Ci sono sfilate che a volte appaiono come la più sorprendente lettera d’amore per chi ha fondato quel brand o ne ha portato avanti la storia con tenacia, innovazione e fedeltà creativa. Accade a Parigi, al termine della PFW, la settimana di moda dedicata alle collezioni di prêt-à-porter femminile per il prossimo inverno e regolarmente conclusa nonostante lo spettro del Coronavius.

Chanel – quello che Cocò e Karl avrebbero amato

Chanel, un simbolo dello stile e dell’eleganza francese, apre la giornata conclusiva e il grande show, allestito come di consueto al Grand Palais, appare proprio come il più emozionante tributo di stile ma anche di affetto da parte di Virginie Viard, oggi direttrice creativa della Casa, a Gabrielle Chanel e soprattutto a Karl Lagerfeld, lo stilista scomparso un anno fa e di cui la Viard è stata il braccio destro più attento, operativo e osservante.

La scenografia maestosa nel movimento a onda degli spalti in bianco e nero, proprio come avrebbe amato Cocò, proprio come avrebbe apprezzato Karl, accoglie le repliche di moderne Mademoiselle, che a gruppi di due in due entrano in scena, passeggiando come nella più elegante promenade parisienne. La lana bouclè dei cappotti, il black and white dei completi, i pantaloni  dalla linea morbida e dagli spacchi laterali chiusi da una lunga fila di bottoni dorati, la morbidezza delle blouse di seta candida sulle gonne dai volumi morbidi: tutto sembra riportare a Lagerfeld che ricercava la perfezione assoluta con l’aria della disinvolta nonchalance.

E le modelle hanno tutte l’aria di brave ragazze, bellissime e libere, i capelli solo appuntati e poi sciolti sulle spalle, le mani in tasca, con elegante disinvoltura fino al gran finale e a quell’immagine quasi cinematografica in bianco e nero destinata a restare nella memoria con Gigi Hadid e amiche in minishort e brassiere accostati a lunghi cappotti bouclè.

Givenchy – tra Audrey Hepburn e la Nouvelle Vague

La fedeltà allo stile di un passato capace di evolversi nel migliore domani. E fedeltà ad una Maison capace di scrivere grandi pagine di storia della moda è quella di Clare Waight Keller, direttore creativo Givenchy, l’azienda francese fondata nel 1952 dal Barone Hubert de Givenchy che la diresse per oltre 40 anni.

In un scenografia notturna e gotica, tra luci e fumi rossi che sfumano i contorni del pubblico e degli ospiti all’Hippodromo di Auteil, avvolto tra i rigori invernali, sfilano  donne di grande e sensuale fascino, una ArtHouse beauty, come la definisce la Keller, che puntualizza i valori della casa, la grande sartorialità e un’eleganza dai tratti cinematografici, alla Nouvelle vague, sottolineata da ampi e avvolgenti cappotti i lunghi guanti in morbidissima pelle, gli abiti dalle linee morbide. E poi quei grandi capelli neri a larghissime falde che appaiono come l’omaggio più caro a Audrey Hepburn, musa e mito della Maison.

Miu miu – un cabaret nel segno di Liza Minnelli

Bellezze cinematografiche capaci anche di giocare con allegria alla femme fatale degli anni ’40 sono quelle portate in passerella di Miu Miu nell’ultimo giorno di show parigini. Con la coerenza che le appartiene sin dall’esordio dell’azienda Miuccia Prada, edita un tipo di donna grintosa, giocosa, capace di calarsi nei panni della diva del varietà o della marinaretta, tra scolli squadrati in bianco e blu accanto ad abiti dalla silhouette affusolata e vita alta. E il Consiglio di Stato sede dello show, sembra trasformarsi in un sorprendente cabaret riscaldato dalla colonna sonora di Liza Minnelli e, visto il luogo, da un insolito rosa neon che avvolge le colonne.

Alexander McQueen – eroine da romanzo per una lettera d’amore senza tempo

Ma è Sarah Burton a inviare con la sua nuova collezione la più sentita lettera d’amore non solo alle donne che scelgono la sua moda, Megan Markle, tra queste, ma anche a Lee Alexander McQueen, indimenticabile e inquieto designer inglese scomparso esattamente dieci anni fa e padre fondatore dell’azienda che porta il suo nome e alla cui guida creativa è insediata oggi proprio la Burton, vera erede stilistica di McQueen di cui fu assistente personale. La grande tradizione Gallese, la sua cultura, il suo folklore e la sua storia sono il punto di partenza del nuovo show presentato al Carreau du Temple, nel cuore del Marais, ancora oggi il quartiere più creativo e aperto di Parigi.

Le sue donne hanno la poesia e la forza delle eroine da romanzo, i capelli chiusi a caschetto stretto e disciplinato sulla testa a colpi di colore rosso. Rosso come la passione che traspare dagli abiti, un reticolato di ricami che si fanno corpetto sagomato intorno al busto per poi aprirsi nel volume arioso di gonne di organza. La trapunta gallese che si fa abito, gli abiti drappeggiati e i cappotti che regalano un senso di protezione. Su tutto, quel cuore che la Burton sceglie come simbolo di un amore universale anche se si capisce che, neanche troppo nascosta tra le pieghe degli abiti, la dedica è tutta lì, intensa ed appassionata come e più di sempre per il suo Lee Alexander McQueen.