Psichiatra e perito per i tribunali, esperto saggista e romanziere di successo, Corrado De Rosa affronta quotidianamente i temi del conflitto personale e sociale, della mafia e del terrorismo. Salernitano verace, 44 anni, è autore di opere come Nella mente di un jihadista – per una psicologia dell’Isis (I Corsivi / Corriere della Sera) e L’uomo che dorme (nero Rizzoli). A De Rosa abbiamo chiesto una riflessione sulla violenza in Italia oggi.
La società italiana è più violenta che nel recente passato?
I dati scientifici dicono che i delitti sono in diminuzione. In Italia, tendenzialmente, i tassi registrati sono più bassi della media dell’Unione Europea. Anzi, negli ultimi decenni gli omicidi sono in calo, soprattutto fra gli uomini. Questo potrebbe essere connesso anche al fatto che le mafie sparano meno. Il problema, però, riguarda la percezione sociale della violenza. Se l’Italia ha attraversato gli anni della paura, forse potremmo definire questi anni gli anni dell’insicurezza. Le ragioni vanno ricercate nei rapidi cambiamenti della nostra società e nel disagio di non riuscire a sentirsi al passo coi tempi. Tutti elementi che generano nelle persone una costante percezione di precarietà.
La classe politica sembra assecondare un uso aggressivo dei social media, e li considera piazze da campagna elettorale. Quanto sono rappresentativi del reale modo di vivere e di pensare dei cittadini?
Non so quanto ma credo che lo siano, lo dimostrano i risultati elettorali. Questo perché il linguaggio da occhio per occhio, lo stile che non è più titubante sull’utilizzo della rabbia e dell’arroganza nel dibattito pubblico, l’accettazione – anzi, l’esortazione implicita – alla vendetta privata creano una nuova categoria di priorità emotive. Costruiscono un nuovo immaginario rispetto al vivere comune. I social media amplificano questo sistema, perché lì le posizioni diventano più radicali, violente. E la violenza verbale è un linguaggio ormai sostanzialmente accettato sul web come un dato di fatto.
Le cronache riferiscono di episodi di aggressività anche nel mondo della scuola: risse fra genitori dei bambini, insulti via chat, proteste per la presenza in classe di un compagno disabile…
I progetti educativi delle istituzioni hanno fallito, il modello familiare è in crisi. Quella specie di patteggiamento sociale da parte di chi deve stabilire le regole ha fatto sì che l’ignoranza non sia più un disvalore da contrastare senza equivoci. Le responsabilità non sono solo da una parte, ma è come se a questa sensazione di essere un passo indietro si risponda aggredendo, squalificando. Ecco, per esempio, i genitori assenti che all’improvviso diventano sindacalisti dei figli. Le comunicazioni virtuali, quelle via chat, spingono verso un contatto veloce. In realtà sono una finta ottimizzazione del tempo perché mancano del contatto diretto, facilitano fraintendimenti, aumentano rancori. La distanza virtuale esaspera piccoli, ordinari problemi con conseguenze sulla vita reale.
Fra gli adolescenti crescono forme di violenza gratuita di gruppo. In che modo stanno cambiando i ragazzi?
Ci sono adolescenti che si sentono forti ma hanno un’identità fragilissima. Coloro che si rendono protagonisti di violenze di gruppo agiscono per soddisfare bisogni, impulsi, per sedare paure, assumono comportamenti ipermascolini. Agiscono in gruppo perché il gruppo funziona da bussola, diluisce le responsabilità, de-umanizza le vittime.
Noi giornalisti siamo specializzati in “cattive notizie”. Può indicarne di buone, dal suo punto di vista, sugli italiani e il futuro verso cui stiamo andando?
Nonostante tutto, viviamo in una delle epoche meno violente della storia del mondo. Umore e fiducia nel futuro sono condizionati da eventi contingenti, però se guardiamo globalmente all’andamento del nostro tempo, possiamo dire che le aspettative di vita sono migliorate, il numero degli esseri umani che vivono sotto la soglia di povertà si è ridotto, sono aumentati i successi dovuti al progresso scientifico. Nonostante i naufragi dei migranti abbandonati nel Mediterraneo, assistiamo a un incremento, rispetto per esempio al secolo scorso, della tutela dei diritti umani. E a un’attenzione maggiore ai temi dell’ambiente, della legalità, della tutela delle fasce più deboli. Ma in un periodo storico intriso di populismo, nessuno ha mai reclutato seguaci annunciando che la situazione è migliorata.