Gli si illuminano gli occhi quando parla di teatro e drammaturghi inglesi (“sono i più bravi sanno realmente descrivere la vita”); si diverte a citare la serie tv “Boris” (“un capolavoro”), adora “Breaking Bad” e si entusiasma quando parla di teatro (“in pochi mi fanno domande sul teatro”).
Incontrare Jacopo Venturiero significa trovarsi di fronte un giovane attore che frequenta il mondo dello spettacolo da quando era molto piccolo (“mia madre ha sempre fatto l’attrice ma mi considero figlio d’arte solo nel senso che la mia famiglia mi ha sempre appoggiato in questo mestiere”), che ha fatto l’esame d’ammissione all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico quasi per caso (“ho fatto l’esame d’ammissione senza sperare minimamente che mi avrebbero preso”) e che in un quarto di secolo di carriera ha già fatto cinema, teatro, televisione, doppiaggio e anche radio. E pensare che ha solo 34 anni!
La nostra conversazione parte dal ruolo più recente, che lo ha portato a lavorare con Netflix.
VELVET: Parliamo della tua partecipazione alla seconda stagione della serie di “Suburra”. Interpreti Adriano, lo speaker radiofonico “figlioccio” di Samurai, che segue attivamente le vicende del candidato sindaco Cinaglia. Un ruolo importante, che cresce nel corso delle puntate, e che già sappiamo acquisterà molto spazio nella terza stagione.
JACOPO VENTURIERO: E’ un ruolo molto interessante. Non mi aspettavo proprio di essere preso, troppo spesso accade che si associ la persona al personaggio, dando così poca fiducia al lavoro dell’attore: se per esempio hai la faccia da bravo ragazzo, sei carino e gentile, non puoi interpretare un cattivo o uno stronzo.
In questo caso è andata bene. Sono andato al provino con una proposta precisa e un look un po’ aggressivo, anche rischiando se vuoi, perché non sai mai cosa hanno in mente coloro che ti provinano: magari tu ti muovi in una direzione e loro vanno in quella opposta.
Comunque, si sono succeduti quattro, cinque provini, a distanza di 4 mesi. E’ stato molto bello perché ho fatto un grande lavoro di preparazione, ho studiato un mondo che non solo non mi appartiene, ma di cui non sapevo proprio nulla.
Jacopo Venturiero torna in “Suburra 3” nei panni di Adriano, il figlioccio di Samurai
VELVET: Adriano è una delle new entries della seconda stagione di “Suburra”. Come è stato per te entrare a far parte di una squadra già ben rodata, in cui il cast e la troupe già si conoscevano bene?
JV: Mi sono trovato molto bene, è stato un bel set. Io mi sono rapportato soprattutto a Filippo Nigro e Francesco Aquaroli che con me sono sempre stati disponibili e generosi, già in fase di provino (mi facevano da spalla). Per me è molto importante lavorare con gente professionale, quindi sono stato benissimo da subito.
VELVET: Sappiamo che non puoi anticiparci nulla della terza stagione, che presumibilmente vedremo nel 2020…
JV: Purtroppo no, non posso dire niente, anche perché nemmeno io so tutto della terza serie. Posso svelarti che anche durante le riprese della seconda stagione ci venivano date le sceneggiature in corso d’opera, e questa è stata una difficoltà per me: sai, per avere il controllo del personaggio devi conoscerne tutto l’arco narrativo e analizzarlo, come succede per un testo teatrale o per la sceneggiatura di un film.
È stato un rischio, ho dovuto costruire il personaggio sperando che l’episodio successivo non compromettesse quello che avevo costruito fino a quel momento.
Jacopo Venturiero, una carriera iniziata al cinema e proseguita in TV e a teatro
VELVET: Di serie televisive ne hai girate tante, sin da quando eri piccolo: da “Amico mio” a “Distretto di polizia”, fino a “Casa famiglia” e “Giorni da Leone”). “Suburra” sembra essere un’altra cosa, una produzione internazionale, che ti dà visibilità internazionale. Hai notato differenze nel sistema produttivo e lavorativo rispetto alle fiction made in Italy?
JV: Di poco italiano (come si direbbe nella serie “Boris”) ci sono i tempi che sono più da cinema che da TV: sono abbastanza comodi, in un giorno si possono fare dalle due alle quattro scene, mentre in una fiction se ne fanno anche molte di più. Ovviamente più tempo hai a disposizione, meglio puoi curare il lavoro. Per uno che viene dal teatro come me, si tratta sempre di tempi stretti: sono abituato a provare per giorni e giorni, e poi a riprovare uno spettacolo anche durante le repliche, è un lavoro che non finisce mai.
VELVET: Ti piace rivedere i lavori che hai fatto o sei uno che evita di riguardarsi?
JV: Faccio molta fatica a rivedermi perché cambierei tutto. Di “Suburra 2” ho visto soltanto dei pezzettini recentemente, ma solo perché dovevo.
Non riesco a essere mai obiettivo, e poi vedo solo i difetti. Sul lavoro sono un perfezionista, non sono mai soddisfatto, rifarei sempre tutto in modo diverso. Ma la tv e il cinema, si sa, non sono come il Teatro: quello che hai fatto rimane.
Jacopo Venturiero: “Faccio molta fatica a rivedere i lavori in cui recito”
VELVET: Massimo Dapporto, Massimo Popolizio, Gabriele Lavia, Giorgio Albertazzi. Sono solo alcuni dei nomi con cui hai lavorato in televisione o in teatro. Hai mai avuto paura di confrontarti con miti del genere?
JV: No, mai, al contrario mi sono sempre sentito fortunato e onorato di potermi relazionare con loro per imparare. Poi alcuni di questi nomi li ho conosciuti quando ero molto giovane, quando si ha molta più incoscienza e ci si butta nelle cose senza pensarci troppo. Non credo che oggi avrei il coraggio che avevo a 20 anni.
Ti faccio un esempio: ho recitato in “Vita di Galileo” di Brecht con Franco Branciaroli, un lavoro che ebbe grande successo di pubblico, e con cui abbiamo girato per tre anni. Ebbene, in quello spettacolo ho sostituito l’attore che interpretava il ruolo di Andrea Sarti (che poi avrei fatto per molto tempo) in soli tre giorni. Se oggi mi chiedessero la stessa cosa, non lo farei mai!
VELVET: Il tuo primo ruolo cinematografico lo hai avuto a 11 anni, recitando in un film con Franco Nero intitolato “La medaglia”. Avevi consapevolezza di quello che ti stava accadendo? O per te era solo un gioco?
JV: Da piccolo ero seguito da un’agenzia che cura i giovani talenti. Per un paio d’anni ho fatto molti provini senza che mi prendessero, però mi divertivo. A un certo punto mi hanno scelto per questo film.
Ricordo che mia madre ricevette la chiamata dall’agenzia e mi disse tutta contenta ‘Jacopo, ti hanno preso per il film!’. La mia prima preoccupazione fu ‘Oddio, ma adesso mi tagliano i capelli?’ Quando arrivò il momento di girare andai sul set e qualcuno mi disse ‘Allora Jacopo, vogliamo ripassare le battute?’
Ma nessuno mi aveva dato la scena. Ricordo il clima tesissimo di quella giornata: lo sceneggiatore mi prese da parte, andammo in una stanza lì vicino, mi disse le battute, le ripetemmo insieme e poi girammo la scena. Tutto andò tranquillamente. Il film era bello, ambientato a Torino negli anni 50.
Jacopo Venturiero, il debutto al cinema all’età di undici anni
VELVET: Fai cinema dall’età di undici anni, mentre hai debuttato a teatro a tredici. Che ricordi hai delle tue prime volte sui palcoscenici?
JP: Prima ancora di quel debutto ho ricordi di me bambino, di quando mamma mi portava al Festival di Todi, avevo 4 anni. Io stavo buonissimo, volevo solo sedere in prima fila (l’unico posto in cui riuscivo a vedere bene tutto): assistevo anche a tre spettacoli al giorno.
Ho sempre avuto dentro questo amore, che poi ha preso forma quando ho iniziato a fare cinema e poi definitivamente quando ho iniziato l’accademia. Il mio sogno sarebbe riuscire ad alternare sia il cinema, che il teatro.
VELVET: Cinema, serie, teatro, Ma da qualche anno hai iniziato a fare anche il doppiatore. Ti piace?
JV: Nel doppiaggio ho trovato un ambiente decisamente meritocratico, più che in tutti gli altri. Io non vengo da una famiglia di doppiatori, e devo anzi confessare che solo quattro anni fa, quando volevo entrare in questo mondo, non sapevo proprio dove sbattere la testa.
Sai. oggi è molto difficile entrare in contatto con i direttori di doppiaggio perché le sale sono tutte chiuse, mentre una volta erano aperte ed era tutto più facile. Ho iniziato grazie ad Alessandro Rossi.Feci un provino con lui ai tempi dell’accademia, lo ricontattai poi quattro anni fa per ricordargli chi fossi; lui non si era affatto dimenticato e mi richiamò subito.
Con lui, dopo i primi piccoli ruoli, ho fatto il film “Steve Jobs”, dove doppiavo Seth Rogen, e da lì mi si sono aperte le strade. Quest’anno ho fatto “Rocketman”, il biopic in cui ho doppiato Taron Egerton che interpretava Elton John. Rimango un attore, però quando ho la possibilità di fare queste esperienze sono contento.