Ema Stokholma: «Mia madre non è nata cattiva» [INTERVISTA ESCLUSIVA]
La donna che abbiamo intervistato ha sfilato per le più importanti maison. È una conduttrice e affermata dj. Ma non solo. È la “R moscia” più famosa di Radio 2. Ema Stokholma è oggi un’artista eclettica ma che ha nascosto per molto tempo alcune pagine del suo passato, segnate da un’infanzia e da un’adolescenza difficili. Ha vissuto in Francia, nella piccola cittadina di Romans, per poi spostarsi nella Bretagna, a Rennes. Ha vissuto insieme al fratello più grande di nome Gwendal e alla madre violenta, come racconta nella sua autobiografia dal titolo “Per il mio bene”.
Ancora adolescente, Ema trova il coraggio di andar via da una realtà colma di soprusi e violenze. Passano anni, in cui conosce meglio i silenzi di un padre determinato ad esser assente e anche il sapore della strada. Ma grazie alla sua determinazione Ema Stokholma ridipinge la sua vita ricominciando da capo, proprio come spesso fa nei momenti di relax. A casa, con una tela bianca disegna la realtà, ovvero tutto ciò che rapisce dal suo occhio. Quando iniziamo a parlare la voce di Ema è incisiva, chiara. Il suo modo di essere trasmette così tanta carica che la sua R moscia diventa improvvisamente orchestrale. Ed è proprio quella danza vocale che rapisce il suo pubblico durante la trasmissione radiofonica ‘Back tu Back’ al fianco di Gino Castaldo.
Intervista esclusiva a Ema Stokholma, la Morwenn Moguerou di ‘Per il mio bene’
“Per il mio bene” è un libro che si legge tutto d’un fiato. Ogni capitolo sviscera nel dettaglio il percorso della tua vita, e non ci sono metafore o allusioni; le parole sono forti e crude. Che sensazione hai provato quando sei arrivata all’ultima parola del tuo libro?
Sai quando finisci un progetto così importante? Dici okay, basta! Ora posso girare pagina. Ho messo l’ultimo punto così da poter dedicare la mia vita ad altre cose. Perché sì, scrivere un libro del genere mi ha impegnato tanto. Negli ultimi tempi era addirittura faticoso pensare ad altro o partecipare alle discussioni con gli amici. Devo dire che, quando ho chiuso l’ultima pagina, mi sentivo anche abbastanza orgogliosa perché avevo appena finito di scrivere un libro; ed io non avrei mai immaginato nella vita di poterlo fare.
Rivivere determinati periodi, penso sia stato duro per te…
Con i ricordi, quelli più brutti, diciamo che alcuni periodi li avevo già affrontati. Ho trentasei anni e con quella storia c’avevo fatto i conti già tanto tempo fa. Ecco perché questa scrittura. C’è molto dettaglio, ma poca empatia e poco sentimento, perché sono fatti che ti potrei raccontare così come sono accaduti. Così, proprio come le ho raccontate nel libro senza soffrirne troppo. Sai, non è stata proprio una terapia. Certo, alcuni episodi li volevo dimenticare e avevo cercato di non metterci le emozioni, però quando scrivi devi spiegare alle persone e devi dire che hai sofferto. E questo io non ero abituata a farlo.
Hai vissuto per 15 anni accanto a una madre violenta e lo hai raccontato con estrema chiarezza. Ma sulla copertina del libro hai scelto di mettere una foto che ritrae due bambini sorridenti in mezzo ad un prato. Siete tu e tuo fratello. Come mai hai scelto proprio quell’immagine?
Perché non sono una persona che si piange addosso. Sono una persona che vede il positivo in ogni cosa. Ho poche foto, ti devo dire la verità, però non avrei mai scelto una scatto triste come immagine di copertina perché questa storia, secondo me, non è triste. Se la leggi tutta, se mi conosci, sai che io sono tutto tranne che una persona malinconica. Quindi sì, ho scelto un momento dove vi erano dei sorrisi. Ma in realtà quel momento era tragico… Come tutti gli altri.
Non c’è mai una spiegazione a tanta violenza. Sei riuscita a darti una risposta oggi che sei adulta e che hai portato a termine questo percorso catartico del libro?
Questa è la grande domanda della mia vita. Non credo che troverò mai una risposta che possa dirmi il perché le persone non agiscano davanti a delle situazioni così palesi. E non parlo solo della mia storia. Ce ne sono altre purtroppo, dove succede la tragedia e la gente dice: «Beh sai, in effetti questo bambino veniva a scuola tutti i giorni con un orecchio rotto, un occhio nero o dei segni sul collo». E allora io mi domando: «Perché in nove, dieci anni non hai fatto niente?». Non lo capirò mai…
Tutto questo lo trovo molto grave! Perché se aiuti un bambino, non stai salvando solo la sua vita ma stai aiutando anche un adulto. Io sono adulta adesso e se avessi bisogno perché mi sono fatta male per strada, io vorrei che qualcuno mi desse una mano. Mia madre era in difficoltà totale. Lei in fondo non era una persona nata cattiva. Io avevo bisogno d’aiuto io, ne aveva bisogno anche mio fratello, ma soprattutto lei.
Noi ci indigniamo sempre quando è troppo tardi, quando quel bambino è morto e allora ecco che la notizia esce sui giornali. Poi fa scalpore ed ecco che sui social tutti scrivono che è colpa dei genitori, augurando a loro le peggiori cose. Ma invece no. Non è così! Perché non è solo colpa del genitore ma ricade su tutti noi. Ogni volta che un bambino muore in casa è colpa nostra, perché siamo dei “vicini” sbagliati.
Parlando proprio di tua madre, perché ti riportava a casa quando tentavi di scappar via?
Guarda, proprio in questo periodo ne sto parlando con la mia psicologa. Sto scoprendo che in fondo mia madre non mi voleva morta. Aveva sì, un modo strano di dimostrare amore, ma lei per esempio mi obbligava a mangiare. Se non vuoi bene ad un bambino non lo obblighi a mangiare ma lo fai morire di fame. Quindi credo che in qualche modo mia madre mi volesse con lei per vedermi crescere e diventare una persona buona. Credo. Ma resta il fatto che aveva dei problemi troppo gravi per poterlo fare da sola.
Pensi che il vero problema sia stato il suo passato?
Sì. Mia madre ha sofferto molto dell’abbandono di mio padre. Non ha avuto un aiuto perché non aveva contatti con la sua famiglia. Poi sai, non c’era lavoro e neanche amici. Non c’era una spalla sulla quale poter piangere. Certo, anche per scelta. Può succedere che a volte sei talmente depresso che non ti piacciono le persone.
Nel libro parli di tua madre e inizi raccontando il tuo primo ricordo, che purtroppo non è a colori..
In realtà non ero partita così, quando ho cominciato a scrivere il libro. Tutti i miei momenti vissuti li ho buttati giù, così. Poi, mettendoli in ordine insieme alla mia casa editrice, siam partiti da questo ricordo. Quando lo rileggo o lo sento leggere da altri, è tosto partire in questo modo, ma almeno entri subito nell’argomento. Ripensando, forse quel ricordo non era neanche il primo ma rappresentava comunque tutto quello che era vivere con mia madre.
Pensi che tua madre abbia amato qualcuno?
Sì. Penso che mia madre abbia amato moltissimo mio padre e penso che c’abbia amato anche a me e a mio fratello. Nonostante tutto ci vestiva bene e si impegnava a cercare cose buone da mangiare. Poi certo, ce lo rinfacciava…
L’amore! Nicky è una presenza importante nei primissimi anni della tua adolescenza. Oltre ad ascoltare la stessa musica, condividevate il letto e gli estremi di una relazione. Ma c’è stato, con lui, un momento in cui hai ritrovato in te un lato aggressivo di tua madre. Mi riferisco a quando hai minacciato di ucciderlo con un coltello…
Sai, io sentimentalmente ero completamente instabile; e non ti dico che adesso sto meglio (ride, ndr)… È molto difficile. Ora come ora sto bene però. Sono single, non ho una relazione, ed è dunque molto più facile gestire la vita senza mettersi in discussione come succede nel rapporto di coppia. Appena io però incontro qualcuno, mi piace, entro in questa ottica di coppia ma ecco che mi vengono fuori alcuni scompensi.
Ho risolto il problema della violenza fisica. Infatti ci tenevo tanto anche perché era brutto, mi sentivo sempre in colpa. Diciamo che comunque sono una persona che urla, che non sopporta le bugie e quindi spesso torno ad essere quella bambina che non capisce che invece quel tempo è passato. Sinceramente vorrei essere molto più equilibrata di come sono adesso.
Dall’ultima volta che sei scappata via, lontano dalla Francia, lo hai più sentito o rivisto?
Sì, l’ho rivisto più o meno dopo un anno. Sembra poco, ma per la vita che facevo, un anno ne valeva cinque. Vivevo una vita assurda, senza una regola. Non sapevo più chi ero, in realtà. Una volta è venuto anche a Roma. Ma sai, nonostante fosse stato un grande amore, non era più la stessa vita per me. Poi, come si dice, è il primo amore e te lo porti dietro. Tra l’altro devo dire che, gli uomini che ho avuto dopo, gli somigliavano molto, sai? Anche fisicamente. Chissà, la testa è rimasta un po’ sempre lì. Era impossibile allora starmi vicino. Credo che Nicky abbia sofferto molto…
Secondo te tuo padre, quando ha bussato alla tua porta, si è accorto della situazione che vivevate in casa?
Io credo che lui sapesse. Ma sentiva di non poter fare niente e questa è la cosa peggiore in realtà. Perché basta anche un gesto, una domanda, un sorriso. Mio padre ha scelto di non fare nulla e questa cosa crea inevitabilmente troppi danni. È molto difficile perdonare una persona che non ha saputo essere un adulto. Credo che mio padre sia rimasto infatti molto bambino, attaccato alle sofferenze che ha subito lui da piccolo.
Ecco perché vado in analisi. Perché non posso stare tutta una vita a non aiutare il dolore degli altri solo perché ho sofferto anch’io. Noi dobbiamo spezzarla questa presenza. Anche mia madre. Si ha a che fare quasi ad un circolo vizioso. Lei ha sofferto e ha fatto soffrire i sui figli. Ma bisogna spezzarla la catena.
Hai mai avuto risposte da tuo padre?
Mai! Infatti io avevo tante di quelle domande, ma purtroppo non siamo riusciti. Quando sono scappata da mia madre e sono arrivata a Roma da mio padre, improvvisamente ho conosciuto un mondo nuovo. A casa con lui non mi sentivo in pericolo, ma mancavano i dialoghi e quelle ammissioni di colpa che volevo sentire. O comunque, pretendevo almeno una spiegazione. Ma non c’è mai stata.
Quando hai deciso di diventare Ema hai avuto paura, anche solo per un attimo. di cambiare tutto?
Io non ho mai avuto paura. Capirai che con l’infanzia che ho avuto, ma anche fino ai miei 30 anni, non ho avuto paura di niente. Adesso che ho una casa, un lavoro che mi piace, degli amici che sono la mia famiglia, ebbene sì, ora ho paura di perdere tutto.
Cosa ti ha spinto a scegliere questo nome?
Ho scelto semplicemente questo nome per una questione di assonanza. Tutto è nato quando lavoravo in discoteca ed era difficile capire il mio nome e cognome: «Piacere Morwenn Moguerou». Poi figurati, con la musica alta e magari due bicchieri bevuti, nessuno poteva capire mai il mio nome. Vivendo poi in Italia, mi ero resa conto che la gente aveva difficoltà a memorizzare il nome. Si ricordava della mia voce ma non come mi chiamavo.
Se potessi parlare oggi alla Morwenn di qualche anno fa, cosa le diresti? E cosa è rimasto di lei oggi, in Ema?
Le direi una frase che è adatta proprio in questo momento: «Andrà tutto bene!». E anche che ho ragione e di tenere duro, perché un giorno la mia vita sarà come l’ho sempre voluta. Non ti nascondo che ci sono stati dei momenti dove volevo farla finita. Ma c’è sempre stata una piccola voce dentro di me che mi diceva che sarebbe andato tutto bene. Di Morwenn è rimasto tutto. Io non penso di essere due persone diverse. È solo un nome più facile che ho voluto darmi per aiutare gli altri, e la Ema di oggi è sempre francese. Sì, sono la stessa persona.
Le ultime due pagine del tuo libro le ha riempite elencando tutti i nomi delle persone che ti sono state vicine. Ognuna ti ha regalato qualcosa. E c’è chi, come Andrea Delogu, ti ha accompagnata e lo fa tutt’ora come se foste sorelle. Addirittura, sembra che il tempo vi abbia reso simili anche fisicamente. Anche lei ha vissuto una realtà molto difficile. Ma vi siete riconosciute tra la massa…
Ci siamo riconosciute anche se la nostra amicizia non è stata immediata. Ci siamo un po’ girate intorno. Ma c’è da dire anche che io facevo ancora molta fatica a fidarmi delle persone. Lei è molto espansiva ed è così divertente che è difficile resisterle. Ti fai letteralmente prendere dal suo mondo!
Con lei, per la prima volta nella vita, sono riuscita a confidarmi. Non era successo neanche con mio fratello, pensa! Ho sentito di essere capita o perlomeno ascoltata. Andrea non ha paura di chiederti. A volte chiedere anche i dettagli aiuta una persona… Con lei non dovevo più subire da sola, quando capitava che i tormenti ritornassero in testa. Potevo raccontare tutto e viceversa, perché anche lei ha una storia talmente interessante. Ci conosciamo da undici anni e ci siamo trovate e aiutate tantissimo.
Stiamo vivendo un momento difficile e delicato come l’emergenza da coronavirus. Questa situazione viene diffusa dai social con un hashtag solidale e di resistenza: #IORESTOACASA. Pensi che quando tutto sarà finito cambierà qualcosa in ciascuno di noi?
Io credo che, purtroppo, torneremo ad essere le persone che eravamo, nel bene e nel male. Non credo che il popolo impari veramente dalle difficoltà. Sì, in questo mi ritengo un po’ cinica. La prova è che le guerre esistono da sempre. A pochi chilometri ci sono delle persone che muoiono. Gli animali soffrono. Lo sappiamo ma non è mai cambiato nulla… Vorrei essere più positiva, ma non abbiamo mai dimostrato che possiamo fare di meglio.
Ma quando tornerà la “normalità”, quale sarà la prima cosa che vorrai fare?
Spero di continuare a parlare un po’ del mio libro e spero di poter trovare qualche associazione nel quartiere. Perché penso a me bambina, in un contesto del genere e con una madre violenta. Credo proprio che non sarei riuscita a farcela. Quindi spero di poter aiutare dei bambini che si trovano in famiglie con difficoltà. È un momento difficile questo per le persone che subiscono delle violenze in casa e non voglio assolutamente che tutto questo rimanga un buco nell’acqua.