La corte d’Assiste di Milano ha assolto Marco Cappato, oggi 23 dicembre, con la formula piena: “perché il fatto non sussiste”. L’esponente dei radicali era imputato per aiuto al suicidio – che in Italia è un reato penale – per la vicenda di dj Fabo. Applausi, in aula, dopo la lettura della sentenza a cui ha assistito anche Valeria Imbrogno, compagna di Fabiano Antoniani, dj Fabo.

Cappato era accusato di avere favorito la morte di Antoniani, noto come dj Fabo, per averlo accompagnato nella clinica svizzera “Dignitas” presso Zurigo. Lì dj Fabo morì tramite la tecnica del suicidio assistito il 27 febbraio 2017.

Il giorno successivo, il 28 febbraio 2017, lo stesso Cappato si era autodenunciato ai carabinieri di Milano. La vicenda processuale, molto complessa, si chiude quindi, il 23 dicembre 2019 con una nuova tappa. Il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano ha sostenuto nella sua requisitoria che al caso del dj Fabo si possono applicare tutti e quattro i requisiti indicati dalla Consulta. In una storica sentenza, infatti, la Corte costituzionale al “principio di sacralità della vita (…) sostituisce la tutela della fragilità umana”, ha detto il procuratore.

Secondo Siciliano la Corte Costituzionale aveva quindi già tracciato la via della non punibilità dell’aiuto al suicidio, reato di cui risponde Marco Cappato. Per questo “il fatto non sussiste” e la stessa pubblico ministero ha chiesto l’assoluzione per l’esponente radicale.

La difesa di Cappato aveva chiesto l’assoluzione dell’esponente dei radicali con la formula “perché il fatto non costituisce reato” chiedendo alla Corte di fare “un passo avanti” e di avere “coraggio giuridico”. Durante il processo Cappato, presente in aula a Milano, ha ricevuto la notizia della morte della madre, malata da tempo. I legali dell’esponente radicale hanno quindi chiesto e ottenuto una breve sospensione dell’udienza che è poi ripresa.