“Considerato il fatto che sono appena tornato dal set della serie di RaiUno Il paradiso delle signore, dove stamattina ho girato un paio di scene, devo dire che mi sento abbastanza frastornato. Il debutto di ieri alla Sala Umberto è stato emozionante, per me come per tutto il resto del cast.”

Ieri sera sul palcoscenico era Sherlock Holmes. Stamattina per la tv ha vestito i panni del ragioniere Luciano Cattaneo. E quando lo sentiamo al telefono è semplicemente Giorgio Lupano.

L’attore torinese ha una voce squillante e decisa, quella del professionista serio, diligente e appassionato, che a poche ore da un importante debutto teatrale non ha mancato l’appuntamento con i doveri imposti dai set della televisione.

Giorgio Lupano, l’attore de “Il paradiso delle signore” incarna Sherlock Holmes a teatro

La mattina successiva alla prima teatrale dello spettacolo “Sherlock Holmes e i delitti di Jack lo Squartatore” (alla Sala Umberto di Roma fino all’8 marzo), ci racconta le emozioni del debutto.

“Ogni prima importante (soprattutto a Roma, a Milano, e nelle città dove sappiamo di essere più attesi) è vissuta con il giusto timore: in fondo saliamo su un palco per raccontare una storia, e speriamo sempre che piaccia al pubblico. Ci rimettiamo al giudizio degli spettatori, ma di certo non siamo indifferenti al fatto che ci esponiamo alla sua opinione.

“Sherlock Holmes e i delitti di Jack lo squartatore” è uno spettacolo originale, interpretato appunto da Giorgio Lupano e Francesco Bonomo (con la partecipazione di Rocio Munoz Morales e un cast di attori solidi e credibili), scritto da Helen Salfas (pseudonimo dietro il quale si nasconde un noto drammaturgo inglese) e diretto dal regista spagnolo Ricard Reguant.

Giorgio Lupano è Sherlock Holmes, Francesco Bonomo è Watson nello spettacolo “Sherlock Holmes e i delitti di Jack lo Squartatore”

Non è tratto da un romanzo di Arthur Conan Doyle, ma si basa su alcuni scritti dello stesso autore, che nel 1888 fu chiamato più volte da Scotland Yard a offrire la sua consulenza a proposito degli efferati delitti che in quegli stessi anni coinvolgevano Londra, con protagonista il primo serial killer dell’età moderna, Jack lo Squartatore.

Giorgio Lupano alla Sala Umberto di Roma fino all’8 marzo con “Sherlock Holmes e i delitti di Jack lo Squartatore”

VELVET: Giorgio, ci racconti come sei stato coinvolto in questa produzione? Ti hanno proposto il ruolo? Hai fatto dei provini?

GIORGIO LUPANO: Conoscevo già il produttore Gianluca Ramazzotti, con cui avevo fatto un paio di spettacoli. Qualche tempo fa mi propose il ruolo, non il testo. Vide questo spettacolo in Spagna, gli piacque, decise di produrre la versione italiana e mi mandò un messaggio in cui mi diceva: “Vorresti fare Sherlock Holmes a teatro?” Io ovviamente risposi subito di sì, senza pensarci su nemmeno un minuto, occasioni del genere non capitano spesso! Poco tempo dopo mi arrivò il testo, e poi incontrai il regista (lo stesso che aveva fatto la versione spagnola). Quindi in realtà all’epoca io ho accettato un personaggio, solo in seguito ho scoperto la storia che avremmo raccontato.

VELVET: Che tipo di riferimenti hai usato per incarnare e fare tuo Sherlock Holmes? Hai avuto suggestioni cinematografiche? Hai fatto un po’ di ricerca sul personaggio?

GL: Ho visto tutto quello che potevo vedere su Sherlock Holmes, non solo la serie tv inglese “Sherlock” o i film più famosi (quelli di Guy Ritchie per intenderci, con Robert Downey Junior e Jude Law), ho visto anche i film degli anni ‘70, ho letto tutto quello che potevo e mi sono documentato molto. Ho assimilato tutto, e poi ho anche un po’ dimenticato, perché è inutile paragonarsi a Benedict Cumberbatch (della serie tv) o Robert Downey Junior: loro sono bravissimi, hanno raccontato questo personaggio con un mezzo diverso da quello teatrale.

Noi dovevamo raccontare questa storia, non un’altra: mi sono basato su quello che c’è nel copione, sulla macchinosità delle deduzioni di Sherlock Holmes. Abbiamo cercato di rendere la vicenda il più teatrale possibile, fornendo agli spettatori alcuni indizi che anche loro possono usare, ci siamo impegnati a far arrivare alla platea la fascinazione dell’osservazione che Holmes ha sulle persone e sulle cose, elementi che poi gli permettono di arrivare alle sue conclusioni.

Con il regista abbiamo poi creato l’ambientazione di una Londra che è simile a quella dell’immaginario che tutti noi abbiamo: non sappiamo come fosse la Londra di fine ‘800, ma ce la immaginiamo scura, fumosa, pericolosa, sporca, e abbiamo fatto di tutto per ricreare quelle stesse condizioni.

Giorgio Lupano, dai set della televisione ai palcoscenici teatrali con uno spettacolo su Sherlock Holmes

VELVET: Lo Sherlock Holmes che porti in scena è ironico, umano, fallibile, non certo come quello cerebrale di Benedict Cumberbatch nella serie TV. Qual è il lato di Sherlock Holmes che in pochi conoscono secondo te, e che magari andrebbe approfondito, su cui bisognerebbe riflettere di più? Aldilà del fatto che è un grande indagatore, un acuto osservatore, un fine psicologo, cosa ti ha colpito della personalità di Sherlock Holmes?

GL: Una delle caratteristiche fondamentali di Sherlock Holmes (che purtroppo nel nostro spettacolo non emerge tanto) è il suo essere oltre l’asocialità: lui non è un asociale, è un anaffettivo patologico. In un paio di momenti questo aspetto può essere percepito, ad esempio dal modo in cui parla dei cadaveri delle prostitute uccise (ne parla senza pensare che sono state persone, ragazze). La sua attenzione verso i particolari gli impedisce, a volte, di vedere la persona che ha davanti nel suo insieme: si concentra sui dettagli senza pensare che sta parlando di persone vive: ad esempio chiede in modo brutale a Irene Adler (la magnifica spia interpretata da Rocio Munoz Morales) che cosa abbia ottenuto dalla morte del marito, senza pensare che sta parlando della scomparsa del suo consorte, un argomento delicato e doloroso.

Rocio Munoz Morales è Irene Adler nello spettacolo “Sherlock Holmes e i delitti di Jack lo Squartatore”

GL: Questo nei libri c’è ed è molto divertente, perché Sherlock Holmes è tanto geniale per alcune cose, quanto completamente ignorante per altre. Si intende tantissimo di botanica e di chimica, ma a volte sembra che non sappia se la terra gira intorno al sole o viceversa.

Ci sono cose in cui riesce ad essere completamente profondo e altre in cui può essere assolutamente superficiale, come ad esempio i rapporti umani. E’ divertente esplicitare questo aspetto nel rapporto con il Dottor Watson (interpretato da Francesco Bonomo), in cui c’è un costante scambio di battute e frecciatine: Holmes darebbe la vita per Watson ma poi non legge i romanzi che scrive, non gli interessano.

Giorgio Lupano, una carriera sui palcoscenici e i set televisivi e cinematografici, con la passione per il teatro

VELVET: Che rapporto avevi con Sherlock Holmes e i romanzi di Arthur Conan Doyle prima di questo spettacolo? Li conoscevi?

GL: No, non ero un fan di Conan Doyle o del personaggio di Sherlock Holmes. Avevo visto qualche film e non avevo nemmeno guardato la serie con Benedict Cumberbatch. Era un personaggio iconico, che tutti conosciamo, ma non avevo letto i romanzi; dopo aver letto l’opera di Conan Doyle ho ben compreso il motivo del successo di questo detective e del suo autore. Sono scritti veramente bene, non solo sono thriller avventurosi, sono opere letterarie con una notevole qualità di scrittura. Mi sono chiesto come mai non li avessi letti prima, ma anche questa è una cosa bella del mio lavoro: a seconda di quello che vai a fare sei quasi obbligato a documentarti e a volte si scoprono piccoli e grandi gioielli che non si conoscevano.

VELVET: Scorrendo la lista di spettacoli teatrali cui hai preso parte, ci si rende immediatamente conto che gli autori stranieri sono ben più numerosi di quelli italiani (Shakespeare, Pinter, Garcia Lorca, Kurt Weil, Pinter, Jean Cocteau). E’ una tua scelta? Sono tue preferenze? Coincidenza? O forse ci dice qualcosa sul teatro italiano?

GL: Non è stata una scelta, soprattutto all’inizio della carriera è difficile che uno possa scegliere. Semplicemente, è capitato! Ho iniziato a recitare a teatro 25 anni fa circa, e gli autori italiani rappresentati sono sempre stati pochi, se togliamo i classici (come Goldoni e Pirandello). Negli anni ‘70 c’era Patroni Griffi, che era il drammaturgo della “Compagnia dei giovani”, con Romolo Valli, Giorgio De Lullo, Rossella Falk: loro mettevano in scena i suoi testi con grande successo, ma quel tipo di compagnia non esiste più.

Visto che ormai il teatro è tornato a essere artigianale, e lo si fa per l’amore che si porta per questo lavoro, oggi si fa senza troppi mezzi, senza grandi produzioni, ci sono un sacco di teatri off: le cantine degli anni 70 si sono evolute in teatri piccoli, dove magari i giovani autori possono riuscire a rappresentare i propri lavori, quindi si è tornati un po’ alla scrittura. L’unico autore che ho portato in scena è Edoardo Erba: per circa sei anni sono stato in giro per l’Italia con il suo spettacolo dal titolo “Maratona di New York”. È stato un caso, poi ci sono stati pochi altri autori italiani che ho avuto la fortuna di portare in scena.

Giorgio Lupano: “Il teatro italiano contemporaneo? Non gode di buona salute”

VELVET: Qual è lo stato di salute del teatro contemporaneo italiano?

GL: Sta malissimo purtroppo, stiamo assistendo a un continuo taglio dei fondi destinati alla cultura, al teatro, agli enti lirici, ai corpi di ballo, ai musei. Purtroppo in Italia si ritiene che la cultura non dia reddito, mentre non solo dà una visione del mondo e una grande apertura mentale, ma fornisce lavoro, indotto. In America si chiama “show business”, è una vera e propria industria, mentre qui da noi fino a qualche anno fa c’era ancora chi dichiarava che con la cultura non si mangia.

Non è così, con la cultura si mangia perché nutre cervello e sentimenti, dà lavoro a chi vi opera internamente ed esternamente. Fino a vent’anni fa si andava in tournée teatrale e si stava nelle città di provincia dal martedì alla domenica: oggi si fanno una o al massimo due date, non c’è più voglia di supportare il teatro, si fa sempre di meno per tenerlo in vita. Questo è un problema perché fa parte del nostro bagaglio, culturale e di vita.

VELVET: Da spettatore, tu cosa cerchi? Cosa vai a vedere?

GL: Io vedo di tutto, e credo sia anche il motivo per cui mi sono avvicinato a questo lavoro. Già da bambino ho avuto la fortuna di avere genitori curiosi che da subito mi hanno portato a vedere l’opera lirica a Verona, spettacoli all’aperto d’estate, il circo, e quella curiosità mi è rimasta. Non vado a vedere solo i classici, il teatro contemporaneo o quello di ricerca. Mi piace vedere tutto, dallo spettacolone con l’attore di nome, al teatro off. Sono ancora curioso, andare a teatro è sempre stato una grande emozione, e mi sento fortunato a fare un lavoro che è anche la mia passione.

VELVET: Quali sono i tuoi progetti futuri, a parte le riprese de “Il paradiso delle Signore”?

GL: Abbiamo debuttato ieri sera a teatro, e a parte un primissimo debutto in Liguria lo scorso luglio lo spettacolo nasce adesso: saremo in tournée per circa un anno, per cui fino a febbraio del prossimo anno il mio impegno primario sarà questo. Poi sto continuando a girare la serie di RaiUno “Il paradiso delle signore”: ci sarò per tutta questa stagione, e poi chissà!