Assolto con formula piena per non avere commesso il fatto. Non è Stefano Binda, per i giudici dell’Appello, l’assassino di Lidia Macchi, la studentessa ventenne di Comunione e Liberazione uccisa nel 1987. La ragazza fu massacrata con ventinove coltellate la sera del 5 gennaio 1987, sulla collina del Sass Pinì, nella zona di Cittiglio a Varese.
Terribile l’accusa che scattò per Binda, come ricorda sul Giorno Gabriele Moroni: omicidio volontario aggravato dalla violenza sessuale, dalla crudeltà, dalla minorata difesa della vittima. Aggredita di notte, in un luogo solitario. Il massacratore di Lidia Macchi non sarebbe però il Binda, 52 anni. Stefano era in cella dal 15 gennaio 2016: tre anni e mezzo che nessuno gli restituirà. Adesso è fuori.
Ma allora chi ha trucidato Lidia Macchi? L’interrogativo si ripropone dopo oltre 32 anni e cade nuovamente nel vuoto. Inizialmente le indagini, ricorda Gabriele Moroni sul Giorno, affondano nell’ambiente religioso della vittima, fra i suoi amici. Vengono messi sotto torchio 4 sacerdoti e un laico esponente di spicco del mondo cattolico varesino. Il polverone che si solleva è tale che interviene l’arcivescovo di Milano. Fra i religiosi c’è quello che chiamano il “prete biondo”, ricorda Moroni: è l’assistente spirituale dell’oratorio di San Vittore e l’anima del gruppo scout frequentato da Lidia. Si ritrova di fatto e ingiustamente indagato. Ma l’omicidio Macchi è anche una brutta storia di trascuratezza. Dall’ufficio corpi di reato di Varese spariscono 11 vetrini con liquido seminale dell’assassino, che esaminati con le nuove tecniche avrebbero potuto portare al suo Dna.
Nel novembre 2013 la procura generale di Milano avoca a sé l’inchiesta. Compare una figura, Patrizia Bianchi, amica del cuore di Binda negli anni giovanili. Si torna a esaminare la poesia anonima, dal titolo “In morte di un’amica”, recapitata alla famiglia Macchi pochi giorni dopo l’assassinio di Lidia. Versi cupi che gli inquirenti attribuiscono all’assassino. Quando Binda nega di essere l’autore si ritrova indagato. La consulenza grafologica gliela attribuisce. Il 15 gennaio 2016 viene arrestato. Poi la condanna all’ergastolo in primo grado. L’11 luglio scorso il colpo di scena: un misterioso uomo dichiara di essere lui l’autore di quella poesia. Crolla il perno di tutte le accuse a Stefano Binda. Il vero assassino è altrove. Lidia Macchi e la sua famiglia non hanno ancora giustizia.
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