Fausto Russo Alesi dona al giudice uno sguardo pensoso e serio, come se riuscisse a vedere il suo futuro e il suo tragico destino”. Con queste parole Deborah Young, critico della rivista “The Hollywood Reporter” descrive l’interpretazione che l’attore palermitano offre al personaggio di Giovanni Falcone nel film di Marco Bellocchio “Il traditore”. Non era un ruolo semplice da affrontare. Affatto. Una parte rischiosa, pesante, di responsabilità, che Fausto Russo Alesi ha saputo affrontare con coraggio, consapevolezza e umiltà, ricevendo il plauso della critica italiana e internazionale. Classe 1971, palermitano di nascita, attivissimo sia sui palcoscenici che sui set, Russo colpisce per il suo sorriso buono, la sua fisicità autorevole, lo sguardo fiero e determinato, di chi sa di aver fatto già tante esperienze importanti e lavorato con maestri stimati, ma ha una gran voglia di andare avanti e fare sempre meglio. Lo incontriamo in un caldo pomeriggio romano, e non possiamo non iniziare la nostra intervista chiedendogli di Falcone, Buscetta e Bellocchio.

FAUSTO RUSSO ALESI: E’ stata un’esperienza emotivamente intensa, uno di quei ruoli in cui senti addosso una grande responsabilità e un certo senso di inadeguatezza, prima durante e dopo. Per affrontare il personaggio di Giovanni Falcone non abbiamo proceduto per somiglianza o imitazione: bisognava fare un lavoro il più possibile interiore e di sottrazione. Il regista Marco Bellocchio (bravissimo nel seguire gli attori nei singoli dettagli e nel lavorare sul particolare) mi ha immediatamente rassicurato sul fatto che era necessario cercare il nostro Falcone, essere liberi dentro questo ruolo e mettersi al servizio di esso. La sceneggiatura del film era già piuttosto chiara nel definire delle regole: vediamo Falcone in momenti specifici, sempre in situazioni private mai nelle dimensioni pubbliche (che sono poi quelle che conosciamo). Ciò dava la libertà di immaginare come potevano essere gli incontri con Buscetta, partendo dalla memoria storica che abbiamo tutti, e dall’incredibile materiale documentato nelle sue interviste. Studiandole si intuisce quale fosse il suo obiettivo, la sua ossessione; studiando quelle interviste ho avuto la sensazione che Falcone avesse sempre un suo interlocutore personale. Era come se avesse un doppio dialogo, con la persona con cui stava effettivamente parlando (cui raccontava fatti e storie sempre con estrema discrezione, attenzione e senza mai esagerare) e con un interlocutore suo privato, che probabilmente era la forte determinazione di raggiungere il suo obiettivo. Nelle interviste rilasciate nel periodo immediatamente precedente il suo tragico assassinio percepivo anche un certo isolamento, come se la morte fosse un altro suo interlocutore, una minaccia continua.

Fausto Russo Alesi interpreta Giovanni Falcone nel film di Marco Bellocchio “Il traditore”

VELVET: Tu sei palermitano, e immagino che incarnare Giovanni Falcone sia stata per te una responsabilità ancora più forte, oltre che una grande sfida…

FRA: Assolutamente! Vivendo a Palermo proprio in quegli anni, cresci con la sensazione che le cose siano accanto a te, ti passino molto vicino, non siano da un’altra parte. Ho un ricordo molto netto e nitido di quel 23 maggio, quel tragico giorno in cui ci fu la strage di Capaci: avevo 19 anni, stavo preparando l’esame di maturità, fu una giornata davvero terribile. Certamente, anche questa prossimità culturale e geografica di fatto ha contribuito a rendere emotivamente intensa la sfida, era un elemento che non riuscivo a mettere da parte.

VELVET: Non era la prima volta che lavoravi con Marco Bellocchio; ti diresse in “Fai bei sogni”, poi in “Sangue del mio sangue”, in “Vincere”, e ne “La media matematica”. Che tipo regista è Bellocchio? Com’è lavorare con lui?

FRA: Marco Bellocchio è un regista, un artista, un maestro straordinario, incredibile. E’ una fortuna lavorare con lui, costruire qualcosa insieme e dialogare con lui. Mi sono consegnato completamente al suo sguardo. Il solo fatto che mi abbia scelto per fare questo ruolo non era affatto scontato: non sono tanti i registi che mettono in secondo piano la somiglianza fisica, dovendo restituire un personaggio così conosciuto. Magari avrà colto qualche analogia nello sguardo, nel colore della voce, in alcune espressioni: Bellocchio è un regista che lavora molto su questi aspetti. Ho sempre avuto la sensazione che quello di Falcone fosse un personaggio su cui si poteva sbagliare in continuazione, ma Marco mi rassicurava. Ricordo che già al provino mi disse: “Guarda che qua dentro tu ci sei, in questo materiale tu ci sei, e proprio attraverso questo materiale hai la possibilità di raccontare qualcosa che riguarda anche te”. Poi mi diceva: “Dobbiamo evitare la retorica, andare da un’altra parte, cercare la concretezza, anche perchè la concretezza di Falcone sono le azioni che ha compiuto”. Insomma, libertà, semplicità e concretezza sono sempre state le nostre parole d’ordine.

Fausto Russo: “Bellocchio è un artista e un maestro straordinario, incredibile”

VELVET: “Il traditore” è stato l’unico film italiano in concorso al Festival di Cannes, dove ha raccolto un grande successo di critica e moltissimi applausi. Che tipo di esperienza è stata per te?

FRA: È stata un’emozione incredibile! Io ho visto il film finito per la prima volta proprio a Cannes, e durante la proiezione in quella sala meravigliosa si sentiva che in quell’opera si parlava tanto di Italia, e si aveva la sensazione di essere dei privilegiati per aver fatto parte di un progetto del genere, con un maestro come Bellocchio, e con tanti attori straordinari. Alcuni di loro li conoscevo personalmente, altri li stimavo profondamente: con Luigi Lo Cascio avevo lavorato a teatro, Fabrizio Ferracane non lo avevo mai incontrato ma l’ho sempre stimato tantissimo, Maria Fernanda Candido è un’attrice formidabile. E che dire di Pierfrancesco Favino? E’ un interprete straordinario, mostruoso. Ci eravamo incrociati in “Romanzo di una strage” ma non avevamo mai lavorato direttamente insieme. Con lui era era successo qualcosa di intenso già durante le riprese: le nostre sono scene di relazione, Falcone ascolta Buscetta, cerca di capire chi ha davanti. Insomma, è stato molto emozionante vedere tutta questa maestria e anche un cast straordinario in tutti i piccoli ruoli. Di solito, quando vedo per la prima volta un mio film, rivedo il dietro le quinte, ricordo i momenti delle riprese e non riesco a concentrarmi bene: stavolta non è successo, perché la storia è talmente forte, recente, scottante. In particolare il momento subito dopo la morte di Falcone è estremamente violento per me, è stato un pugno allo stomaco.

Fausto Russo Alesi al Festival di Cannes con il film di Marco Bellocchio “Il traditore”

VELVET: Marco Bellocchio, Marco Tullio Giordana, Silvio Soldini, Carlo Mazzacurati, Saverio Costanzo, Mario Monicelli, Roberto Andò. Leggendo la tua filmografia salta all’occhio il fatto che tu abbia lavorato quasi solo con autori, interpretando ruoli perlopiù drammatici in film di contenuto storico….

FRA: Ho avuto la fortuna di incontrare gli autori del cinema che amo, e devo dire che quasi con tutti loro si sono create poi relazioni durature, personali. Anche quando si è trattato di piccoli ruoli, questi hanno poi portato ad altri progetti, a un rapporto che è andato aldilà del cinema tout-court; questi artisti mi seguono a teatro, vengono a vedere i miei spettacoli e con alcuni di essi ho anche lavorato, al cinema e sui palcoscenici. Sono rapporti che si approfondiscono e di questo sono felice, è qualcosa in cui credo profondamente: quando le relazioni artistiche e umane continuano e diventano forti, sono conferme. Solo chi ti apprezza e ti vuole bene ti fa fare qualcosa che è lontano da te, che nessuno si aspetterebbe da te: solo chi ti ama ti vuol mettere in difficoltà ti lancia una sfida. Lo trovo estremamente stimolante.

VELVET: Spesso hai lavorato su ruoli impegnati, su personaggi di potere come avvocati, giudici, sacerdoti, inquisitori. E’ stato un caso o il frutto di scelte precise?

FRA: Gli attori di teatro spesso vengono scelti in prima battuta per ruoli di potere, in particolare per i cosiddetti “cattivi”. La fortuna di lavorare con grandi maestri, come ad esempio Marco Bellocchio, è che sanno vedere l’uomo dietro il personaggio: ogni ruolo è un’etichetta (l’inquisitore, il giudice, il sacerdote, il cattivo) ma prima di ogni classificazione c’è un essere umano, e per questo non necessariamente si lavora sulla corda principale (ad esempio la spietatezza dell’inquisitore). Spesso si lavora sull’opposto, sulle debolezze o sull’umanità. Ognuno di noi restituisce ed esprime all’esterno delle informazioni date, ad esempio, dai caratteri somatici, da ciò che si trasmette in maniera inconsapevole: in quanto siciliano a volte esprimo diffidenza, ad esempio. Quello che mi piace fare è cercare all’interno del ruolo che mi viene dato una specificità, quindi non tanto rispondere al ruolo, quanto alle situazioni in cui quel personaggio è calato e alle relazioni che intrattiene.

Fausto Russo Alesi: “Il teatro è il mio primo amore, non potrei farne a meno”

VELVET: Nasci come attore di teatro. A che punto è scattato il tuo amore per il cinema e il tuo coinvolgimento nella settima arte?

FRA: Se devo parlare di come mi sono innamorato della recitazione, mi rivedo bambino e penso ai film. Il teatro non c’è stato nella mia vita per un po’ di tempo, fino a quando a 9 anni mi hanno portato a vedere le tragedie greche a Siracusa e sono rimasto folgorato: quello fu il seme originario della mia passione per il palcoscenico. Però, se devo ricordare chi mi faceva sognare, cito senza dubbio Marcello Mastroianni, Ugo Tognazzi, Alberto Sordi, Anna Magnani. Il cinema è sempre stato un desiderio, ma quando ho deciso di provare a seguire questa passione, ho subito pensato a una scuola di teatro. Nel teatro sono nato e lo faccio quotidianamente da 25 anni, non potrei farne a meno. Cinema e teatro son due cose diverse ma nel cuore, nella loro essenza, sono identici: equivalente è il bisogno di ritrovarti a fare questo nella vita, uguale l’impegno e la creatività che ci si deve mettere. E’ solo il mezzo di comunicazione che è diverso. Il mio passaggio al cinema, a un certo punto, è stato naturale: il teatro è molto faticoso e stancante, dover riuscire a essere comunicativo in spazi così grandi mai rinunciando all’autenticità è una cosa estremamente faticosa. Lavorare con un’altra energia al cinema, molto più intima, per me è vitale. Quando faccio teatro penso al cinema e viceversa. Credo che le due cose si alimentino e mi sembra una cosa bella.

VELVET: Il teatro è la tua prima e vera passione. Sei anche uno dei soci fondatori dell’ “A.T.I.R.” (Associazione Teatrale Indipendente per la Ricerca). Calchi i palcoscenici come attore ma sei anche regista. E’ lì che trovi la tua vera dimensione e stai meglio?

FRA: La fondazione dell’A.T.I.R. è stato un momento fondamentale del mio percorso. Uscito dall’Accademia, abbiamo fondato con alcuni colleghi questa compagnia ed è stato un modo per fare auto-formazione, una palestra incredibile in cui si sono create delle relazioni che ancora durano. Con tutti ho rapporto ancora di amicizia intensa, con alcuni continuiamo a lavorare insieme, a progettare, a ritrovarci ogni tanto: tra tutti voglio citare Serena Sinigaglia che è la regista e direttrice artistica del’A.T.I.R., con cui c’è un sodalizio storico. E poi, non posso parlare del teatro che ho fatto senza citare dei maestri che sono stati fondamentali per la mia crescita, ad esempio Luca Ronconi con cui ho avuto un rapporto di 10 anni interpretando dei protagonisti meravigliosi: grazie a lui ho imparato tantissimo. E poi Nekrosius con cui ho fatto “Il gabbiano”, esperienza che per me è stato un momento di svolta: da lì è iniziato il mio cammino personale, ed è stata una fortuna incontrarlo. Poi c’è anche Peter Stein. Insomma, il mio bagaglio professionale è importante, e di questo sono molto grato.

Fausto Russo Alesi, tra i suoi maestri a teatro Luca Ronconi, Nekrosius e Peter Stein

VELVET: A teatro hai affrontato anche la regia. Pensi mai di metterti dietro ma macchina da presa per una regia cinematografica?

FRA: Quando mi trovo a fare la regia, in realtà, per me è fondamentale il progetto. Quando incontro un testo e sento che lo devo portare sulle mie spalle, e lo devo fare ora e adesso perché so che è necessario ed impellente, lo faccio. Questo è il mio carburante. A me piace moltissimo fare solo l’attore, essere diretto, ma in certi momenti devo essere io il motore. Se penso al cinema, credo ovviamente di voler prima fare delle esperienze forte, vorrei lavorare ancora e crescere tanto. Quello che mi piacerebbe molto, e di cui sento il bisogno, è di essere non solo un pezzettino della grande macchina del cinema, ma di far parte di progetti in cui poter seguire tutte le tappe, dalla sceneggiatura, alle prove, alle riprese, insomma fare un’esperienza a 360 gradi.

VELVET: Dove ti vedremo nei prossimi mesi? In quali progetti sei impegnato?

FRA: Al cinema sarò Achille Starace ne “Il cattivo poeta” di Gianluca Iodice con Tommaso Ragno, Elena Bucci e Sergo Castellitto nella parte di Gabriele D’Annunzio. Il film è finito, ma ancora non sappiamo quando uscirà. In teatro, invece, sarò nella “Commedia della vanità” di Elias Canetti, un grossissimo progetto (di produzione dell’ERT di Modena), che mi porterà a fare una lunga tournée almeno fino a febbraio. Poi riprenderò il “Macbeth” di Serena Sinigaglia in una produzione dello stabile di Bolzano: saremo in tournée per un periodo lunghissimo, con una bellissima compagnia.

VELVET: Mi ha colpito il fatto che tu abbia portato in scena anche “Natale in casa Cupiello” di Eduardo De Filippo, interpretando tutti i personaggi! Hai intenzione di riproporlo?

FRA: Spero di riprenderlo prestissimo, è uno spettacolo che ho portato in giro per tantissimo tempo, ben quattro anni (cosa che di questi tempi non è affatto così comune). Si tratta di una produzione del Piccolo Teatro di Milano e mi auguro che venga ripreso, anche perché è un testo capolavoro. La mia idea di interpretare tutti i personaggi da solo è totalmente folle, però sentivo forte la necessità di lavorare su Eduardo, cosa che non è affatto scontata se non sei napoletano. Eduardo ha interpretato il personaggio di Luca Cupiello da quando aveva 30 anni fino a quando ne ha fatti 80 , e siccome c’è la vita dentro quel testo, mi auguro di poter crescere anche io dentro lo spettacolo: sono sentimenti così universali che ho voglia di continuare a farlo, di vedere come cambia e cosa cambia.