Il nome di Lady Bic comincia a quanto pare ad andare stretto ad Adele Ceraudo. La celebre artista dei ritratti a penna, degli autoritratti fotografici, del corpo femminile come nuova chiave interpretativa dei classici maschili legati all’arte italiana, sta cercando nuove strade; dopo il periodo d’oro seguito alla storica collezione Le Affinità Elettive, lanciata nientemeno che da Vittorio Sgarbi e fondamentale nell’imporre il personaggio di Ceraudo al pubblico italiano, sembra essere arrivato il momento di portare l’arte del ritratto allo step successivo. Il prossimo progetto è dunque un’installazione video, realizzata in collaborazione con il regista Duccio Forzano, e presto lanciata a Roma sul palco del RIFF 2019.
L’approdo alla performance art è solamente l’ultimo step di un percorso travagliato, sofferto e continuamente rinnovato, che ha portato Adele Ceraudo a confrontarsi con gli aspetti più disparati dell’arte classica e moderna. Archiviate le provocazioni estemporanee e gli inevitabili, sterili dibattiti dei primi tempi, la figura sembra aver finalmente trovato una sua collocazione. Sempre in bilico tra espressione personale, discorso politico e avanguardia performativa.
Dalla recitazione al ritratto, dalla fotografia alla performance video: il sofferto percorso artistico di Adele Ceraudo aka “Lady Bic”, rievocato in un’intervista esclusiva in vista del nuovo progetto
Velvet: Raccontaci, come prima cosa, dell’installazione che presenterai a Roma a partire dal 16 novembre.
Adele Ceraudo: È un incontro tra arte, cinema e musica. Ho fatto convogliare in esso tutte le mie esperienze formative, per dare voce agli aspetti meno felici del femminile. La parte video l’abbiamo creata per la manifestazione L’Arte Non Mente, girando all’ex manicomio di Udine. Ho provato ad esprimere per mezzo dell’arte le sensazioni suscitate da questa struttura, che ancora conserva tutta la sua tragicità. Avevo creato questa performance di nome “Abbracciami”, e decisi di chiamare Duccio Forzano per aiutarmi con la parte video. Insieme abbiamo girato al Padiglione 9, quello che una volta era riservato alle donne scomode, rinchiuse da mariti e familiari, costrette a subire torture e mortificazioni psicologiche tali da condurle alla follia. Abbiamo incentrato il corto sulle lettere delle vere recluse dell’ospedale psichiatrico, intitolandolo così Io Non Sono Pazza.
Un tipo di lavorazione molto personale.
Io non sono un’attrice. Interpreto ciò che percepisco. Il film l’abbiamo girato in meno di una giornata, con luci naturali e la pioggia. Rigorosamente buona la prima.
Quanto è centrale il tuo background recitativo in questo tipo di performance?
Io non sono una modella, anche se spesso mi viene chiesto. Poso solo per me stessa. Ciò di cui voglio parlare è quello che ho vissuto sulla mia pelle, il frutto di un contesto formativo repressivo e patriarcale. Non c’entra il narcisismo: io uso il mio corpo per trasformarlo di volta in volta in Gesù Cristo, la Pietà di Michelangelo, la Creazione, l’Uomo Vitruviano di Leonardo… Ma sono sempre io. Non recito. Voglio rappresentare dei personaggi che già esistono dentro di me. È questo il messaggio: noi donne abbiamo già dentro questo tipo di figure. Ci nasciamo per un’eredità storica e culturale.
La riappropriazione di una complessità negata storicamente.
Il fatto del binomio ‘vergine o santa’. Sono classificazioni superate. Una donna può essere ogni cosa. Io stessa non voglio più dover spiegare ogni volta il fatto dei capelli verdi. Voglio poter essere tutto.
Lady Bic: “Ho deciso di onorare la forza, la resilienza”
Come si è evoluto questo percorso artistico, approdato solo ora all’arte performativa?
Il disegno in bic ruba l’occhio, ma è l’idea ciò che conta davvero. Io fin da piccola disegnavo, con una sensibilità particolare per la figura umana. Rifacevo i cartoni animati. A 18 anni ho deciso che avrei voluto fare l’attrice, mi pareva il lavoro più bello del mondo. Poi sono venuti fuori dei problemi miei personali. Finivo per distruggere regolarmente tutto ciò che costruivo, tutto quanto di buono riuscissi a creare. Le storie di abusi infantili fanno questo, ci convinciamo di non meritare ciò che abbiamo.
Quel periodo mi ha insegnato che non avevo l’atletismo e la disciplina per diventare attrice. Quando mi sono risvegliata, anche grazie al buddismo, ho ricominciato a disegnare. Disegnavo e fotografavo me stessa, l’unica cosa che mi era rimasta. E visto che funzionava, sono passata all’interpretazione. Il mio strumento è quello stesso corpo che aveva continuato a sostenermi, nonostante tutto il male che gli avessi fatto. Ho deciso di onorarne la forza, la resilienza. E visto che ho sempre amato l’armonia e il classicismo, decisi di voler mettere assieme l’arte antica e il presente. Dunque, il disegno con la bic.
Lady Bic: “Oggi non ho più voglia di disegnare”
Il confronto con le icone classiche dell’arte italiana è sempre stato il tuo tratto più riconoscibile.
Nel 2011 fui invitata a Venezia da Sgarbi, quando decise di esporre artisti da tutta Italia. Presentai un’opera ispirata al Risorgimento: rappresentai l’Italia come una donna stuprata. Fa da lì che nacque il ciclo de Le Affinità Elettive. Il resto fu spontaneo. Oggi sto però cambiando ancora. Non ho più voglia di disegnare, ma la performance e il video sono tornate nella mia vita. Attraggo persone con cui sono in empatia e con cui ho piacere e creare. Tra noi non c’è neanche scambio di soldi, ma un vero e proprio baratto artistico e di passioni.
“Il buddismo? Fu una folgorazione”
Che ruolo ha avuto l’approccio al Buddismo in questo percorso?
Entrai in contatto con la disciplina buddista attraverso alcuni amici. Fu una folgorazione: io sono qui, questa sono io. Non mi definisco religiosa, ma mi ci ritrovai. Anche ad un livello di responsabilità. Per dieci anni mi ha rimesso in piedi. Poi, il mio problema è che regole e dogmi tendono a farmi allontanare. Ma ognuna di queste esperienze spirituali mi ha lasciato qualcosa. Ognuna di queste tappe ci insegna a soffrire di meno la volta successiva.
All’infuori dell’arte, com’è il tuo lavoro da designer a Milano?
Una possibilità che mi si è posta appena arrivata qui. A Milano ti permettono di unire arte e imprenditoria, una cosa che a Roma non ho trovato. Arrivai in pieno EXPO, ed entrai subito in contatto con aziende di design. Mi proposero come prima cosa un lavoro collettivo sul wallpaper d’autore. È diventata una bomba in pochissimo tempo.
Lady Bic, nuovi progetti e riconoscimento internazionale
C’è un progetto nuovo di cui vuoi parlare?
Abbiamo dei progetti sociali in partenza: l’idea è portare arte e formazione in un carcere femminile. Stiamo aspettando l’ok burocratico. Vogliamo mettere in gioco il corpo delle recluse, provando a metterle in contatto con l’arte figurativa e performativa. Essere rinchiusi per un episodio sfortunato è una cosa che potrebbe accadere a chiunque, e che ci collega spiritualmente ai carcerati. Io è solo per fortuna che non sono finita come loro. Poter restituire qualcosa è un dovere mio, per il dono che ho avuto.
Sei ora un nome internazionale. Quanta soddisfazione c’è?
Tantissima. Io giro molto, seppur sempre collegata ad istituzioni italiane. Nell’ultimo anno sono stata a Osaka, Barcellona, a Melbourne, presto anche in Brasile e in Cina, sempre invitata dalle comunità italiane. Mi viene finalmente riconosciuto tutto, soprattutto a livello economico. È ciò che dà la concretezza al mio lavoro, che lo testimonia come qualcosa che interessa ad altri oltre me. In Giappone hanno steso il tappeto rosso per me. Hanno accolto l’artista rinascimentale, con i capelli verdi.