Un libro sul comodino di Nicoletta Pasqualini e Alessio Zamboni
Ribellarsi. Parola che non è più di moda e che basta un libro per riscoprirla. I giornalisti Nicoletta Pasqualini e Alessio Zamboni, moglie e marito nella vita, guidano i lettori alla riflessione su questo tema. Da un punto di vista particolare, tuttavia. Quello delle profetiche, a volte malintese, ammirate e da qualcuno disprezzate, parole di don Oreste Benzi, il prete “di strada” riminese scomparso nel 2007. È al sacerdote e loro maestro che Pasqualini e Zamboni dedicano il libro Don Oreste Benzi. Ribellatevi! Intervista con un rivoluzionario di Dio (Sempre Editore). Emergono aneddoti personali ma anche le posizioni scomode di don Benzi sulla Chiesa, su droga, prostituzione, carcere, aborto. E la sua visione di una società completamente nuova. Diciassette interviste raccolte nel corso degli anni che Pasqualini e Zamboni hanno ricomposto in questo volume schietto e di agile lettura. Ne parliamo con gli autori.
Don Benzi, il prete che liberava le prostitute dalla schiavitù a Rimini e non solo, diceva che “la devozione senza rivoluzione non basta”, perché?
Lo ha ribadito nel suo ultimo intervento pubblico il 19 ottobre 2007, pochi giorni prima di morire. Ma è un’idea che ha caratterizzato tutta la vita di questo sacerdote fuori dal comune. Con le sue azioni e intuizioni ha scosso le coscienze e coinvolto generazioni di giovani. Di fatto ha anticipato molti temi che caratterizzano il dibattito attuale e lo stesso pontificato di Papa Francesco.
Colpisce il titolo del libro, “Ribellatevi!”, cosa significa in concreto?
Significa essere pronti, ciascuno di noi, a pagare di persona per cambiare il mondo. Il suo era, ed è, innanzitutto un appello ai giovani. Un’esortazione: “Ribellatevi, non potete fare la pace con il male!“. Cioè non potete accettare compromessi, dovete desiderare e perseguire un mutamento radicale della società. Per esempio per quanto riguarda la messa fuori legge tout court della prostituzione, con la liberazione delle donne-schiave e la punizione di tutti coloro che le sfruttano, compresi i clienti. Sul modello della Svezia.
Che tipo di rivoluzionario era don Benzi?
Papa Benedetto XVI lo definì “infaticabile apostolo della carità”. Ma c’era dell’altro. Per don Oreste la carità non deve essere mai disgiunta dalla giustizia. Non bisogna limitarsi a essere caritatevoli verso chi è più sfortunato di noi. Altrimenti si finisce col diventare, magari senza neppure accorgersene, funzionali a un sistema di ingiustizia.
Facendo del bene si ha a che fare con l’ingiustizia?
Certamente no! Ma il punto è un altro. Bisogna passare dalla sensibilizzazione alla condivisione, al “mettere la vita con la vita”. Si passa così da un assistenzialismo calato dall’alto verso il povero o chi vive nel disagio a un processo di liberazione autentico della persona. Se pensiamo, ad esempio a chi aiuta le prostitute di strada perché le assiste, fino a portar loro i preservativi, in una logica di “riduzione del danno”, vediamo che questo tipo di vicinanza, che non è sbagliata, non aggredisce il sistema ingiusto dello sfruttamento della donna. Per don Oreste e per tutti noi che ne portiamo avanti le idee e le azioni, il fenomeno della prostituzione, così come della droga, non va ridotto, va rimosso alla radice.
La Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da don Benzi, di cosa si occupa?
Siamo presenti in 42 paesi del mondo di cinque continenti. Si gestiscono case famiglia che accolgono bambini e adulti disabili gravi, prostitute che vogliono cambiare vita, comunità terapeutiche per liberare i giovani dalle droghe e reinserirli nella società, cooperative sociali. Abbiamo una casa editrice Sempre, omonima della nostra rivista. Cerchiamo di essere un “popolo rivoluzionario”, ci rivolgiamo soprattutto ai giovani. Oggi le generazioni più giovani chiedono di essere ascoltate, hanno bisogno di fiducia, vogliono stare in prima linea.
Il libro si conclude con le riflessioni sulla “società del gratuito”. Com’è possibile una cosa del genere, al di là dell’utopia?
La radice di ogni male è una società fondata solo sul profitto. Non dissimile da quella in cui viviamo oggi. Si ritiene che se ciascuno pensa e si muove per sé anche gli altri ne trarranno vantaggi, in una logica di dare-avere, fondata sugli interessi. Sulla scorta di quello che diceva don Oreste pensiamo invece che in questo modo si crei soltanto una società dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Società del gratuito significa provare a costruire un sistema di relazioni che punta al bene comune. Solo cercando il bene di tutti troveremo anche il nostro.