fatti tutti uno dietro l’altro, ed è stato come se non fosse passato neanche un minuto. Ce li ricordavamo tali e quali, nella loro forma e versione originale; è stato un momento molto particolare. Questo per dirti che da un certo punto di vista è cambiato pochissimo: siamo rimasti davvero simili agli inizi, non abbiamo avuto cambiamenti di popolarità o di abitudini, di famiglie, il mondo dei Tre Allegri è rimasto tutto abbastanza simile. A parte il contesto che viviamo, sono cambiati i tempi che ci circondano ed è cambiata soprattutto la nostra età! Se una volta eravamo pronti a fare molti più chilometri, e a dormire in qualsiasi situazione, adesso dobbiamo prenderci un minimo più cura di noi stessi!

VELVET: Che cosa vuol dire musica indipendente oggi? Come è cambiata rispetto a 25-30 anni fa?
EM: La musica indipendente è cambiata molto negli anni 90, secondo me, cioè proprio nella decade in cui abbiamo iniziato a suonare noi. Musica indipendente significava alternativa a quello che andava per la maggiore. Era un genere non per tutti, che aveva un circuito più piccolo della musica che passava per le radio e che potremmo identificare come “pop”. Il cambiamento che si è verificato in questi ultimi anni, determinato da internet ma anche da altri elementi, è stato molto forte, ha sicuramente cambiato le abitudini: oggi ci sono tantissimi gruppi nuovi che arrivano e ottengono riscontro velocemente, si è creato un giro forse più ricco e più veloce per la musica, ci sono più locali, c’è più gente, il circuito funziona meglio. Forse il fatto che questa musica simile alla nostra, che si chiama ‘musica indie’, sia identificata con quel termine lì non ci piace tanto: noi siamo un gruppo indipendente nel senso che cerchiamo di tenere quella differenza. La musica che funziona adesso è in qualche modo musica pop, è come se si fosse fatto un giro. Se negli anni 90 cercavamo di fare qualcosa che fosse leggermente diverso da ciò che andava per la maggiore, adesso i gruppi cercano di fare proprio qualcosa che possa andare alla grande e diventare di moda. E’ un istinto naturale, non ho niente contro tutto ciò e non mi disturba. Mi sembra strano però che questo tipo di musica così in voga di questi tempi possa godere dell’appellativo ‘indie’ e piaccia alle persone che amano le cose diverse. Forse oggi dovremmo parlare di ‘alternative’, il genere musicale che mi piacerebbe tornasse un po’ di moda, ed è una parola che non si usa praticamente più poiché il termine indie ha assorbito un po’ tutto.

Tre Allegri Ragazzi Morti, venticinque anni di carriera nel mondo della musica indie

VELVET: Nel 2000 tu e i tuoi colleghi dei TARM avete fondato la vostra etichetta La Tempesta Dischi “per promuovere la miglior musica italiana”; La Tempesta è diventata un collettivo di artisti che, oltre a pubblicare dischi, organizza Festival e concerti. In che modo questa attività ti ha cambiato come artista e vi ha cambiato come band?
EM: La Tempesta siamo noi Tre Allegri, è la nostra società. Io sono quello che vi si dedica un po’ di più, sia per carattere che per passione, mi piace crearmi una sorta di lavoro da ufficio, e di certo al momento è l’attività per cui spendo più tempo nella mia vita. Sicuramente qualcosa è cambiato da quando esiste questo collettivo, è una cosa che mi entusiasma, mi piace essere testimone di quello che succede e cercare di avere sempre un orecchio nel Paese. Adesso mi interessano in particolare le cose un po’ più estreme e particolari, quelle che si discostano da ciò che va di moda. Ad esempio, abbiamo appena lavorato alla pubblicazione dell’EP di un gruppo che si chiama Yonic South (il nome gioca con quello dei Sonic Youth ma con le lettere invertite): sono quattro ragazzi che fanno garage rock in inglese, quindi al di fuori da quello che può essere considerato il mercato in Italia in questo momento. Inoltre, curiamo diversi lavori di reggae (anche se in questi anni non sta andando molto bene), stiamo pubblicando tante cose di elettronica che non è né indie né trap. Mi piace occuparmi di cose che mantengano uno spirito di alienazione da quello che è il contesto.

VELVET: Una delle caratteristiche del sound di voi Tre Allegri Ragazzi Morti è la commistione di generi, dal punk al rock al folk fino ad arrivare al reggae e recentemente alla cumbia. A proposito di reggae: proprio in Friuli nel 1991 è nata la discoteca Rototom e qualche anno dopo è stato creato il Rototom Sunsplash, uno dei più grandi festival reggae al mondo. In che modo tutto ciò ha determinato il vostro amore per quel genere proveniente dalla Giamaica?
EM: Sono andato spesso al Rototom (il locale di Gaio di Spilimbergo, in provincia di Pordenone, in cui si sono esibiti i massimi esponenti della musica alternativa mondiale, ndr), prima ancora che ci fosse il Sunsplash: lì ho visto i Ramones, i Fugazi e altri gruppi molto famosi. Quando poi è nato il festival, ho iniziato a frequentarlo, più per vicinanza che per amore del genere. Inevitabilmente alla fine mi sono appassionato a questo tipo di musica, quindi posso dirti con certezza che sia il Rototom come locale, che il festival come manifestazione hanno avuto senza dubbio un’importanza fondamentale nella svolta reggae dei Tre Allegri! Senza questi elementi, non credo che avremmo lavorato con il produttore Paolo Baldini, e non credo che avremmo capito quanta cultura c’è nel reggae, quanto è figo come genere! Ancora oggi mi capita di parlare con persone che non lo amano o non lo capiscono, e ormai non posso che reagire sorridendo e dispiacendomi per loro!

La Tempesta, il collettivo di artisti fondato di Tre Allegri Ragazzi Morti

VELVET: In Italia non si sa molto dei movimenti musicali provenienti dal Friuli, ma la scena pordenonese è sempre stata piuttosto vivace, fertile e innovativa. In che modo vivere a Pordenone e provenire da quel tipo di ambiente (sociale, musicale e culturale) ha influito sul vostro stile e sulla vostra produzione?
EM: Sicuramente i Tre Allegri non sarebbero potuti venir fuori da un posto diverso da Pordenone, che è una provincia abbastanza estrema, ai confini del nostro paese ma anche ai confini di tutto si può dire! E’ una città che la maggior parte degli italiani nemmeno sa dove si trovi esattamente, che però ha ospitato qualcosa di molto particolare alla fine degli anni Settanta, e cioè il Great Complotto, un movimento musicale piuttosto forte (nato sotto la spinta del punk inglese ed americano ma assolutamente indipendente dalle altre scene punk e new wave esistenti in Italia nello stesso periodo, ndr). Senza quel seme, gettato quarant’anni fa, di sicuro non ci sarebbero stati i Tre Allegri Ragazzi Morti o i Prozac +, ma nemmeno i vari promoter come la BPM Concerti (agenzia di booking e organizzazione di eventi musicali, ndr) o la Indipendente Concerti. Sicuramente poi Pordenone è fondamentale per la scrittura dei testi dei Tre Allegri. Andando avanti con gli anni e la nostra carriera, abbiamo capito che parlare della provincia aveva un appeal anche su tante altre persone che la provincia la vivono ogni giorno: siamo partiti da una cosa particolare che ci appartiene, cercando di raccontare una nostra verità, per poi accorgerci che quella verità lì esisteva anche da altre parti.

VELVET: Passiamo dalla provincia al resto del mondo. Avete mai pensato di fare un bel tour strutturato all’estero, tipo negli Stati Uniti o in Sud America, o in Australia? Vi piacerebbe?
EM: Abbiamo suonato un po’ di volte all’estero. In questo momento non è nei nostri piani, anche se ci stiamo pensando su. La cosa strana di quando si fanno i tour fuori dal nostro Paese, è che tendenzialmente il pubblico è composto da italiani che vivono all’estero, tranne nei casi dei concerti di Eros Ramazzotti o Laura Pausini. E’ difficile coinvolgere le persone locali, non che questo sia una cosa brutta, ma se non c’è una vera crescita del tuo nome fuori dai confini nazionali è decisamente difficile farsi strada e attirare pubblico locale. Sono pochi quelli che ci riescono, ad esempio un gruppo con cui comunichiamo, i Mellow Mood (che fanno reggae): loro stanno girando da un po’ di anni tutta l’Europa (Francia, Spagna, Portogallo, Germania, Olanda) e il Sud America, e si stanno creando un proprio pubblico anche all’estero.

 

“Sindacato dei sogni”, nuovo album e tour dei Tre Allegri Ragazzi Morti

VELVET: Come mai secondo te la musica italiana fa così tanta fatica ad affermarsi all’estero? Pensi sia un problema linguistico, stilistico, culturale?
EM: Non lo so di preciso. Prendo sempre come esempio il Regno Unito, che ha 60 milioni di abitanti proprio come l’Italia. Se pensi alla quantità di musica soprattutto pop rock che è nata lì, possiamo certo dire che non esiste paragone tra noi e loro. Secondo me questo ha fatto sì che nel corso degli anni si sia sviluppata nel Regno Unito, e nei paesi anglosassoni, una capacità maggiore da parte dei musicisti, della discografia e degli editori di lavorare alla musica che viene prodotta. L’Italia è rimasta un po’ a metà strada tra il paese più a sud dell’Europa e il più a nord dell’Africa. Siamo rimasti un po’ lì noi latini, senza una vera capacità non dico artistica (noi italiani di queste qualità ne abbiamo da vendere!) ma di sapere come fare a portare questi talenti musicali anche all’estero, con un certo successo. Ho però come la sensazione che qualcosa stia per accadere, anche solo per un fatto statistico. In Italia adesso c’è tantissima musica, che funziona bene: sta crescendo moltissimo la capacità dei produttori musicali, degli editori, dei videomaker e di tutte le persone che lavorano e vivono intorno all’ambiente della musica. Tanti gruppi sono diventati giganteschi, si fanno numeri importanti, il tutto sui nostri 60 milioni di abitanti. Credo che appena qualcuno scoprirà la strada giusta per confezionare un album, e troverà l’ufficio stampa adeguato per un’affermazione all’estero, avremo anche noi il primo artista italiano forte al di fuori dai nostri confini. Non vedo l’ora, è il momento che ciò accada…

VELVET: Il tour dei Tre Allegri Ragazzi Morti è appena iniziato, ma hai in programma di andare a vedere qualche bel concerto quest’estate?
EM: Sicuramente andrò a vedere i Kiss, anche perché si tratta del loro ultimo tour. Per quanto riguarda i festival, devo dirti che per tanti anni sono andato al Primavera Sound di Barcellona: ho seguito 12 edizioni, quest’anno sarebbe stata la tredicesima edizione, ma mi si è un po’ esaurita la gioia che quella manifestazione mi dava. Invece mi sto organizzando per andare a un festival in Olanda che si chiama “Le Guess Who”, e si svolge a Utrecht. Mi dicono essere molto carino, ho visto la line up e non conoscevo neanche un gruppo, ma ho ascoltato un po’ di artisti e mi sono gasato tantissimo. Si svolge in inverno, non sarà all’aperto ma mi hanno detto che è sparso per la città, con location diverse, di varie dimensioni in giro per Utrecht. Credo sia anche un bel modo per conoscere posti nuovi e visitare città e luoghi mai visti prima.

Di seguito le date del tour estivo dei Tre Allegri Ragazzi Morti:
02-06 Cagliari – Ateneika (ingresso gratuito)
09-06 Olgiate Molgora (LC) – La Sbiellata Sanzenese (ingresso gratuito)
21-06 Romano Di Lombardia (BG) – Festa Della Musica (ingresso gratuito)
24-06 Roma – Villa Ada (ingresso 10 euro + d.p. in prevendita; 12 euro in cassa) *opening act: Lucio Leoni
28-06 Legnago (VR) – Sound Vito Festival (ingresso gratuito)
05-07 Perugia – L’Umbria Che Spacca (ingresso gratuito)
06-07 Padova – Sherwood Festival (ingresso 1 euro)
17-07 Cassano Magnago (VA) – Woodoo Fest
19-07 Vialfre’ (TO) – La Tempesta Nel Bosco C/O Apolide Festival (ingresso 20 euro + d.p.)
28-07 Treviso – Suoni Di Marca
02-08 S. Severino Lucano (PZ) – Pollino Music Festival
03-08 Platania (CZ) – Color Fest
22-08 Brescia – Festa Di Radio Onda D’urto
30-08 Modena – Arena Del Lago (ingresso gratuito)
12-09 Milano – Carroponte