Romina Falconi: “Le grandi canzoni trovano il modo di imporsi, chiedetelo a Vasco e Renato Zero” [ESCLUSIVA]
Il successo di Romina Falconi ha seguito in questi anni un percorso a dir poco singolare. Nata giovanissima come stellina sanremese, affermatasi nell’ambiente come corista della scuderia live di Eros Ramazzotti, esule dal mondo dei talent e delle major in seguito ad una discussa partecipazione ad X-Factor, la cantante romana ha trovato la sua strada solamente negli ultimi anni. La collaborazione con Immanuel Casto e la vicinanza alla comunità LGBT le hanno dato una nuova collocazione da artista “scomoda”: a partire dal 2014, un percorso fatto di sfrontatezza, faccia tosta e fantasiose campagne di guerrilla marketing ne hanno fatto un piccolo punto di riferimento per un certo tipo di pop, sicuramente alternativo a quello mainstream.
Da allora il seguito di Romina Falconi è cresciuto di anno in anno, e il semi-concept Biondologia è arrivato come il lavoro della maturità. Il singolo Magari Muori, pubblicato quest’estate in collaborazione con la famigerata Taffo, ne ha inoltre confermato lo statuto di autrice cult, per quanto (o forse proprio perché) lontanissima dal mondo delle televisioni e delle classifiche. Di questo e di molto altro, abbiamo discusso proprio con la diretta interessata.
Intervista esclusiva a Romina Falconi, dopo il successo a sorpresa di “Magari Muori” e l’accoglienza entusiasta di “Biondologia”
Velvet: “Magari Muori” suona quasi come una parodia dell’ossessione italiana per il tormentone estivo. Perché questa provocazione?
Romina Falconi: Ho sempre cercato di dare una lettura mia della musica che ascoltiamo. È un periodo in cui le offerte sono tantissime, ed essere se stessi premia. Riccardo Pirrone della Taffo, curatore della pagina web, aveva sentito Biondologia e lo aveva amato: così mi aveva proposto un brano in collaborazione. Io sono una strana, e ho capito che dovevo fare di necessità virtù. Anni fa avevo seguito un’inchiesta nella quale molte persone, di fronte alla morte, rivelavano il rimpianto per delle decisioni mai prese, per aver sempre accettato le imposizioni della società. Ho pensato di ritirare fuori il concetto per la Taffo. L’inno alla vita è una cosa ridondante, stucchevole, e io volevo farne uno insolito. Avevamo pensato ad una trovata per la pagina social, poi a sorpresa Mentana ci condivise. Abbiamo fatto un milione di visualizzazioni. Mi hanno cercato subito in tantissimi, e il successo del singolo è diventata la ciliegina sulla torta.
Questo tipo di trovate, a metà tra lo scherzo e la provocazione situazionista, fanno parte del tuo bagaglio. Ricordiamo le iniziative per i singoli “Piovono Saponette” e “Le 5 Fasi del Dolore”…
Parlando con addetti ai lavori della musica italiana, ho scoperto che tutti seguono delle regole comunicative fissate per un ideale pop dignitoso e confezionato, quanto omologabile. Ma perché adattarsi a queste regole, se non si hanno mezzi né multinazionali dietro? Così ho iniziato a studiare metodi di comunicazione diversi. La nostra realtà è indipendente e i mezzi sono limitati. Non possiamo permetterci i cartelloni. Decisi quindi di abbandonare regole fissate da chi, a differenza nostra, ha il budget per metterle insieme. Ci servivano altri modi per far girare la voce. I manifesti delle saponette è stata un’iniziativa messa insieme con degli amici: andammo noi stessi di notte ad appenderli. E siamo finiti sul giornale. Per “Le 5 Fasi del Dolore” ho preso un’amica attrice, le ho pagato il velo e le ho chiesto di mettersi a piangere in Piazza Duomo. È stato un esperimento sociale: mostrare che l’abbandono fa paura. Queste idee, vedi, contano più del budget.
Un approccio completamente diverso da quello portato avanti per gli artisti major.
Sarebbe bello avere soldi e appoggi dietro, ma è il senso di frustrazione che mi ha poi portato a scrivere quello che ho scritto. A me piace il pop, ma ho sempre voluto essere me stessa. Anche scrivendo cose poco carine. Tornare a casa con la certezza di essere stata sincera. Avrei potuto pagarlo caro, ma scrivere canzoni in fondo è sempre un’attività da saltimbanco. Con la giusta intelligenza si può fare tutto. I talent esistono, ma nessuno è obbligato a seguire quell’iter. La tua stranezza deve diventare un punto di forza. La strada facile ti permette di arrivare prima degli altri, ma sai che entro tre anni arriverà un rivale più giovane a farti le scarpe. I miei idoli, che siano Vasco o Renato Zero, hanno fatto fatica ad emergere proprio per questa loro singolarità.
Questo tuo bisogno di libertà ti ha condotto verso scelte radicali in passato, come la famosa rottura con la Universal.
Nel mio caso successe che la Universal cambiò presidente, e pur avendo investito molto su di me mi trovai “parcheggiata”. Non sarei mai stata una priorità. Stessa cosa con la Sony dopo X Factor: lì funziona che ricevi un contratto preventivo per un’esclusiva di due anni, ma chi viene veramente seguito è solo il vincitore. Io ci andai a parlare: nel talent sono arrivata a metà percorso, non posso darvi un’esclusiva se non credete in me. Peraltro ci sono lavori confezionati da Dio, con investimenti folli, ma che magari non piacciono. La gente ha imparato a non fidarsi della pubblicità, non la freghi. Ha accesso totale a tutte le canzoni, e se non piacciono le lascia lì. Sono i pregi del medioevo musicale.
Un’offerta musicale sconfinata che ha reso la fruizione molto più nebulosa. Oggi un ipotetico fan può decidere di ascoltarti e, con la stessa facilità, di metterti da parte.
Esattamente. La fedeltà è una cosa diversa. Essere compresi, anche se da pochi fan, è il meglio che possa chiedere un cantautore. All’inizio quando dicevo parolacce ero preoccupata di cosa avrebbe potuto dire la gente. Poi ho iniziato a giocare con la stranezza, coltivandola senza seguire regole. È lì che sono arrivati i consensi. “Magari Muori” è apprezzata da gente che comprende il sarcasmo dietro lo sfogo. L’estremizzazione ti porta un pubblico intelligente, tollerante, disposto ad accettare le tue sfaccettature. Ho fatto una sorta di selezione: posso dire una parolaccia e so che mi comprenderanno. Di quelli che si indignano non mi importa, tanto è gente che il disco non lo compra e ai concerti non ci va. Non è sbagliato dare giudizi negativi, ma spesso è cattiveria gratuita, e io ho imparato a lasciar correre. Chi ama giudicare non è davvero un appassionato di musica: l’appassionato piuttosto ti ignora, ma non ti insulta. Dopo tanti anni ho trovato dei fan a cui non importa di vedermi in tv, ma che comprendono le mie idee.
Che tipo di progetto portate avanti con la Freaks & Chic? Insieme a Immanuel Casto siete soci attivi oltre che artisti.
Romina Falconi: Noi nasciamo come casa discografica. Conobbi Immanuel e il video del nostro primo duetto andò fortissimo. Siamo diventati amici, ci sentiamo ogni giorno, anche per cose private. Ora alla F&C siamo in quattro, tra artisti e produttori. In seguito abbiamo deciso di creare una nostra realtà, con una nostra rete di attività. Lo scopo non è solo incidere dischi, ma creare qualcosa di originale che lasci il segno. Oggi nonostante l’illusione di libertà dei social, la figura femminile nel pop è sempre quella, quest’idea della ragazza della porta accanto.
Questa componente social quanto è importante?
Tanti ragazzini si svegliano abbattuti, per tanti motivi, e seguendo su Instagram i loro beniamini vedono solo figure idealizzate che contribuiscono a farli sentire di mer*a. Ma sono le giornate brutte quelle che ti fanno crescere. Non puoi pensare di mostrare al mondo solo quel lato lì della vita. Poi per carità, gente come me dovrebbe benedire i social: sono diventati le estensioni di noi stessi. Ma li usiamo solo per mostrare la nostra parte migliore. L’hashtag #solocosebelle a me fa venire i vermi. E certo, chi ha voglia di cose brutte? Ma nelle mie canzoni vorrei infondere un senso di fragilità, non per forza inteso una cosa negativa. Le musica resta, ed è in quella che bisogna essere sinceri.
Limitandosi a seguire le tendenze è difficile essere ricordati. Per un Ghali che ce la fa, quanti altri trapper finiranno messi da parte per essersi limitati a seguire una moda? “Sei Bellissima” della Bertè è un pezzo diventato famoso anni dopo l’uscita: le grandi canzoni trovano il modo di imporsi. Questa libertà è sfiancante, specie se non sei nessuno. Ma è la cosa più bella che un artista possa avere. È quando ho cominciato a mettere su carta i pensieri brutti che il mio pubblico è cresciuto. Avrei dovuto arrivarci prima, ma l’auto-accettazione è dura.
In Biondologia questo percorso è evidente: è un disco molto più amaro rispetto a Certi Sogni Si Fanno Attraverso un Filo D’Odio, anche meno ridondante da un punto di vista visivo.
Era l’unico modo. Con il primo disco volevo far uscire qualcosa di mio dopo tanti anni, era la chiusura di un cerchio. Per il secondo doveva valerne la pena. Volevo scrivere canzoni che non facessero sentire solo nessuno. Volevo dire che dopo un tradimento è normale pensare male. Dovevo metterci tutto.
È il coronamento di una seconda fase di carriera, rispetto a quella sanremese e dei talent.
Io devo dire grazie anche a Sanremo. Se avessi fatto il primo disco allora, avrei vissuto un iter da cantate comune, e non sarei arrivata oggi a fare un disco come Biondologia, figlio di anni di frustrazione. Quando hai avuto solo riconoscimenti è difficile rischiare. Ritrovandosi nudi, poveri e soli, trovi la consapevolezza che peggio non può andare. E riesci a mostrare quel lato di te.
Fin dal primo ascolto il disco suona estremamente introspettivo, emozionale.
Sono super felice dell’album. E non cambierei per nulla al mondo i miei fan. Molti ambiscono ai follower, ma alla fine bisogna fare i conti con noi stessi e ciò che rappresentiamo. La gente con cui mi confronto è talmente bella che a me non pare vero. Tante realtà non sono così. È meglio ritagliarsi il proprio spazio piano piano. Un po’ di paura ad inizio carriera è ciò che mi ha permesso di trovare un pubblico di persone incredibili. Un cantante vive in base ai consensi, e le persone sopravvissute amano vedere rappresentate con ironia le loro tragedie.
Qual è stata la risposta nei primi live?
Sono tutti impazziti. Io nasco live, da bambina cantavo ai matrimoni anziché andare in piscina. Sapersi esibire è più importante delle scuole di canto. La pratica va oltre la teoria. Io nasco in quella dimensione, e lì funziono meglio. Me lo dicono in molti ed è una gioia immensa. Amano la maniera in cui propongo le mie cose. Il guerrilla marketing è ormai un nostro marchio di fabbrica e, che funzioni o meno, è una figata. Ma la vera soddisfazione è che ora è subentrata la Mescal. Una struttura storica ha deciso di appoggiare la mia follia. A loro piaccio così: sono entrati in corsa su Biondologia, che è una cosa che non succede. Hanno insistito per collaborare al disco in fase di costruzione. Non sentirsi più soli è una gran cosa.
Non c’è più bisogno di andare ad appendere manifesti di notte allora.
Ma i manifesti voglio appenderli! È bello essere padrone e garzone del negozio. Così ti rendi conto del peso dei sacrifici. Sudandoti i tuoi risultati: è così che te li godi davvero. Ti senti in pace con te stesso. Io ragiono ancora come un muratore, voglio andare sul posto e lavorare. Quante volte nelle major arrivano idee esterne e il cantante è l’ultimo a saperlo? Ora sono loro che pendono dalle mie labbra. Sono io che ho insistito per un’iniziativa come il Centro d’Ascolto per Cuori Infranti: conoscendo i miei fan, ho deciso di aprire un rapporto diretto con loro. E quelli che hanno risposto sono persone che poi ho imparato a conoscere. Quando mi raccontano della loro vita io me lo ricordo. Non invidio chi ha ottenuto risultati più alti: io ho un rapporto strano con il mio pubblico rispetto ad altre popstar. Un cantante non è solo chi canta una canzone. Uno deve sapersi rimboccare le maniche, e cucirsi da solo il proprio vestito.