E pensare che da piccolo sognava di fare il panettiere! Beh, visto quanto di buono ha combinato in effetti nella sua vita, vien da dire “Meno male che è non andata così!”. La verità è che non sapremo mai che tipo di boulanger sarebbe stato se non avesse intrapreso la strada dell’hip hop, ma a noi Frankie Hi-Nrg MC (al secolo Francesco Di Gesù) piace (assai) così, e poco importa se magari abbiamo perso il re delle farine, il mago dei lieviti, il numero uno al mondo della panficazione, il master of ovens! Ciò che abbiamo guadagnato è uno che da sempre dà potere alla parola, che usa la “metrica come una sciabola tagliente e rapida, affilata”, un artista la cui “ritmica è febbrile, rapida come staffile”. Quelle appena usate sono parole che sgorgano non dalla capacità dialettica di chi scrive, ma da quella dello stesso Frankie, che nella canzone citata “Faccio la mia cosa” parla della sua arte, come nell’omonimo libro parla del suo avvicinamento all’hop hop e non solo. “Il rap e tutto il resto” è la tagline del romanzo, in cui uno dei più importanti esponenti di questa scena in Italia racconta non solo del suo avvicinamento a questo genere musicale (che è innanzitutto “filosofia di vita, approccio culturale alternativo alla realtà di ogni giorno” per usare ancora le sue parole), ma ne traccia anche l’origine facendo continui parallelismi tra il panorama statunitense e quello italiano.

Un romanzo-manuale, istruttivo ma soprattutto divertente e spassoso, in cui il rapper/autore/compositore ci porta dentro la sua infanzia fatta di traslochi, genitori vivaci (papà Giovanni ingegnere e pragmatico, mamma Germana incline alla drammatizzazione di ogni cosa) e amici dai molteplici interessi. Frankie ci conduce attraverso l’adolescenza ricca di passioni (i fumetti, i videogiochi, l’informatica), insegnandoci anche i punti chiave dell’hip hop dal punto di vista formale ma anche tecnico (ci sono dei veri e propri approfondimenti su “basic mix”, “slip mat” e “campionatori”). E lo fa regalandoci anche dei codici da attivare con l’uso del telefonino, in modo da visualizzare video fondamentali per la comprensione di un determinato periodo musicale, culturale o storico. Insomma, “Faccio la mia cosa” è una miniera d’oro per chi voglia saperne di più sull’hip hop e voglia capire come sia nato il genio che ha prodotto album come “Verba Manent” e “La notte dei miracoli”.

“Faccio la mia cosa”, Frankie Hi-Nrg MC racconta in un libro il suo avvicinamento all’hip hop

VELVET: Il tuo libro “Faccio la mia cosa” si ferma al 1992, anno di pubblicazione del tuo singolo forse di maggior successo, cioè “Fight Da Faida”. Infatti, nelle ultime pagine, fai solo un breve accenno al tuo primo album “Verba manent” (uscito nel 1993), per poi mettere il punto definitivo. Come mai questa scelta? Perchè non andare avanti a raccontare ciò che ti è successo sino a oggi?

FRANKIE: L’obiettivo del libro è rispondere al quesito su come io mi sia avvicinato al rap. È difficile trovare il “momento X”, quello in cui mi sono effettivamente confrontato con questo genere musicale: è stato un percorso di avvicinamento, che ho scelto di far culminare nel momento in cui ho dato il mio primo contributo reale alla scena italiana globale con un’attitudine, un intento, una modalità hip hop, cioè quando ho realizzato “Fight Da Faida”. Si può dire che con quella canzone io abbia posato un mattone nell’edificio dell’hip hop, e per questo ho pensato potesse essere il momento migliore per trovare una chiusa a questo racconto.

VELVET: A proposito di “Fight Da Faida” (eletta da Rolling Stone come miglior canzone rap della storia della musica italiana, brano seminale per quel genere in Italia). Subito dopo la pubblicazione di quel singolo, il tuo successo arrivò alle stelle, diventasti famoso in pochissimo tempo, e insieme ai trionfi cominciarono a pioverti addosso anche un sacco di critiche: furono soprattutto coloro che magari frequentavano l’ambiente hip hop da più tempo di te ma che forse non avevano avuto i tuoi stessi risultati a scagliartisi contro. Come vivesti quel periodo e tutto quel livore nei tuoi confronti?

FRANKIE: Sicuramente mi sono sentito attaccato, accusato di essere quasi un parvenu, uno che era salito su quel determinato carro mentre stava passando. E posso confessarti che di tipi che hanno fatto esattamente questo, ne conosco alcuni; sono personaggi che facevano musica in tutt’altri ambiti e hanno fatto poi un pensierino all’idea di provarci nell’hip hop, con la speranza di sfondare. Io non ho fatto quel tipo di percorso, e lo racconto nel libro. Non ero sui marciapiedi a fare la break dance e a girare sulla testa, no! Dove stavo io non c’erano quei marciapiedi, o perlomeno non sapevo dove fossero, e nemmeno conoscevo qualcuno che lo sapesse. Ti assicuro però che davanti al mio primo marciapiede, quello su cui ho visto girare delle persone sulla testa, ci sono stato un sacco di tempo! Forse all’epoca esploravo con gli strumenti sbagliati, forse mi trovavo nei luoghi sbagliati, ma ti assicuro che esploravo! Lo facevo a modo mio, e proprio così è nata la canzone “Faccio la mia cosa”, come reazione a questo tipo di commenti. Ho ricevuto delle critiche e le ricevo tuttora. Sì, è vero, non ho un background di militanza hip hop, affatto! No, non provengo dalle scene dei centri sociali, ma semplicemente perché dove abitavo non c’erano, è una dimensione che ho conosciuto quando sono andato a Torino, ma queste cose non venivano replicate nei posti in cui stavo. Questo mi ha spinto a scrivere quasi subito “Faccio la mi cosa”, “Fight Da Faida”, “Libri di sangue”, “Disconnetti il potere” (tutte canzone confluite poi nell’album del 1993 “Verba manent”, ndr).

Frankie Hi-Nrg MC e il successo del singolo “Fight Da Faida”, miglior canzone rap italiana secondo Rolling Stone

VELVET: Oggi, 25 anni dopo l’uscita del singolo “Faccio la mia cosa”, sono cambiate tantissime cose: l’hip hop, i mezzi di comunicazione, il modo di fare e consumare la musica. Cosa vuol dire nel 2019 “Faccio la mia cosa”?

FRANKIE: Oggi si ha la possibilità, e in alcuni casi anche solo la sensazione, di poter fare tante cose da sè in maniera molto agevole, in modo quasi professionale; anzi, questa attitudine è talmente diffusa che ai nostri tempi è diventato professionale farsi tante cose da sé in quel modo (dimostrazione lampante ne sia il proliferare dei blogger). Una volta un ragazzo che progettava stampanti in 3D, riferendosi a “Faccio la mia cosa”, mi disse: “Questo è l’inno dei maker”, perché è proprio uno slogan perfetto per chi si costruisce tutto da sè. Spesso oggi anche le stesse case discografiche aspettano che qualcuno ‘faccia da solo la sua cosa’; solo se poi il tutto diventa interessante, nel senso che i numeri fanno presagire tanto pubblico, allora intervengono con i loro strumenti, con i capitali e le loro modalità. “Faccio la mia cosa” è quindi più orientato nel senso dell’indipendenza. Da un altro punto di vista, ogni tanto capita di sentire qualcuno che ‘fa la propria cosa’, nel senso che si distacca dal mucchio e diventa distinguibile per sonorità, tematiche, originalità.

VELVET: Nel libro racconti di come tante volte, nel corso della tua vita, hai dovuto cambiare città, passando da Torino ad Anagni, poi di nuovo Torino, Caserta, Città di Castello. In che modo questo continuo spostamento, questo venire in contatto con persone, ambienti, inflessioni dialettali sempre diverse ti ha migliorato? O forse ti ha danneggiato in qualche modo?

FRANKIE: Escludo di aver subito qualsivoglia danno dal punto di vista linguistico, il cambiamento è sempre stato per me una benzina per l’esplorazione della lingua, del suono, delle parole, una grande esperienza formativa. Quando sei ragazzino la flessibilità in questi termini è possibile, permette di assaggiare tante lingue diverse, tanti suoni, tante abitudini e questo ti rende una persona composita e ricca. Per me è stato sicuramente un vantaggio. Certo sulle prime (dopo che ti sei costruito la tua rete di amici, hai fatto le scuole, hai i tuoi punti di riferimento) essere sradicato da un posto e trapiantato in uno completamente diverso, è pesante, è un trauma equiparato a un lutto. Ma come i lutti, anche i traslochi si elaborano, si superano, e si riesce spesso a trarre delle cose positive, eccellenti. Sono eventi che fortificano, ma rendono anche più attenti e più prudenti.

Frankie-Hi Nrg MC: “Dopo l’uscita di ‘Fight Da Faida’ sono stato accusato di essere un parvenu”

VELVET: Crescendo hai avuto tante passioni e tanti interessi: la musica, i film, i videogame, l’informatica, i fumetti. A quale punto della tua vita hai capito che la musica, nella fattispecie l’hip hop, era la tua strada?

FRANKIE: L’hip hop per me è sempre stato un’esperienza immersiva ma mai totalizzante, non lo è nemmeno ora, ecco uno dei motivi per cui certa scena continua a non provare una grande simpatia per me, perché non ascolto solo hip hop. Secondo me è un errore perché l’hip hop si fa proprio ascoltando altra musica, quindi per me quelle sono critiche sterili. Spero che l’hip hop diventi la mia vera strada; è stato solo dopo la partecipazione alla trasmissione di Rai 3 “Avanzi”, dopo la pubblicazione di “Fight Da Faida”, che mi sono reso conto che avevo fatto una cosa buona, valida, e sulla quale era il caso di insistere.

VELVET: Citi spesso il cinema e i film come fonte di ispirazione , di immaginazione. Addirittura c’è un capitolo in cui racconti di come, insieme ai tuoi amici di infanzia Franco ed Emilio, foste vicini a realizzare un vero cortometraggio, salvo poi non la Super8! Tu stesso negli anni hai scritto e diretto svariati video musicali. Pensi mai di cimentarti con il cinema, magari scrivendo e dirigendo un film o un documentario?

FRANKIE: Si certo, è un po’ come il libro, è una di quelle cose che ti senti dire da tutti da trent’anni. Della serie: “Ma tu dovresti scrivere un libro, dovresti fare un film”. Appena avrò una buona idea per un bel film, mi attiverò per farlo, e cercherò di realizzarlo il più possibile come la mia idea suggerisce. Non ho in mente alcun genere al momento, aspetto l’ispirazione.

Frankie Hi-Nrg MC: “Appena avrò una buona idea, farò anche un film”

VELVET: Nel tuo libro parli spesso, con grande affetto e ammirazione, dei tuoi genitori: in particolare, di tuo padre Giovanni (uomo di scienze e ingegnere elettronico) ricordi il suo insegnamento: “Vai e scopri quanto è bello scoprire, divertiti e se hai domande non esitare a farle. Se non ne hai, non esitare a fartene”. In che modo questo suo consiglio ti ha influenzato e plasmato?

FRANKIE: Profondamente, motivo per cui mi sono cimentato in questa cosa chiamata “rap”, nello scrivere le canzoni, esibirmi sui palchi, avere un pubblico davanti e iniziare a parlare con le persone. La curiosità spinge a stabilire relazioni, a esporsi, ad avere sempre cose nuove da conoscere e da raccontare, perché ci si diverte a guardare la sorpresa delle persone che le scoprono attraverso le tue parole.

VELVET: Cosa ti piace della scena hip hop italiana contemporanea? E cosa pensi dell’imperante trap?

FRANKIE: Mi piace l’attitudine a ricercare cose nuove, che però non si sente tanto nelle classifiche. La musica trap è la nuova hip hop.

VELVET: Stai facendo un book tour in giro per l’Italia, per far conoscere a tutti il tuo libro. Quali sono i tuoi progetti più a lungo temine?

FRANKIE: Il mio piano è trasformare in uno spettacolo teatrale questo libro “Faccio la mia cosa”. Debutto al Teatro Eliseo di Roma il 19 ottobre prossimo, e sarò poi in giro per i teatri di tutta Italia. Si tratta di un monologo, in cui ci sono io in scena; sarà uno spettacolo di un’ora e mezza in cui, attraverso l’ausilio di video musicali, racconterò la storia narrata nel romanzo.

VELVET: E un altro libro?

FRANKIE: Lo scriverò quando avrò un buon soggetto: scrivere è stato molto divertente, voglio replicare questa esperienza ma prima devo trovare un altro tema stuzzicante.

Photo credits: Damiano Andreotti

Instagram