8 puntate per 4 prime serate su Rai Due. 4 mesi di riprese tra Roma e Sicilia, preceduti da 2 mesi di preparazione prima del set. Va in onda oggi l’ultimo appuntamento con il secondo capitolo de Il Cacciatore, una serie che, con la stessa discrezione scelta dal regista per toccare una storia vera di mafia e Stato, ha puntato una bandierina significativa sul pianeta della serialità Rai. Perché l’obbiettivo, per Davide Marengo e per tutta la squadra dietro un progetto così complesso, era chiaro fin dall’inizio: «Il Cacciatore doveva diventare una serie d’intrattenimento pop, a partire dalla scelta del cast e del look, e con tutta la consapevolezza di un racconto come questo».

Intervista a Davide Marengo, regista de “Il Cacciatore”

Siamo arrivati alla fine di questa seconda stagione. Rimandiamo a dopo le considerazioni sui numeri: Il Cacciatore si conferma un prodotto di qualità apprezzato dal pubblico. Un punto di forza su tutti?

C’è un punto di partenza che ha affascinato tutti, ed è lo sguardo su un periodo storico dell’Italia poco raccontato, quello successivo alle stragi di Capaci e via d’Amelio, in cui morirono Falcone e  Borsellino. Si è raccontato molto, e anche giustamente, di sconfitte, di morte, di successi della mafia. Nel nostro caso raccontiamo il successo di una reazione alla mafia da parte dello Stato. Non sempre vuole, ma quando vuole, lo Stato sa reagire e sa vincere.

Uno Stato che vince ma che è fatto di esseri umani a tutto tondo, con i loro vizi e con le loro ossessioni, come ci insegna Saverio Barone.

La cosa bella è soprattutto il racconto delle debolezze umane. Un successo si porta dietro un paradosso. Basta pensare al magistrato Barone, appunto (ndr: interpretato da Francesco Montanari) che per conseguire i suoi successi si ammala e si ossessiona, mentre preso un capo della mafia se ne creano altri cinque pronti a farsi guerra tra loro. Come a dire che ogni successo è anche l’inizio di una nuova sconfitta. Stessa cosa vale nel racconto dei mafiosi. La loro è una lotta sul potere, ma non sul godimento di questo potere. La mafia che mostriamo noi non si gode il potere per cui lotta, come siamo abituati a vedere spesso, come in Scarface, per capirci. Qui raccontiamo due forme di reclusione e di insuccesso.

Davide Marengo, Stato contro Mafie: «Il Cacciatore scava nell’animo più disumano» 

Un grande rischio ne Il Cacciatore è che i buoni non sono totalmente buoni, e i cattivi sono più umani del previsto. È sempre difficile immaginare l’approccio degli attori in questi casi. 

Come tutti noi, gli attori hanno la grande responsabilità di essere onesti con i personaggi che si raccontano. Andiamo a scavare nell’animo umano, anche in quello più disumano. Raccontare un animo crudele è un lavoro interessante. Io e gli scrittori abbiamo sempre voluto evitare l’identificazione con il cattivo, cosa che avviene spesso. Ma se non lo vai a caricare di enfasi, musica e glorificazione, l’obbiettivo diventa ben chiaro, cioè raccontare che un magistrato fa il suo lavoro per prendere chi è chiaramente dalla parte del male. L’onestà dei nostri “buoni” qui arriva in modo diretto, anche se raccontiamo che il mafioso va a casa, abbraccia suo figlio e ama sua moglie.

Ci sono notoriamente dei tabù ‘etici’ nel raccontare le mafie: come ti sei preparato? Come ti sei rapportato alla figura reale, ancora presente, di Alfonso Sabella?

Tutta la storia è tratta dal romanzo “Il cacciatore di mafiosi – Le indagini, i pedinamenti, gli arresti di un magistrato in prima linea”, ispirato appunto alla storia di Alfonso Sabella. Abbiamo cambiato il nome del magistrato protagonista in Saverio Barone, per essere più liberi, però “Saverio Barone” è reale, esiste. Sabella si è confrontato con noi, firma il soggetto di serie, è diventato un nostro consulente e amico. Il fatto che lui sia ancora in attività dimostra che molti magistrati rischiano la vita, pronti a viverla sotto scorta, ma continuano a fare il loro lavoro con un grande senso del dovere e dello Stato. Il realismo de Il Cacciatore sta proprio nel mostrare che il magistrato può essere ambizioso, può voler fare carriera e può anche ‘fare le scarpe’ al suo collega. Questo non toglie la sua onestà nel portare avanti l’indagine contro la mafia.

Davide Marengo: «I nostri anni Novanta» 

La scelta delle lenti anamorfiche da portare per la prima volta nell’estetica della prima serata Rai Due: un vezzo o una necessità?

L’anamorfico è stata una scelta condivisa con Davide Manca, il direttore della fotografia, che ci ha eccitati nel solo ipotizzarla. L’anamorfico è associato al cinema, a quel cinema che noi amiamo, dei grandi registi degli anni Settanta, Ottanta, Novanta. È un lusso che il nostro produttore (ndr: Rosario Rinaldo, Cross Production) ci ha concesso sostenendoci davvero, dato che è un costo in più. Ma la scelta estetica era legata anche all’idea di essere più ‘vintage’ possibile. Volevamo davvero stare nella dimensione degli anni Novanta, anche attraverso delle lenti sporche, anamorfiche ma non moderne, un po’ sfocate. Davide Manca ha fatto poi un lavoro di luce che ci ha davvero immersi in quest’epoca. Amiamo entrambi un cinema dove la macchina da presa si muove quando è necessario: certi virtuosismi mi piace vederli da spettatore, ma in questo caso per me non erano necessari.

Il Cacciatore 2, un bilancio finale: «Chi ‘passa’ su Rai Due si ferma a seguirci» 

Ora parliamo di numeri. Possiamo dire che sono subentrati un po’ di fattori ‘antipatici’ sul percorso di messa in onda di questa seconda stagione. Che mi dici degli slittamento nel palinsesto e delle curve di ascolti?

Sono contento che, nonostante tutto, una serie di nicchia come la nostra abbia confermato lo stesso pubblico della prima stagione. E magari se non ci fosse questo caos legato al coronavirus, ci sarebbe stata anche una forte crescita. Ma la risposta dei social e la curva crescente di ascolti mi fa capire che c’è davvero un pubblico attratto da questo tipo di serie, con uno sguardo internazionale, uno stile cinematografico e una storia scomoda e importante da raccontare. La prima puntata è partita da una media del 3% ed è andata avanti fino quasi a toccare il 10%, quindi di media ha fatto il 7%. Però osservando l’analisi, c’è una curva crescente positiva inarrestabile. Significa che chi ‘passa’ sul Rai2 mentre c’è Il Cacciatore, resta a vederlo.

Il Cacciatore è una serie pensata e prodotta dalla Rai, ma in linea anche con un pubblico abituato ad Amazon, Netflix o Sky. 

Credo sia molto positivo che la Rai produca serie – e sono ancora poche – diverse dallo standard a cui siamo abituati. Significa che ha intercettato, e vuole intercettare sempre più, un pubblico abituato ad un altro tipo di serialità. Peraltro la Rai ha creduto in questo progetto diversi anni fa, e il risultato c’è.

Davide Marengo: «La mia regia? Non voglio sia solo ‘una donna con un bel vestito’» 

Senza che questa domanda diventi scomoda: una serie ‘di nicchia’ per la Rai ma destinata allo streaming Amazon sembra un equilibrio scomodo da sostenere per un regista. Ci sono stati dei compromessi da accettare?

Stimolato dal produttore e da una scrittura che favoriva quest’immaginazione, io non ho avuto nessun freno. Né estetico né nel pensare al pubblico di un prodotto Rai. In realtà è stata proprio la Rai a chiederci questo: di non frenare il linguaggio di messa in scena e dei personaggi. Tutto quello che ho fatto è esattamente come l’avrei fatto. Un lusso che mi gratifica, sto in un posto nel quale mi piace stare.

La tua è una regia che c’è ma non si vede, nonostante la resa finale della serie sia a tutti gli effetti pop. Questa ‘discrezione’ registica è una scelta davvero interessante.

In questa scelta mi ha aiutato sempre la responsabilità della materia che toccavo. Non eccedere troppo per non distrarre lo spettatore a guardare me anziché la storia. Ma in generale, quando noto troppo la tecnica mi sembra di guardare una bellissima donna e dire “che bel vestito che ha”. Invece preferirei vedere armonia e bellezza generale, nelle persone quanto al cinema. Sono anni che lavoro ma ormai credo di aver maturato questo mio stile: esserci senza sottolineare troppo la mia presenza. E paradossalmente mi fa piacere che qualcuno lo noti.

Tu ora stai lavorando anche ad un nuovo progetto, già se ne sta parlando perché si è fatto notare per l’utilizzo ambizioso di effetti speciali e di un team internazionale.

Si chiama “Wolfsburg”, sto imparando a pronunciarlo anche io (ride, ndr). È ambientato nell’Italia e nella Germania degli anni Sessanta, con protagonista un lupo mannaro. L’approccio è realistico, non è un fantasy nel senso pieno della parola. È un progetto che mi eccita molto, la Cross Production sta ultimando il piano finanziario e dovremmo iniziare a girarlo entro il 2020.

Carlo Mazza, Francesco Foti e il ricordo di Giovanni Falcone

Francesco Montanari con Il Cacciatore ha vinto per la miglior interpretazione alla prima edizione di Canneseries, facendo da apripista. Anche Francesco Foti e gli altri però non scherzano…

Montanari è stato gratificato da un premio incredibile. Sicuramente un premio ‘condiviso’ con l’intero cast e con il suo compare, un amico e quasi un fratello maggiore, Carlo Mazza. Francesco Foti è un attore pazzesco e qui ha dato tutto, ci ricorda un immaginario di personaggi assimilabili a Giovanni Falcone. Mazza nella serie era amico di Falcone, e ogni volta che Foti si confrontava con questo legame in una scena, era impossibile per lui recitare senza commozione. È stato importante per me guidarlo in questi momenti, ci ha restituito una verità difficile da ottenere da altri attori. Lui è siciliano, e il fatto che quel vissuto appartenga anche alla sua ‘pelle’ si vede in scena.

Sono contento anche sia emerso un talento fenomenale come quello di Alessio Praticò. Lui, al contrario, ha dovuto raccontare quella disumanità di cui parlavamo, interpretando Enzo Brusca. Alessio ha avuto la capacità di farci commuovere tutti sul set anche quando avremmo dovuto provare solo orrore e rabbia. A volte avevo un groppo in gola che mi impediva di urlare lo stop.

Siamo arrivati al finale di stagione: possiamo aspettarci un terzo capitolo?

So che gli autori stanno lavorando alla scrittura di una terza stagione, ma per ora è top secret anche per me. Se si farà sarò felicissimo di continuare.

Quindi quanto è importante per una serie come Il Cacciatore posizionarsi bene nella prima serata del palinsesto televisivo?

La programmazione, così come la distribuzione al cinema, fa la differenza. Il Cacciatore però ha un doppio binario: la prima serata Rai ma anche la vocazione ad essere protagonista nello streaming. Io incontro soprattutto persone che hanno visto la prima stagione su Amazon e Rai Play. In fondo lo capisco, perché il nuovo modo di vedere la serialità è questo: in libertà, dalla prima all’ultima puntata di fila. Dostoevskij ha scritto I fratelli Karamazov a puntate, si era costretti a leggerlo ‘a puntate’. Io preferisco avere il libro intero oggi.

Foti-Montanari è una coppia che andrebbe replicata anche in nuovi progetti, e non sarebbe la prima volta che una serie lancia un binomio fortunato come il loro o come quello composto da Edoardo Pesce-Alessio Praticò. In cosa li dirigeresti ancora?

Nei fratelli Karamazov.