Il Tribunale supremo elettorale (Tse) della Bolivia ha ufficializzato i risultati delle elezioni di domenica scorsa 20 ottobre. Evo Morales ha vinto la corsa alla presidenza con il 47,08% dei voti, mentre il suo più diretto avversario, Carlos Mesa, ne ha raccolti il 36,51%. Lo riferisce l’agenzia di stampa statale Abi.

Questo significa che il capo dello Stato uscente ha ottenuto, sulla base del 100% dello spoglio terminato ieri 25 ottobre, il 10.57% di voti in più dello sfidante. Quindi, in linea con la Costituzione boliviana, ha il diritto di dichiararsi vincitore. La decisione ha scatenato proteste, sit-in e cortei di giovani nelle più importanti città del Paese sudamericano.

La presidentessa del Tribunale, María Eugenia Choque, ha precisato alcuni dati. Fra gli altri candidati si sono distinti il pastore evangelico Chi Hyun Chung del Partito democratico cristiano (8,78%) e Oscar Ortiz Antelo (4,24%) del Movimento democratico sociale. Uno dei giudici, Idelfonso Mamani, ha assicurato che lo scrutinio è avvenuto sulla base di liste di elettori “verificate ed affidabili”. In un processo da cui è esclusa qualsiasi ipotesi di brogli, come suggerito da più parti.

Sulla correttezza del processo ha vivacemente obiettato l’opposizione del partito Comunidad Ciudadana di Mesa e dei comitati civici. I quali hanno chiesto l’intervento dell’Organizzazione degli Stati americani (Osa). L’Organizzazione aveva proposto una revisione dello scrutinio dubitando fortemente della regolarità del voto. E ha indicato che se il margine di vittoria di Morales fosse stato stato stretto, sarebbe stato meglio procedere a un ballottaggio il 15 dicembre. Tutto questo adesso non accadrà. La posizione dell’Organizzazione degli Stati americani è stata appoggiata anche dall’Unione europea (Ue) e da quattro Paesi in particolare: Usa, Argentina, Brasile e Colombia.