Era nell’aria da tempo. Da anni. E adesso accade. È una svolta clamorosa e al tempo stesso abbastanza scontata. Dopo aver cambiato i connotati al Partito democratico “rottamando” i suoi avversari interni di sinistra, ora Matteo Renzi abbandona a sua volta il Pd. Prima lo ha portato al suo massimo storico – elezioni europee del 2014 – poi, fallito il referendum costituzionale, al suo minino storico – elezioni politiche del 2018 -. Ecco allora l’addio definitivo.
“Lasciare il partito sarà un bene per tutti, anche per Conte. Il Pd è diventato un insieme di correnti, manca una visione sul futuro“. Intervistato oggi 17 settembre da Repubblica, Matteo Renzi spiega così la sua decisione di lasciare i dem. E fa sapere che saranno con lui una trentina di parlamentari. I gruppi autonomi renziani nasceranno questa settimana. L’ex premier ed ex segretario dei democratici sostiene di voler passare i prossimi mesi a combattere Salvini non a difendersi dal “fuoco amico”
Alla Leopolda – la convention fiorentina da sempre ritrovo dei renziani attorno al loro leader – sarà presentato il simbolo del nuovo movimento politico. E il primo impegno elettorale in vista delle elezioni politiche, “sperando che siano nel 2023”. Ma anche delle Europee, fissate al 2024.
Amaro il commento del segretario del Partito democratico, Nicola Zingaretti, sulla scissione: “Ci dispiace, è un errore”. Da giorni nei Dem le acque erano agitate e la scissione veniva evocata nei rumors di Palazzo. Poi ieri 16 settembre l’accelerazione con una telefonata al premier Giuseppe Conte al quale Renzi avrebbe garantito il proprio sostegno.
In serata, dopo che la notizia che l’ex premier aveva ormai deciso di mollare gli ormeggi il commento amaro del capo delegazione del Pd al governo, il ministro Dario Franceschini. Il quale nella chat dei deputati Pd avrebbe sbottato: “Nel 1921-22 il fascismo cresceva sempre più, utilizzando rabbia e paure. Popolari, socialisti, liberali avevano la maggioranza in Parlamento e fecero nascere i governi Bonomi, poi Facta 1 poi Facta 2. La litigiosità e le divisioni dentro i partiti li resero deboli sino a far trionfare Mussolini nell’ottobre 1922. La storia dovrebbe insegnarci a non ripetere gli errori”.
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