Morirono a migliaia, e per la Cina fu una notte tetra. Un massacro che ancora oggi, a trent’anni di distanza, è oggetto di censura e menzogne di regime. A Pechino, nella notte tra il 3 e il 4 giugno del 1989, le truppe dell’Esercito di liberazione popolare fecero irruzione nella grande piazza Tienanmen occupata da settimane dagli studenti, sostenuti da operai e popolazione.

REPRESSIONE NEL SANGUE, DI NOTTE

Chiedevano dialogo, riforme, democrazia. Malgrado gli appelli alla “desistenza” il governo cinese avviò invece la “normalizzazione” della protesta degli studenti. Detto in parole crude: la repressero nel sangue nel cuore della notte. Tanti, tantissimi, i giovani che finirono stritolati dai cingoli dei carri armati. Molti altri furono arrestati. Finì in carcere anche l’uomo che nel 2010, in contumacia perché di nuovo imprigionato a causa della sua lotta indefessa per i diritti umani, ricevette il Premio Nobel per la Pace: il professor Liu Xiaobo. Liu è morto il 13 luglio 2017 per le conseguenze della plurime detenzioni subite.

IL LEADER DISSIDENTE

Oggi cade il trentesimo anniversario di quei fatti atroci. E Wu’er Kaixi, uno dei leader delle proteste del 1989, non ha mancato l’occasione per ribadire da Taiwan l’orgoglio della partecipazione alle proteste. “Perché agimmo”, ha dichiarato secondo quanto riporta online l’Ansa, credendo nella democrazia come “l’ultimo uomo comune”.

“LA DEMOCRAZIA, IL MIO SOGNO”

“Probabilmente solo coloro che sono diventati ricchi avvantaggiandosi dei sistemi democratici potranno sentire che la democrazia non è importante – ha detto ancora Wu’er Kaixi  -. Sento tutto il senso dell’importanza della democrazia“, ha aggiunto l’attivista nel resoconto dei media locali.

NERVOSISMO NEL REGIME 

Mai come quest’anno, l’anniversario cade così indesiderato per il regime comunista di Pechino. Tra le forti tensioni della guerra commerciale con gli Stati Uniti e la congiuntura economica dai profili incerti. Proprio quando il presidente Xi Jinping ha chiamato alla mobilitazione per una “nuova Lunga Marcia”. Non sorprendono, quindi, la stretta mediatica e gli arresti preventivi. Che non hanno risparmiato neanche Wikipedia. La “libera” enciclopedia online è al bando da alcuni giorni per scongiurare ricerche scomode.

LA DENUNCIA DI AMNESTY

Dal canto suo Amnesty International denuncia nuove persecuzioni ai danni di coloro che cercano di tenere una qualsiasi commemorazione. Nelle ultime settimane, scrive Antonio Fatiguso dell’Ansa, la polizia ha arrestato, posto agli arresti domiciliari o minacciato decine di attivisti, compresi i familiari delle vittime.

“XI JINPING? NON CAMBIA NULLA…”

“Trent’anni dopo quel bagno di sangue è davvero il minimo che le vittime e le loro famiglie ricevano giustizia. Invece, il presidente Xi continua a praticare le stesse politica di chi lo ha preceduto. Ossia perseguitare coloro che chiedono la verità nel tentativo di cancellare la memoria del 4 giugno”. Così si è espressa Roseann Rife, capo delle ricerche sull’Asia per Amnesty International.

CENSURA SUL NUMERO DEI MORTI

È incredibile ma ancora oggi è molto difficile ricostruire i fatti e le responsabilità politiche. E capire il numero di morti. Per il governo comunista sono 319. Una presunta verità a cui nessuno crede. Il fondato sospetto, da sempre, è che siano stati molti di più. Diverse migliaia.

LE MADRI DI TIENANMEN

Alcune famiglie delle vittime o associazioni come “Le Madri di Tienanmen”, gruppo voluto dai genitori di 200 studenti, chiedono indagini e trasparenza, anche se con sempre meno forza. “Il governo cinese deve rendersi conto che nessun tentativo di soppressione potrà mai cancellare l’orrore di quel massacro – ha aggiunto Roseann Rife -. Un primo passo in direzione della giustizia sarebbe quello di consentire finalmente, anche ai genitori ormai anziani che 30 anni fa persero i loro figli, di commemorare le vittime di Tienamnen”.

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