È stata la protagonista indiscussa della quarta stagione di Skam – Italia e il ruolo che si è ritrovata a interpretare, quello di Sana Allagui, era forse uno dei più complessi e sfaccettati della serie televisiva. Beatrice Bruschi è però riuscita non solo ad accettare e a superare questa sfida, ma anche a portare in scena uno dei personaggi più credibili di Skam. Ci sono voluti uno studio davvero approfondito e una buona dose di metodo Stanislavskij, ma si è trattato di un impegno che – assicura l’attrice – l’ha aiutata a crescere dal punto di vista professionale. E l’ha aiutata a tirar fuori una grinta che non credeva di possedere. Nel futuro prossimo? Tanta voglia di recitare e un sogno nel cassetto legato alla musica.

Intervista a Beatrice Bruschi: nell’universo di Sana

Il personaggio di Sana è uno dei più complessi e sfaccettati di Skam. E di questo gran parte del merito va a te. È stato difficile interpretare questo ruolo? Quanto e che tipo di studio ha richiesto?

Quello di Sana non era un personaggio facile: era un ruolo abbastanza lontano da me, dalla mia persona. Era necessario secondo me fare uno studio molto approfondito, un qualcosa che potesse dare rispetto al personaggio. La prima cose che ho fatto per entrare in Sana è stato provare a immedesimarmi in lei. Sono andata in giro con il velo ed è stata una cosa che mi è servita tantissimo: avevo bisogno di capire che cosa le persone dicessero senza parole, non so se mi spiego. Vedere come ti guardano, capire cosa pensano. E sono arrivata a delle conclusioni quasi inaspettate.

Per dirti: la prima volta che sono uscita con il velo, l’ho fatto con il mio cane. Io ho un cagnolone gigante. Un gruppo di ragazzi che frequentano il liceo vicino casa mia ha iniziato a commentare con esclamazioni tipo: “Oddio, oddio!”. Ho subito pensato che stessero parlando di me, e invece si riferivano al cane e al fatto che fosse molto grande. Loro non avevano neanche visto il velo che portavo in testa e questo mi ha fatto molto piacere. Invece qualche signora di una certa età mi ha guardato in un modo particolare, come a dire: “Poverina”. Questo è quello che è successo a me, e non è detto ovviamente che rispecchi la realtà assoluta. Quello che ho potuto notare è che i ragazzi adolescenti tendono proprio a non vedere questa cosa. Per loro non c’è differenza se tu sei musulmano, ebreo, cristiano o di qualsiasi altro credo religioso. Per loro sei una persona.

Questo è stato il primo passo per entrare nel personaggio di Sana. Poi, quali sono stati i successivi?

Per prepararmi a interpretare Sana ho poi letto tutto il Corano e ho studiato davvero molti libri. Volevo formarmi a tutto tondo. Inoltre per la quarta stagione, che mi ha vista protagonista, è subentrata Sumaya Abdel Qader, e la sua presenza è stata davvero fondamentale per me. Mi ha fatto entrare in casa sua, mi ha fatto conoscere la sua famiglia e le sue figlie – che hanno indicativamente l’età di Sana – e ho potuto vedere tutto ciò che era la loro quotidianità.

Mi ricordo, ad esempio, che sono andata a casa loro con Ludovico Bessegato, il regista di Skam, e abbiamo spulciato in ogni angolo di casa, paradossalmente anche nel frigo. Sono quei dettagli che mi hanno permesso di rendere il tutto realistico. Non ti dico le scene con le figlie per provare tutti i veli, per conoscere le mode, “secondo me ti sta meglio se lo indossi così”, “secondo me ti dona più questo colore”. Ci siamo davvero divertiti.

“Sono grata a Sumaya Abdel Qader: ha fatto entrate me e Ludovico Bessegato in casa sua”

Un’altra cosa che per me è stata davvero importante è stato conoscere gli amici delle figlie di Sumaya, i ragazzi del gruppo del GMI, i Giovani Musulmani Italiani. Loro si vedono ogni sabato, e un sabato sono andata anche io con loro. I ragazzi quando mi hanno vista non capivano bene, perché comunque ero nuova. Ero amica delle ragazze, ma non mi conoscevano. Io ho fatto domande a tutti, ma ero in incognito, perché allora ancora non si poteva dire che avremmo fatto Skam. Quindi loro erano sorpresi dalle mie domande, non capivano perché gliele stessi ponendo. In quell’occasione un momento meraviglioso è stato quando i ragazzi hanno iniziato la preghiera e ti posso dire che mi sono venuti subito i brividi, è stata un’emozione incredibile e fortissima. Mi sono commossa.

Io in quel momento mi sono detta: questa sensazione la voglio riproporre quando farò le scene di preghiera di Sana. E ho cercato di farlo, ho cercato di trasmettere l’emozione che avevo provato quel giorno. Partecipare a quel momento di preghiera è stato per me importantissimo, e la cosa che mi ha più toccato è stato vedere come ragazzi di quindici, sedici, diciassette anni, che fino a qualche minuto prima ridevano e scherzavano con me, prendessero poi così seriamente quel momento. Sono uscita da quella esperienza completamente sconvolta, provavo delle emozioni forti che mi tenevano sveglia tutta la notte, che mi hanno portata a riflettere per giorni.

Mi sento davvero fortunata. È chiaro, siamo tutti liberissimi di conoscere famiglie musulmane e frequentarle, anzi, è secondo me una cosa da fare. Io stessa, prima di Sumaya, ho scritto su Instagram a una ragazza musulmana di Roma per chiederle delle informazioni. Lei è stata davvero carina e disponibile, mi ha aiutata moltissimo e adesso siamo amiche, ci sentiamo quasi tutti i giorni. Devo essere sincera: mi dispiace non averlo fatto prima. Invito davvero tutti a fare lo stesso, a cercare di conoscere questo mondo così diverso, nell’accezione più bella del termine. Credo che la diversità possa arricchirci.

Sono assolutamente d’accordo: la diversità è un valore. A questo proposito vorrei quindi chiederti se prima di interpretare questo personaggio, con tutte le sue peculiarità, avessi qualche pregiudizio, qualche remora sulla religione musulmana.

Devo essere sincera: no, assolutamente. Quando vedevo una donna con il velo, avevo semplicemente di fronte una donna musulmana, con un credo religioso assolutamente rispettabile. Ti ripeto: mi dispiace non aver mai approfondito. Avrei dovuto farlo prima. Prima pensavo semplicemente che ognuno potesse e dovesse essere libero di professare la sua religione, ma non avevo forse colto il reale valore di tutto questo. Io poi, figurati, sono sempre stata una ragazza che si è schierata contro la standardizzazione, contro le imposizioni: a patto ovviamente che non faccia del male a nessuno, ognuno deve essere libero di essere quello che vuole. E nessuno deve permettersi di giudicarlo. Mi rendo conto però che i pregiudizi esistono, li vediamo ogni giorno. Penso che progetti come Skam possano aiutare in tal senso a portare nelle case delle persone degli esempi di diversità, ma non perché imposti, ma perché facenti parte della realtà, della normalità.

Mentre parlavi del tuo opporti all’omologazione, mi hai ricordato davvero tanto il personaggio di Sana. C’è qualche lato del tuo carattere che ti accomuna al personaggio che hai interpretato? 

Questa grinta che ho adesso me l’ha tanto tirata fuori Sana in questi anni. Dentro di me c’è sempre stata, ma l’averlo tirata fuori è il bagaglio più grande che mi porto dietro dall’esperienza di Skam. Credo che Sana sia la donna più coraggiosa che io abbia mai visto. Con i suoi mille difetti, limiti, con tutte le sue sfaccettature, ovviamente. Ma ha del coraggio da vendere, e me ne ha donato un po’. E poi mi dicono che in comune con lei ho anche questa tendenza a fare delle battute ciniche.

Cosa ti sentiresti di consigliare a una ragazza musulmana come Sana o, comunque, facente parte di una minoranza etnica e/o religiosa che vive in Italia?

Credo che le darei il consiglio che dà Martino a Sana in Skam, in quello che è secondo me uno dei discorsi più toccanti non solo della serie televisiva, ma che io abbia mai sentito. Dare risposte intelligenti alle loro domande stupide. Ma anche risposte divertenti, pungenti, senza lasciarsi innervosire o esasperare.

Cosa ti ha lasciato l’esperienza sul set di Skam? A livello professionale quanto ti ha aiutata?

Al di là di tutto il retroscena di amicizie strette e di esperienze vissute, ne sono uscita con un bagaglio enorme. Dal punto di vista attoriale e tecnico, sento di essere cresciuta moltissimo. Credo che la miglior palestra per un attore, al di là delle scuole che sono di certo importantissime, sia il set. Poi io sono una ladra, rubo tantissimo con gli occhi di quello che vedo attorno a me, e anche questo mi ha aiutato tantissimo. Skam è stata una palestra straordinaria.

Nel 2008 hai lavorato per un film pluripremiato come Caos Calmo, accanto a volti del cinema del calibro di Nanni Moretti, Alessandro Gassman e Valeria Golino. Come ti sei trovata? Che tipo di esperienza hai vissuto?

È stata la mia prima esperienza, nata un po’ per caso: io facevo ginnastica artistica, ho fatto dei provini e mi hanno presa. Ero piccola, ma è stata una tappa importantissima. Lavorare in un set di quel calibro è stata una delle esperienze più belle della mia vita. Non avevo neanche paura: ero solo contenta di fare quello che andavo a fare. Per me recitare è sempre stata un’esigenza, un bisogno. E in quel momento mi sono accorta che mi piaceva moltissimo e che non avrei più voluto stare senza. Mi ricordo che avevo contro anche molte professoresse a scuola che mi spingevano ad abbandonare il teatro e la recitazione per dare spazio allo studio.

Chissà, forse avranno visto Skam e si saranno ricredute, saranno diventate tue grandi fan.

Lo spero (ride). A parte gli scherzi, mi rendo perfettamente conto del perché lo facessero, lo studio è un qualcosa di estremamente importante nella vita di ciascun ragazzo. Però ho sempre avuto una vocazione per la recitazione, e mi sento anche poco umile a chiamarla così, ma non saprei come altro descriverla. È ciò che mi rende felice e io non so immaginarmi in altro modo. E questo è anche motivo di sofferenza, di preoccupazione.

Hai progetti in cantiere per il futuro prossimo?

Per adesso no, purtroppo per via del Coronavirus c’è stato un blocco totale. È stato un momento molto difficile.

E qualche sogno nel cassetto? Cosa ti piacerebbe fare?

Sì, questo sì: ho un sogno nel cassetto. È quello di mostrare il mio lato musicista, mi viene da chiamarlo così. Ho una passione per la musica, per il canto, che corre quasi parallelamente rispetto a quella per la recitazione. Ma si è sempre trattato di qualcosa di molto intimo, che ho cercato di tenere per me. Ora ho deciso che voglio mostrare anche questo lato di me.