“Dal Porticato”, edito Il Seme Bianco, è la sua raccolta d’esordio. Il legame tra Ottavio Mirra e la scrittura, però, affonda le radici in un passato profondo, quello dell’infanzia e della sua terra, Capua, custodi entrambe delle immagini più vivide della sua memoria.

Vincitore nel 2016 dei premi letterari Racconti nella Rete e Terre di Lavoro, e nel 2018 tra i primi selezionati del premio Zeno e del Nautilus, Mirra pubblica ora un montage di storie in cui l’ordinario appare meravigliosamente straordinario. Attraverso una istintiva capacità evocativa, che parte dal suo sguardo sul mondo e si esprime attraverso una narrazione quasi eroica, Mirra emoziona e coinvolge raccontando, semplicemente, la forza della vita.

Intervista a Ottavio Mirra, autore della raccolta “Dal Porticato”

Nella tua biografia ti definisci rigorosamente prima velista, e poi avvocato. È un dettaglio curioso.

Mi definisco rigorosamente in questi termini perché ho cominciato prima con il mare e poi a fare l’avvocato. Ho cominciato al liceo, andavo sott’acqua, ho avuto anche un centro sub, ho sperimentato l’apnea e l’ARA (autorespiratore ad aria, ndr), dopodiché è nata la passione per la vela. Vela e sub sono due sport che hanno bisogno del loro tempo, farli insieme toglierebbe tempo a tutto il resto, ma bisogna anche lavorare. Così faccio anche l’avvocato (ride, ndr).

Però tu all’attivo hai anche una raccolta di racconti pubblicata, con tanto di premi letterari. Quindi io azzarderei un: ‘velista, avvocato e scrittore’?

Allora facciamo così: invece che scrittore rubo un termine ad un mio amico, che lui è scrittore davvero, e dice: “Noi non siamo scrittori, siamo scriventi“.

Mi sembra tu voglia entrare in questa categoria con i piedi di piombo. Secondo te quando ci si definisce scrittori ad oggi?

Domanda complicata. Moltissime persone scrivono, e mi ci metto anche io. C’è il pessimo difetto di far abbattere alberi per mettere su carta quello che pensiamo e scriviamo. Però va bene, più si scrive e meglio è. Certo, scrittori veri ce ne sono stati non moltissimi. Camilleri e Amos Oz su tutti, il suo “Giuda” è davvero un capolavoro assoluto.

Tu quando hai iniziato a scrivere?

Più che iniziare, è qualcosa che ho interrotto, come credo facciano tutti. Tutti scriviamo fino ad una certa età, dopodiché subentra la vita adulta, il lavoro, la carriera, l’iperattività. A un certo punto, però, mi ero stancato del quotidiano ‘linguaggio gergale’, volevo sentirmi più libero. E ho ripreso a scrivere.

Ricominciare a scrivere: è un discorso che fa spesso anche chi dipinge. La scrittura e il disegno sono le due forme di espressione con cui veniamo educati ad esprimerci. Ricordi il momento in cui hai ripreso a farlo, e con quale spirito?

Ti sembrerà strano, ma un pomeriggio di qualche anno fa ero al mio studio d’avvocato. Si utilizzava ancora molto il fax, me ne dovevano inviare uno ma non funzionava, c’era una sorta di ammutinamento di tutti gli strumenti che avevo nello studio. Non so perché, ma osservai questa scena e quella sera iniziai a scriverne. Ho ricominciato da un fax e da allora non mi sono fermato più.

Nel 2016 hai vinto il premio letterario Racconti nella Rete. Quanto è importante oggi la rete per uno scrittore di letteratura?

È importantissima. Infatti voglio spendere due parole su questo premio, che è una intuizione di Demetrio Brandi, il Presidente di LuccAutori, un festival letterario che si svolge da circa vent’anni. Nell’ambito del festival Demetrio si inventò, tanti anni fa, questo concorso di Racconti nella Rete. Rete che all’epoca era quasi una sconosciuta. Ma senza rete, oggi, non si fa niente, nel bene e nel male. È un mezzo di comunicazione fondamentale anche nella scrittura. Non a caso tutti scrivono, ci sono così tanti blog.

Ecco, tu sembri positivo nei confronti di un concetto spesso criticato, cioè che ad oggi tutti possono improvvisarsi scrittori grazie alla rete.

Sono abbastanza positivo sulla questione. Poi, certo, a fare la differenza c’è il pubblico che ti legge. Se sei piacevole vieni letto, altrimenti dopo poche righe passano ad altro. Funziona così. Per esempio nel caso del premio letterario Racconti nella Rete mi colpisce particolarmente il fatto che tutti i racconti vengano messi in rete, in modo che gli autori del concorso possano leggersi tra loro. È una possibilità interessante quella di poter leggere anche gli altri concorrenti. Si ha la percezione continua di quelli che potrebbero essere i vincitori oppure no.

E tu ti eri già percepito vincitore?

Forse sì. Ma ho partecipato per due anni di seguito: il primo anno, come dire, mi hanno segato le gambe (ride, ndr). Però il secondo anno c’erano stati una serie di contatti positivi anche con gli altri autori, sentivo di aver fatto un buon lavoro.

Qual è il tuo pubblico? Chi è che legge Ottavio Mirra?

Bella domanda, un po’ difficile dirlo. Spero sia un pubblico trasversale. Penso che i miei racconti possano comprendere tutti i generi umani e tutte le età. Ogni tanto mi arrivano delle conferme dai lettori sul fatto che la mia narrativa sia trasversale.

Nella tua raccolta, “Dal Porticato”, ho trovato la tua scrittura fortemente cinematografica. Tu scrivi per immagini. Sei un appassionato di cinema?

È vero, scrivo per immagini e in effetti sono un appassionato di cinema. Non saprei dirti quali sono i film della mia vita, ma sicuramente le immagini per me hanno un significato fortissimo. È come se le immagini trattenessero l’anima di chi le sta vedendo. L’immagine è quello che resta nella retina. È il ricordo. Nei miei racconti tornano spesso le immagini dal passato, infatti, sotto forma di sensazioni impresse.

Io ho amato molto i tuoi racconti e continuerò a leggerli. A questo proposito, cos’hai in cantiere?

Adesso continuo con la promozione del libro, “Dal Porticato”, ed è un iter tutt’altro che commerciale. È così che incontro la gente, quelli che mi leggeranno. Farò degli incontri anche con i licei, tra Napoli e dintorni. Progetti futuri per quanto riguarda la scrittura? Ho molte cose a metà…

… Come ogni scrittore.