Francesco Guccini si è raccontato ad una lunga intervista a Il Manifesto, cominciando a parlare dei cambiamenti operati dal Coronavirus. I contatti umani, per esempio, come quello con Celestino, falegname da cui ebbe la prima chitarra:
È più vecchio di me e mi ha telefonato due giorni fa per chiedermi come stavo. Con questo virus ci si chiama per sentire come sta l’uno e come sta l’altro…
Francesco Guccini ha raccontato il percorso creativo che lo portava a comporre le sue canzoni:
Partivo sempre da un’idea, dalla voglia di trattare un argomento; poi prendevo la chitarra e provavo una serie di accordi, dai quali nasceva una linea melodica su cui si inserivano le prime parole.
Francesco Guccini racconta di come e dove compose il primo disco, in una Milano che lo accolse:
Il primo disco fu registrato in una sala d’incisione enorme, si chiamava La Basilica, una ex chiesa di proprietà della Emi. Si accendeva questa luce rossa, i tecnici in camice bianco, era una cosa religiosa! A Milano si andava avanti finché si avevano idee, anche oltre l’orario; a Roma, invece, alle cinque dicevano: «Aò, che stamo a fa’, dobbiamo chiudere!».
Francesco Guccini parla con nostalgia del periodo milanese:
Era bello stare a Milano, la sera andavo sempre da qualche parte. Un mio amico giornalista mi portava in una trattoria toscana in via Gian Giacomo Morra. Per la casa discografica il conto delle nostre cene era pari — se non superiore — a quello dei musicisti!
Francesco Guccini poi si paragona a Faber, confessando:
Ho imparato a cantare negli ultimi dischi soprattutto. C’è stata una grande maturazione. Ho sempre considerato la voce di De André più bella della mia.
Riguardo alla canzone d’autore, Francesco Guccini è nostalgico:
È stato uno dei movimenti più importanti nella storia della canzone italiana, ha prodotto cose di grande livello, fino agli anni Settanta-Ottanta. Ma non ci sono più personalità di quel tipo, non si fa più quel tipo di canzone. I De André, i De Gregori, non nascono più.
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