Oceanografo Fisico, Andrea Bergamasco ( nella foto in alto) è fra gli scienziati più importanti del nuovo Istituto di Scienze Polari di Venezia, operativo dallo scorso mese di giugno grazie a una joint venture fra il Cnr e l’Università Ca’ Foscari. Bergamasco continua però a lavorare anche all’Istituto di Scienze Marine (Ismar) del Cnr veneziano. Da quasi trent’anni partecipa a campagne oceanografiche nel Mediterraneo e nell’Oceano Meridionale. Adesso la sua attenzione è maggiormente focalizzata sui fenomeni in corso al Polo Nord e al Polo Sud, con particolare riguardo all’Antartide.
Professor Bergamasco, l’estate 2019 sarà ricordata per lo scioglimento record dei ghiacci ai Poli e in Groenlandia in particolare, oltreché per i milioni di ettari bruciati dagli incendi in Siberia. Cosa stiamo facendo per fronteggiare questi fenomeni?
Globalmente, come società umana, non facciamo abbastanza. Siamo indietro. Aumenta però la comprensione di questi fenomeni e la consapevolezza diffusa della loro gravità per il nostro pianeta e per la nostra vita.
In Islanda si è celebrato il “funerale” di un ghiacciaio che ha smesso di esistere dopo 700 anni. Sulle coste occidentali della Groenlandia si sono toccati i 22 gradi, non molti meno di quelli che, a inizio agosto, si registravano in Italia. Cosa sta succedendo?
Succede che ogni anno che passa cresce il livello medio del riscaldamento della temperatura ai Poli, oltreché in generale nel mondo. Di per sé è allarmante che si raggiungano i 22 gradi in Groenlandia ma la cosa che conta di più è la quantità e la qualità del ghiaccio che si scioglie.
Quando parliamo di scioglimento dei ghiacci cosa intendiamo esattamente?
L’Artide e l’Antartide sono formate dal ghiaccio continentale, derivante dal congelamento da neve, che forma le calotte polari perenni, e dal ghiaccio marino, salato, che galleggia in mare e può durare anni. Contrariamente al ghiaccio continentale, il ghiaccio marino ha un andamento stagionale, va e viene, per così dire, si forma e si disfa. Le calotte polari, invece, sono composte da ghiacci stratificatisi in centinaia di migliaia, a volte milioni di anni. Noi registriamo ormai due tipi di fenomeni allarmanti: da un lato si forma meno ghiaccio “stagionale” e se ne scioglie di più; dall’altro esiste una maggiore porzione di ghiacci perenni che tendono a sciogliersi. Anche in Antartide, ad esempio, nel West Antarctic Ice Sheet – la parte occidentale del Polo Sud che guarda l’America meridionale – si assiste a un riscaldamento delle temperature. Mentre succede con molta minore intensità nella parte orientale, che dà sull’Oceano Pacifico.
Quali sono le principali conseguenze su tutta la Terra se i ghiacci si sciolgono più del dovuto?
È in particolare la sparizione lenta ma progressiva dei ghiacciai perenni ai Poli che costituisce un problema molto serio. Perché in questo modo aumenta nel corso del tempo il livello medio del mare. Le conseguenze non sono poche. Ne cito solo alcune: alzandosi il livello del mare subiremo un moto ondoso più alto e una maggiore erosione delle coste; gli atolli corallini rischiano di sparire; l’agricoltura rischia di cambiare in una sorta di processo a catena.
Può farci un esempio sui mutamenti in agricoltura?
Prendiamo la nostra Italia. Nella Bassa padana, ma non solo, le idrovore sono fondamentali per l’esistenza stessa dei campi. Quelle che “pescano” dalle falde vicine alle zone costiere rischieranno di incontrare un cuneo salino maggiore, cioè più acqua salata di mare. Questo influirà sulle coltivazioni, le colture potrebbero essere danneggiate, o dovrebbe essere cambiate per la necessità di adattarsi alle nuove condizioni dell’acqua usata per irrigare.
Si può agire di fronte a questi cambiamenti epocali del clima e dell’ambiente?
Sì. Anche nella nostra vita quotidiana. Non soltanto a livello di governi e consessi internazionali. Si possono fare meno docce calde, ad esempio, considerato che anche il fare una semplice doccia implica consumo di energia dallo sfruttamento di combustibili. Oppure farla ma con un grado di riscaldamento in meno. Basterebbe anzi chiudere l’acqua, per consumarne meno, mentre ci insaponiamo. Si può e si deve usare meno plastica e riciclarla di più. Si può e si deve adoperare mezzi di trasporto meno inquinanti possibile.
Come risponde l’opinione pubblica di fronte alla necessità di mutare abitudini e stile di vita?
I giovani mi sembrano motivati. A partire dagli adolescenti. Quelli con cui mi sono confrontato si chiedono: “Cosa possiamo fare?”. Gli adulti mi sembrano eccessivamente ottimisti. Mostrano un’illimitata fiducia nella tecnologia come se fosse questa a salvarci dalla distruzione dell’ambiente. Occorre invece più scienza, maggiore ricerca, studio e conoscenza dei fenomeni e della loro evoluzione.
Photo credits. Twitter / Facebook / Andrea Bergamasco