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Googa, parla la band di Lupo Mannaro: “Siamo in un limbo, ma bisogna essere ostinati” [INTERVISTA ESCLUSIVA]

Lo stato paralisi che ha travolto il mondo dello spettacolo e della musica italiana è andato inevitabilmente a colpire quanti, all’infuori delle televisioni e delle classifiche, contassero e contino sull’attività live per portare avanti il proprio percorso artistico. In un panorama oggi più ricco che mai come quello della musica indipendente, legata all’affezione dei fan e all’attività da palco, sono in molti a domandarsi come si evolverà nell’immediato un campo storicamente in continuo mutamento. Hanno discusso di questo e altro con i Googa, band laziale che dai nuovi circuiti indie orbitanti attorno a social e attività live ha preso abilmente le mosse; prima con la pubblicazione del primo EP Oblò, recentemente con il buon successo del singolo Lupo Mannaro. Orbitanti attorno alla sempre più affollata scena romana, hanno quindi raccontato il tragitto di una band emergente in questo complicato inizio di decennio.

Un po’ di storia: è una fase molto diversa dalle biografie classiche del pop e del rock. Come si forma una band come la vostra oggi, e che percorso segue?

Abbiamo avuto un approccio molto classico sotto questo punto di vista. Al’inizio suonavamo in un garage, mille note e mille birre per volta, lasciandoci ispirare dal momento. Uscendo da quel garage però abbiamo dovuto confrontarci con il mondo di Spotify e Instagram; le competenze che un musicista deve avere oggi sono variegate e spesso lontane dal prendere uno strumento e sudarci sopra in un seminterrato. Ci siamo messi sotto e abbiamo provato a capire come muoverci, facendo tanti errori ma imparando molto. Quello che piace fare di più, però, rimane suonarci uno sopra ‘altro.

Viene automatico associarvi a quello che è ormai un autentico genere catalizzatore, quello dell’indie romano. Come vi ponete rispetto a questa scena bene o male così centrale?

È una scena molto attiva che offre tante possibilità e in cui si incontrano molti bravissimi musicisti. Noi la viviamo un po’ di sbieco perché è un catalizzatore talmente forte che rischia di rendere tutto indistinto, di smussare le differenze sia nel modo in cui viene percepita dal pubblico che nell’approccio alla scrittura di chi fa le canzoni.

Con Lupo Mannaro sembra ci sia un certo salto di produzione, anche rispetto all’EP dello scorso anno.  Che maturazione avete incontrato in questi primi anni?

Con questo brano abbiamo provato a prendere una direzione un po’ diversa, lavorando per far emergere il suono che avevamo in testa al meglio possibile. Ci siamo concentrati con attenzione sui dettagli del brano dedicando molta cura all’arrangiamento e alla ricerca di elementi originali anche in un brano alla fine semplice com’è Lupo mannaro.

E su un piano tematico? Cosa muove la vostra scrittura?

Anche in questo stiamo cambiando molto, passando da testi molto lunghi e esplicativi, ben a fuoco, verso qualcosa di più vago, indefinito, basato su immagini evocative e contraddizioni irrisolte. Stiamo affrontando un processo di sottrazione e ricerca di una sorta di primordiale nucleo creativo che mantenga al suo interno diverse interpretazioni e possibilità di evoluzione.

C’è tantissima attenzione al comparto video, ora anche animato. Quanto conta il saper diffondere la propria musica su piattaforme come Instagram e Youtube oggi, rispetto alla classica attività dal vivo?

Conta moltissimo ovviamente. I modi in cui approcciarsi alla condivisione online sono talmente tanti e diversi che la sensazione è che non esista una scelta oggettivamente migliore delle altre; se da una parte questo genera continua insicurezza o incertezza su cosa, quando e come diffondere contenuti, dall’altra proprio questa situazione rende evidente che la cosa migliore che si possa fare è essere fedeli a se stessi, e a quello che veramente si vuole condividere.

Che aria tira per una band indipendente e dunque senza appoggi di major, in questo folle periodo? Più rassegnazione, o speranza?

In questo periodo ci sentiamo molto dentro un limbo, una via di mezzo in cui tutte le scene musicali sono ferme o si muovono a velocità ridottissima. Perciò la viviamo con una sorta di rassegnata speranza, che diventa ostinazione nel fare quello che ci piace fare.

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