La megalopoli cinese di Wuhan, centro da cui, per quello che ne sappiamo finora, si è sviluppato e si è diffuso lo scorso autunno il Sars-Cov-2, dice basta al mercato degli animali selvatici.

Come è noto il coronavirus, che si è poi trasformato in una vera e propria pandemia, avrebbe colpito l’uomo tramite lo “spillover”, il passaggio di specie. Da un pipistrello, o altri animali, all’essere umano. Uno dei problemi sanitari di alcune zone dell’Asia riguarda il tradizionale commercio sui mercati cittadini di animali vivi, anche fauna selvatica.

La Cina ha già dato un giro di vite su questo punto. Adesso è la stessa Wuhan che opta per la svolta. E vieta la caccia e il consumo di carne di animali selvatici per i prossimi 5 anni. In una nota postata sui social network, l’amministrazione della megalopoli di 11 milioni di abitanti ha deciso la stretta che include anche il commercio illegale di animali selvatici.

Le nuove norme, in vigore con effetto immediato e strutturate su 10 punti, hanno un obiettivo chiaro. Mirano a rendere più difficile le licenza per chiunque punti ad allevare, cacciare o vendere animali selvatici. All’indomani dello scoppio della crisi, il governo di Pechino decise un bando temporaneo al commercio di fauna selvatica nel mercato Huanan di Wuhan, sospettato di essere all’origine del contagio.

La nuova disciplina, tra l’altro, tutela la fauna in via di estinzione, proibisce la caccia agli animali selvatici, vigila sugli allevamenti di animali selvatici. E rafforza la pubblicità e l’educazione alla protezione della fauna non domestica. La Cina ha intensificato da febbraio la repressione su caccia illegale e sfruttamento della fauna selvatica, sotto la direzione della National Forestry and Grassland Administration.

 

Il pangolino, uno degli animali “incriminati” di aver trasmesso il virus