Cantante, musicista e produttore discografico, Luca Jurman è stato per anni uno dei protagonisti del talent show più longevo della televisione italiana, Amici di Maria De Filippi. Uscito di scena nel 2011, dopo 4 anni di intensa partecipazione non priva di polemiche, Jurman oggi racconta il suo punto di vista sempre più lucido, tagliente e in parte rammaricato, su quella che lui definisce una grave involuzione dei format tv pensati per promuovere lo scouting di talenti.

Forte di una carriera tanto fitta da definirlo automaticamente un fuoriclasse, Jurman ha collaborato con le più grandi firme della musica italiana (Pausini, Ramazzotti, Zucchero, Bocelli, Spagna, Ruggeri, Zero, Leali, Dalla, Vanoni, Jovanotti, Bosé, Mogol, Celentano, Alexia e Pino Daniele) oltre che con nomi internazionali del calibro di Phil Collins, Grace Jones, Randy Crawford e Alejandro Sanz.

Ma proprio quella visione così conflittuale e onesta, forse, lo ha spinto direttamente tra le braccia del suo progetto più recente, quello della Nazionale Artisti Ski Team. Perché Jurman “la musica non se la toglie dalla testa”, e che passi per lo sport oppure in prima serata tv, poco importa. La sua ‘mission’, come lui ama chiamarla, è sempre più chiara.

Intervista a Luca Jurman: da “Amici” alla “Nazionale Artisti Ski Team”

Nata da un’idea di Luca Jurman, la Nazionale Artisti Ski Team unisce la passione dello sci a quella della musica, in un’operazione di scouting e supporto per i giovani talenti con disabilità fisiche. Insieme a Jurman, nell’impresa, un team di artisti come Alexia, Paolo Ruffini, Valerio Staffelli, Francesco Facchinetti, Giorgio Mastrota, Annalisa Minetti, Vera Castagna, Omar Fantini, Max Laudadio e molti altri.

Partirei subito dalla Nazionale Artisti Ski Team, un progetto davvero tuo, che hai molto a cuore: di cosa si tratta?

Ci occupiamo di creare il futuro per il talento dei bambini con disabilità fisiche nel mondo dello sport paralimpico. Questo significa che facciamo un po’ da scouting per la Federazione Italiana Sport Invernali Paralimpici, organizzando dei camp a spese totalmente nostre, dove reclutiamo bambini con disabilità fisiche da tutta Italia, per una settimana di lavoro sulla neve. Ci sono principalmente due fasce, quella dai 7 ai 9 anni e quella dai 10 ai 14. La mattina si fa formazione sulla neve, il pomeriggio teatro comico e musica. In questo modo imparano sin da bambini a divertirsi e sdrammatizzare su tante cose della vita. Quest’anno abbiamo avuto nove bambini, quasi tutti ciechi e qualche ipovedente. Dopo il quinto giorno che andavano sulla neve il risultato, rispetto ad altri bambini normovedenti, è stato impressionante!

È stato da subito facile ottenere la fiducia dei genitori di questi bambini?

Noi siamo patrocinati dalla Federazione e all’interno della nostra squadra ci sono professionisti di Striscia la Notizia, de Le Iene, con noi c’era anche Nadia (Toffa, ndr) che purtroppo è venuta a mancare da poco. Credo che questa serietà d’azione si percepisca subito e sia indiscutibile fin dal primo approccio. Peraltro non stiamo chiedendo niente a nessuno, siamo noi ad offrire: paghiamo il soggiorno, gli skipass, l’attrezzattura, anche i maestri sono a spese nostre. I genitori pagano solo il viaggio e, anche in quel caso, di fronte ad una difficoltà economica interveniamo comunque noi. Tutto viene pagato per il bambino e per un accompagnatore. Si tratta di svariate migliaia di euro.

E come fate a trovare questi fondi?

Facciamo delle gare goliardiche, dove ci mettiamo in gioco noi della Nazionale Artisti Ski Team, oppure contro le vecchie glorie del passato, come abbiamo già fatto con Giorgio Rocca, con Gustav Thöni, Kristian Ghedina, Franco Bieler, Maria Rosa Quario, Claudia Giordani e Karen Putzer. Raccogliamo fondi con queste manifestazioni e con altre fondazioni collaterali che sposano il nostro progetto. Prima dei camp c’è la mission di creare una struttura, letteralmente una “Casa dei Sogni”. Come puoi immaginare, però, questo richiede qualche milioncino di euro; e noi non siamo la Nazionale di Calcio, con lo sci è più difficile raccogliere fondi importanti.

La vostra è letteralmente un’operazione di scouting.

Esatto. Senza nulla togliere alla beneficenza, questa è un’operazione diversa. Si tratta di vera formazione. Come suggerisce il nostro slogan, davvero investiamo per “creare un futuro”. Alla fine del camp infatti c’è una selezione di bambini scelti della commissione, che noi dobbiamo portare avanti durante l’inverno con le strutture adeguate e lo sci club; questo fino al compimento dei 16 anni, età in cui la Federazione potrà ‘assorbire’ quel talento e proseguire insieme a lui.

Quando hai messo in piedi questo progetto temevi che potesse non funzionare?

È nato tutto una mattina presto, di Capodanno, sulle piste di Ponte di Legno. Sono andato a sciare e di solito a quell’ora non c’è nessuno. Finché nel silenzio totale, spettacolare, di quella mattina, ho sentito le risate fortissime di un bambino. Mi sono voltato e di fronte ad una biforcazione della pista è passato un bambino su un guscio mono-sci, una sorta di culla con sotto uno sci, mentre nelle mani teneva dei bastoni stabilizzatori. Dietro c’era l’istruttore che gli dava i comandi dal casco, con l’interfono. Pensa te, mi sono detto, questo bambino si stava divertendo da solo nonostante la sua disabilità. Da lì non sapevo cosa potesse nascere ma ho chiamato subito il mio amico, Alberto Laurora, che è anche mio socio della Nazionale ed istruttore di sci… e dopo due ore già avevamo la prima data per iniziare.

Tecnicismi a parte: emotivamente sembra una sfida difficile da affrontare.

Sì, non è per niente facile. La motivazione più grande nasce da una domanda che ci poniamo sempre: è più difficile fare qualcosa per questi bambini, o essere al posto di questi bambini? L’unica vera sfida è trovare le persone che ci aiutino veramente. Tanti parlano ma pochi mettono mano al portafogli per collaborare ad una mission del genere. Quei pochi che ci sono ce li teniamo stretti, e li ringraziamo di cuore.

Nel tuo percorso tutto sembra aver preso forma facilmente, con naturalezza. Ti sentivi destinato a fare questo mestiere?

La dedizione per la musica è nata insieme a me, e non sapevo perché. La cosa che mi ha dato sempre fastidio nella formazione musicale è che tante volte, quando uno arriva all’apice della conoscenza o delle capacità, è come se si tenesse tutto per sé, come fossero segreti. Questo succede specialmente in Italia. Io avevo sin da bambino sete di conoscenza e molte risposte non mi sono state date. Ecco perché ora, che di risposte credo di averne trovate parecchie, penso che per un artista sapiente debba diventare un dovere aiutare gli altri artisti. E magari, perché no, dare delle chance. Lucio Dalla è stato uno così, se non ci fosse stato lui probabilmente gli Stadio non sarebbero esistiti. Dalla si batteva con la casa discografica, con i produttori, perché dal suo punto di vista erano talentuosi. Io ho vissuto e vivo col talento. Ma soprattutto amo il talento che scopro in giro, quindi perché non dovrei segnalarlo e aiutarlo, sperando di trovare gli artisti del futuro?

In uno dei tuoi ultimi post su Instagram hai scritto, con una vena polemica, che tra le nuove proposte ‘non trovi una voce fuori dal coro’.

Non manca solo la voce fuori dal coro, siamo entrati proprio in un meccanismo mediatico incasinato. Eticamente bisognerebbe mettere ‘a giudicare’ (una parola di un’importanza enorme) dei professionisti con un titolo o con un’abilità concettuale della musica tale da ‘permettersi’ di poter dare un giudizio costruttivo e oggettivo.

Fra un po’ gli imbrattatori verranno considerati grandi pittori, magari per aver messo un po’ di glitter su un quadro, che diventerà subito ‘moda’. Questo abbassa il livello totale dell’arte fino a pensare che un giovane senza reale esperienza possa fare il giudice e soprattutto aiutare chi è in gara. È grave far coprire ruoli così importanti a persone inesperte: se faccio passare uno che canta “carote, carote, carote” con quattro sì va bene, ma se boccio un talento che poco prima si è fatto prendere dall’emotività, non sono un esperto. Perché un esperto capisce quando un cantante ha un problema di emotività o una pecca tecnica ma comunque brilla.

Questo non ti rende insofferente? Essere parte di qualcosa che non approvi fino in fondo.

Mi rende molto insofferente. Mi fa soffrire che ci siano persone che magari hanno anche le capacità per poter essere dei giudici integerrimi, ma non arrivano fino in fondo perché si ‘vendono’ alle esigenze del mercato. Spesso sono persone che godono anche della mia stima personale.

Quindi tu credi sia possibile per un artista giudicarne un altro senza alcun conflitto di interesse? Come fai a non contaminare il tuo pensiero con il tuo gusto personale?

Un conto è Luca Jurman sul palco, un altro è distinguere tutto il resto. Ci sono cose che produco che col mio genere musicale non c’entrano un accidente. È come dire: io amavo Beethoven ma non potevo mica dire che Mozart non era bravo. Ognuno di noi ha dei propri canoni, ma alcuni sono oggettivi dell’arte eccelsa, e chi studia li conosce alla perfezione. Quando nel 2007 sono entrato ad Amici a dire “ragazzi, bisogna stare attenti al reflusso gastro-esofageo” ridevano tutti. Oggi, guarda caso, vai in farmacia e quello che 12 anni fa era un medicinale da prendere sotto prescrizione, ora lo trovi al banco. Perché il reflusso è la malattia del cantante, da sempre. Così come tutti i cantanti professionisti sanno che non dovrebbero bere bibite troppo calde, troppo fredde, gasate, alcol, caffè, ma poi lo fanno perché è difficile ovviamente.

Perché quindi unisco la musica allo sport? Io ho fatto anche arti marziali, per me la formazione dell’etica e dell’essere è molto importante. Chi fa agonismo ha una sua alimentazione da seguire, allenamenti costanti e regole per essere campione del mondo (tu infatti paghi la televisione o il biglietto, con tanto di sponsor mondiali, per vederli fare i 100 metri o il salto degli ostacoli). Stiamo parlando di arti eccelse, dovrebbero essere persone che eccellono in qualcosa, non che sono nella norma di qualcosa. Questo richiede spirito d’adattamento, disciplina e devozione, per avere risultati fuori dal comune. Ecco perché ci sono poche ‘persone fuori dal coro’. Cosa vuoi imparare su Youtube?

Quanti talenti validi hai ‘guidato’ e quanti sono stati invece un buco nell’acqua?

Ho guidato verso il successo tanti talenti. Ma se poi mi vengono seguiti da persone che sono degli squali, questi talenti non crescono e pian piano sono destinati a scomparire. Non li definirei buchi nell’acqua, ma battaglie che non sono riuscito a combattere fino in fondo, perché è impossibile vincerle da solo. Me ne sono andato perché ero stufo di vedere certe cose.

Però hai avuto anche e soprattutto incontri felici.

Assolutamente sì. Ho avuto la fortuna di ricevere la fiducia da parte di grandi nomi come Alejandro Sanz, Eros Ramazzotti, Laura Pausini che ha puntato su di me come suo direttore musicale, è stato un onore. Ho avuto la possibilità di lavorare anche con grandi registi come Gabriele Muccino a Maurizio Colombi nel teatro. Mi ha fregato un po’ la danza (ride, ndr).

Potresti pensarci…

Da ragazzino mi piaceva tantissimo, scherzavo spesso con la Celentano quando ero ad Amici: “io nasco ballerino”, le dicevo sempre.

Guardi ancora Amici?

Quando cerco di guardarlo, che proprio mi sforzo perché mi segnalano qualcuno di particolarmente bravo, poi magari lo ascolto e dico… “boh”.

Nostalgia non ce n’è, insomma.

In realtà una certa nostalgia sì, c’è. A me piace comunque lavorare in una condizione del genere, ma mi piacerebbe farlo veramente solo per il talento. Se dovessi andare a X Factor, a The Voice, piuttosto che ancora ad Amici, dovrei avere gli spazi giusti per la formazione, per dire le cose come stanno veramente. Altrimenti non ce la faccio. Ho visto allontanare e buttare via dei grandi talenti e questo mi ha fatto molto male.