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“Millemé” contro la violenza di genere. Erica Pugliese: “Vite da salvare, prima che diventi cronaca nera” [ESCLUSIVA]

Millemé è un’associazione di volontari che si occupa di violenza di genere nelle relazioni intime. Un concetto molto più ampio di quello che si tende ad immaginare e che spazia dalla violenza diretta nei confronti delle vittime, fino alla violenza assistita, come nel caso di ragazzi che subiscono il conflitto genitoriale.

VelvetMag ha intervistato la Dottoressa Erica Pugliese, psicologa e psicoterapeuta specializzata in terapia individuale, nonché Presidente dell’associazione. Il risultato è una conversazione schietta e chiarificatrice, da cui emergono due punti fondamentali: la violenza di genere riguarda anche gli uomini, e supera di gran lunga i confini delle mura domestiche.

Dottoressa Pugliese, in che forme possiamo intendere la violenza al di fuori della convivenza?

Può esserci violenza o conflitto all’interno di una coppia, a prescindere dal fatto che queste due persone condividano lo stesso tetto. Può esserci anche tra due ragazzi di quindici anni, che vivono rispettivamente nelle proprie case. Va specificato che ora si parla di violenza nelle relazioni intime, perché può avvenire anche al di fuori della convivenza. È una specifica significativa, dal punto di vista legale.

Che servizi offre Millemé a chi si trova coinvolto in casi di relazioni violente?

L’associazione è un gruppo di auto-mutuo-aiuto. Si inizia raccontando la propria storia e poi si condividono i vari traguardi raggiunti durante il percorso. Abbiamo persone che sono ancora dentro la situazione violenta, con diversi livelli di gravità, fino a toccare reali casi di pericolo; a quel punto l’avvio al centro di anti-violenza è immediato, ed è un contatto che possiamo gestire anche direttamente noi. Ma abbiamo anche persone che sono già uscite dalla situazione violenta e ci raccontano i loro vissuti, le difficoltà, il fatto che capiti di pensare ancora al proprio carnefice.

Il confronto con gli altri ha effetti positivi o destabilizzanti?

È rassicurante, perché magari gli altri hanno proprio gli stessi pensieri: “Non preoccuparti, anch’io lo sognavo sempre, è tutto normale, non c’è niente di strano, questo non significa che devi tornare indietro”. Il punto non è soltanto uscire dalla situazione violenta, ma anche riuscire a mantenere la decisione. Prenderla, spesso, è un gesto dettato dall’impulsività. Mantenerla è la parte più difficile. Dieci minuti dopo che si è fuori da quella porta, ci sono tanti interrogativi, sensi di colpa, la paura di aver sbagliato, la sensazione di aver provocato il carnefice in qualche modo, che portano spesso la vittima a fare passi indietro.

Da un punto di vista pratico e burocratico, l’associazione Millemé come si è organizzata per offrire un servizio così articolato e allo stesso tempo a titolo gratuito?

Noi abbiamo un sistema di turni, con cui monitoriamo il gruppo. I messaggi ricevuti dalle vittime e dai sopravvissuti, sia uomini che donne, vengono controllati da noi professionisti. La persona può chiedere aiuto sia agli altri compagni che ai nostri legali, fino a richiedere un consulto psicologico. I nostri legali possono operare il gratuito patrocinio, quindi seguono le vittime in termini gratuiti.

Una stima di persone che, ad oggi, hanno chiesto assistenza a Millemé?

Il gruppo è composto da 240 persone, tra vittime di violenza e sopravvissuti che ci contattano da tutta Italia, e in particolare da Lazio, Campania e Puglia. Ogni giorno arrivano richieste, post, condivisioni di esperienze e anche di successi. Non è solo un gruppo dove si racconta il dolore, c’è tanta motivazione dentro. E soprattutto ci sono anche molti uomini.

Ormai iniziate ad avere un seguito importante, complice anche il vostro intervento nella trasmissione “La vita in diretta”. Attraverso quali canali le persone arrivano a conoscere la vostra associazione?

Siamo stati ospiti de “La vita in diretta” l’anno scorso, e grazie a questa vetrina abbiamo ricevuto tantissime richieste. Ovviamente la pagina funziona anche grazie ai contenuti che condividiamo, che piano piano fanno conoscere Millemé attraverso diversi canali. Abbiamo iniziato anche un ciclo di incontri, a partire dall’evento del 5 luglio a Roma.

Perché l’anonimato è una coperta di Linus ancora così cara a chi denuncia una violenza di genere quanto a chi deve testimoniare a favore di una vittima? La difficoltà a parlarne in pubblico o ad esporsi di fronte alle autorità, da cosa dipende?

Le vittime di violenza sono protette da un certo tipo di anonimato, come per la violenza sessuale, perché segue lo stesso iter traumatico. E quindi è giusto che la persona non entri in contatto con il maltrattante, perché potrebbe ri-acutizzare il trauma. L’anonimato è funzionale da un punto di vista psicologico, mentre per quanto riguarda la denuncia non siamo arrivati a degli standard adeguati.

Può riportarmi un esempio diretto?

Ho avuto una paziente che è andata in pronto soccorso completamente spezzata dal compagno, con il volto tumefatto, la mascella rotta e il corpo coperto di lividi a causa dei vari calci. In pronto soccorso è arrivata alle due e mezza di notte, è stato seguito il protocollo, e lei ha giustificato la sua condizione con una brutta caduta capitata durante le pulizie in cucina. Non era possibile. Questo avrebbe dovuto insospettire chi l’ha visitata fino ad avviare un’indagine più approfondita. Il medico avrebbe potuto prendersi in carico quel caso, consultare uno psicologo, e magari salvare quella persona senza arrivare a farle rischiare la vita.

Quali sono secondo lei i termini legali, ma anche etici, entro i quali un’autorità può intervenire al di là della volontà e delle dichiarazioni della vittima?

Quando si tratta di un minore ovviamente le denunce d’ufficio partono in automatico. Diverso è se un adulto decide di non denunciare. Ma se un professionista formato, che sa riconoscere i segnali della violenza, facesse partire un protocollo specifico consentendo magari ad uno psicologo di intervenire con dolcezza, creando un ambiente sicuro… la vittima si sentirebbe libera di affrontare la verità. Questo potrebbe motivarla a liberarsi, nonostante tutta la fragilità di quel momento. Dobbiamo sempre pensare che si tratta di vite da salvare. Senza un intervento rischiano di diventare quei casi di cronaca nera che leggiamo sul giornale.

Perché è così difficile ammettere di trovarsi in una relazione malata?

Le vittime di violenza non si riconoscono vittime neanche dopo un percorso. Sono state soggette a una forma di manipolazione costante, spesso chiamata anche “gaslighting” (forma di violenza psicologica che porta la vittima, attraverso false informazioni messe in campo dal partner, a dubitare della sua stessa memoria e percezione, ndr). Non riconoscono più la differenza tra il male e il bene. Millemé lavora molto in questa direzione, presentando tutti i segnali, i prodromi di quello che potrebbe diventare un rapporto abusante.

Spesso le vittime di violenza hanno alle spalle una storia di abusi o di relazioni familiari tossiche, che influiscono sulla loro soglia di sopportazione. È possibile che arrivino quasi a compiacersi quando riescono a fronteggiare la violenza del partner?

Esatto, spesso le vittime riproducono modelli familiari di potere e di controllo, identificandosi con il genitore più fragile che hanno cercato di aiutare. Spesso in età adulta si trovano a rivivere quella storia, con la volontà di cambiare il finale. Se hanno avuto un padre abusante, tendono a voler conquistare partner con caratteristiche simili a quelle del genitore, con l’illusione di poter avere il controllo e l’energia che gli permettono di vincere questa sfida. Vorrebbero sempre riuscire a vincere quel padre. Per questo in terapia attuiamo delle strategie di immaginazione corporea, che consentono alla persona di riscrivere la propria esperienza traumatica.

Il concetto di trauma è ampio ormai.

Per trauma non necessariamente si parla di botte o di un evento scatenante. Si tratta anche di piccoli eventi, per esempio di deprivazione emotiva, distacchi e molto altro. Spesso sono piccoli eventi che insieme costituiscono il trauma complesso.

Un trauma e una violenza che, Millemé ci tiene a specificarlo, riguardano anche gli uomini. Può portarmi ad esempio qualche caso di violenza in cui l’uomo è abusato e la donna è abusante?

La violenza nelle relazione intime colpisce uomini e donne, coppie omosessuali ed eterosessuali, adolescenti e adulti, è un problema trasversale. Fino a poco tempo è stato riferito solo alle donne. Questo perché spesso non ci sono molti dati sugli uomini vittime di violenza. C’è tanta vergogna rispetto alla denuncia, c’è molto sommerso. Inoltre noi professionisti non parliamo mai solo di violenza fisica: è anche verbale, psicologica, emotiva, economica. Possiamo parlare di donne che compiono azioni di stalking, di forme di controllo attraverso i social media, di gelosia eccessiva che porta alla costruzioni di account fake per spiare il partner, tutti aspetti che ancora vanno studiati a fondo. Sono forme di umiliazione, di denigrazione dell’altro, che lo mortificano e delegittimano i suoi bisogni. Fino a raggiungere l’esempio più estremo della denuncia di un uomo che è stato sfigurato con l’acido da una donna. In terapia ho diversi uomini distrutti da quella che si chiama “dipendenza affettiva patologica”. Sono relazioni con personalità disturbate o maltrattanti, che li riducono al nulla. Hanno difficoltà a raccontarlo, magari vengono in terapia dopo anni di comportamenti vessatori. A volte gli uomini subiscono anche di più, perché devono riconoscersi come vittime.

Photo Credits: Andrea Mazzucco

In foto: Le attrici Francesca Inaudi e Loredana Cannata durante il primo incontro dell’associazione Millemé. In occasione dell’evento mediato e promosso da Francesca Inaudi, Loredana Cannata ha raccontato agli ospiti la sua personale esperienza da vittima di violenza di genere. Il prossimo appuntamento per il ciclo di incontri Millemé, aperti al pubblico e ad ingresso gratuito, è previsto per dicembre.

 

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Millemé contatti: millemecommunity@gmail.com

 

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