L’Uomo di Neanderthal, malgrado tutto, è ancora fra di noi. O meglio: rivive in provetta. Grazie, infatti, a colture di cellule staminali e organi in miniatura, diventa possibile studiare la funzione degli antichi geni. Si tratta di materiale biologico che, sia pure in piccolissima proporzione, è ancora presente nel genoma dell’uomo moderno.

Il risultato di questa sorprendente ricerca scientifica è apparso sulla rivista Stem Cell Reports dall’Istituto Max Planck di antropologia evolutiva di Lipsia, in Germania. Allo studio hanno collaborato gli scienziati dell’Università di Basilea in Svizzera.

Il Dna neanderthaliano contribuisce a circa il 2% del genoma nelle popolazioni umane moderne. Quelle non africane. “Eppure finora nessuno è riuscito a esaminare il ruolo che (il Dna neanderthaliano, ndr.) gioca nello sviluppo”, spiega il coordinatore dello studio J. Gray Camp. Il suo gruppo di ricerca lo ha fatto usando un approccio innovativo. Gli studiosi si sono basati sulla coltura di cellule umane staminali riprogrammate.

I ricercatori hanno usato cellule della biobanca HipSci (Human Induced Pluripotent Stem Cells Initiative) prelevate da 173 persone originarie per lo più della Gran Bretagna e del nord Europa. In questi Paesi i geni dei Neanderthal sono più diffusi. Per ogni tipo di cellula i ricercatori hanno individuato il Dna neanderthaliano presente e ancora funzionante. Nella maggior parte dei casi si tratta di geni legati a colore della pelle, digestione, coagulazione del sangue e sistema immunitario.

A questo punto si è provveduto a coltivare in provetta alcune cellule. Obiettivo: generare dei cervelli in miniatura. Durante lo sviluppo si è andati quindi a verificare quali geni neanderthaliani fossero attivi analizzando gli Rna in cui si trovavano “copiate” le loro informazioni.

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