Un talento cristallino, venuto alla luce in modo totalmente casuale, una spontaneità invidiabile e anche un pizzico di incoscienza. Matilde Gioli, soli 30 anni di età, è una delle attrici più note del panorama cinematografico italiano, eppure ha conservato intatte la sua spontaneità e la sua genuinità, senza cadere nel brutto vizio della presunzione che la fama di tanto in tanto porta con sé. Dopo un esordio tanto stellare quanto casuale («All’epoca non avevo neanche mai visto Gioventù Bruciata», afferma con una invidiabile dose di autoironia) ne Il capitale umano di Paolo Virzì, che le è valso un Nastro d’Argento, la sua carriera procede ormai spedita. Dal 2 luglio è su Prime Video con È per il tuo bene, film diretto da Rolando Ravello.
Finalmente è su Prime Video il film È per il tuo bene, per la regia di Rolando Ravello, dove hai lavorato accanto a Marco Giallini, Vincenzo Salemme, Isabella Ferrari e tanti altri volti noti del cinema italiano. Che esperienza è stata?
È stata un’esperienza meravigliosa. Devo dire innanzitutto che sono rimasta davvero colpita da Rolando Ravello: era la prima volta che lavoravo con lui e ho avuto modo di conoscerne e apprezzarne l’estrema professionalità. È un regista non solo talentuoso, ma veramente molto empatico, attento ai bisogni e alle esigenze di noi attori – e questo, devo ammetterlo, è una cosa che a noi tutti è piaciuta molto. In questo, forse, è aiutato dal fatto che è egli stesso un attore e quindi è pienamente dentro a certe dinamiche, le comprende meglio.
Un’altra cosa che ho apprezzato tanto di questo film è che mi ha permesso di ritrovarmi sul set con persone a cui tengo molto. Il primo nome che mi viene in mente è quello di Claudia Pandolfi che è una mia cara amica, ma con la quale non avevo mai avuto modo di lavorare. Discorso simile per Isabella Ferrari e Valentina Lodovini, due professioniste che stimo molto. È un regalo che ci fa questa professione, quello di lavorare con persone a cui vogliamo bene, che ci piacciono, che stimiamo, con cui siamo amiche, e passare assieme a loro molto tempo. È una grande fortuna.
Era la prima volta anche che lavoravo con Marco Giallini, che nel film interpreta il ruolo di mio padre. Lui è veramente molto, molto… come faccio a descriverlo? È talmente tante cose. Posso dire che sul set mi ha dato tantissimo. È di una profondità straordinaria e di questa profondità non tiene nulla per sé. Lui, Vincenzo Salemme e Giuseppe Battiston rappresentano tre tipologie di comicità differenti e credo che questo sia un valore aggiunto per il film.
Nel film tu interpreti la figlia di una coppia tradizionale che si innamora di una ragazza di colore. Un bell’affronto ai pregiudizi di cui questo Paese è ancora oggi, in parte, schiavo. Quanto bisogno c’è di film di questo tipo?
Ce n’è davvero tanto bisogno. Io parlo del cinema perché è il mio ambito, ma è un discorso che andrebbe allargato anche alle altre arti. Anche a scuola bisognerebbe portare queste tematiche così importanti, anche in toni meno seriosi volendo. C’è bisogno che le nuove generazioni non ne abbiano paura, che la accettino e, anzi, ne colgano il valore aggiunto che porta con sé. Trovo inconcepibile che ancora esista chi vuole dettare legge su un qualcosa di libero, puro e bello come l’amore, cercando di impostare dei canoni di oggettività che assolutamente non esistono.
C’è poi la tematica dello scontro generazionale, le aspettative dei genitori sui figli. E delle delusioni che ne conseguono quando un figlio decide di non intraprendere la strada che è stata tracciata per lui. Quanto spesso capita? Quando un genitore si ritrova in una situazione simile, la prima cosa che prova è una forte delusione. Credo che i genitori debbano però dare una chance ai figli: quella di sviluppare una propria personalità, di assecondare le proprie inclinazioni e i propri interessi. Questi genitori lo hanno fatto, nonostante una certa titubanza iniziale, e solo così hanno potuto rendersi conto di quanto la loro figlia sia brava nel suo mestiere e quanto questo la renda felice. Capita purtroppo anche la situazione opposta, che un genitore non accetti che il figlio prenda una strada diversa e gli impone la propria. Questo significa condannarlo all’infelicità.
Il film verrà distribuito solo on-demand, sulla piattaforma Prime Video. Pensi che il cinema stia andando sempre più in questa direzione e che lo streaming rappresenti il futuro, o secondo te viaggerà parallelamente alle sale?
Negli ultimi anni abbiamo assistito a una crescita esponenziale delle piattaforme di streaming online come Netflix, Prime Video, Now Tv, Infinity eccetera. Io credo che sì, si stia andando sempre più in questa direzione. È un tipo di servizio che ci piace, perché abbiamo tutti i film e le serie che vogliamo a portata di mano. È una bella sensazione. Credo anche, però, che prima o poi ci stuferemo di questa abbondanza di offerta, decideremo di andare al cinema e ci renderemo conto di che razza di figata è. Le sale erano già in crisi prima dell’arrivo dello streaming online e penso che quest’ultimo, più che decretarne l’effettiva fine, possa rappresentare un’occasione per rilanciarle.
Il tuo primo film per il cinema è stato Il capitale umano di Paolo Virzì. Come è cominciato tutto?
È buffo a dirsi, ma è stato davvero tutto casuale. Io all’epoca studiavo Filosofia all’Università e praticavo nuoto sincronizzato a livello agonistico. Questa era la mia vita: studiare e allenarmi. Un giorno mia madre, che è un’insegnante, uscendo da scuola ha notato un volantino attaccato a un semaforo. Stavano cercando giovani con milanese per delle comparse. Spinta da mia madre, mi sono lanciata e alla fine sono stata notata da Virzì che mi ha scelta per la parte di Serena.
È stata una sorpresa ed è stata un’opportunità grandissima. Ma io, che ero totalmente digiuna di studi sul cinema, lì per lì non me ne sono resa conto. Solo dopo ho compreso l’entità di quello che mi era accaduto, di aver lavorato in una grande produzione con Virzì che è uno dei più grandi registi che abbiamo in Italia. È come se qualcuno non particolarmente ferrato sulla musica venisse scelto dai Pink Floyd per suonare come batterista a un loro concerto. Pur non conoscendo i Pink Floyd si renderebbe certamente conto di suonare con qualcuno di straordinariamente bravo, ma non comprenderebbe la portata di quello che sta facendo. Per me è stato un po’ così.
Il capitale umano è un meraviglioso film che è stato meritatamente premiato con numerosi riconoscimenti. E anche tu, che nel film hai interpretato il ruolo di Serena, hai ricevuto diversi premi e candidature. Insomma: un esordio stellare. Aver iniziato la carriera con un simile successo ti è stato d’aiuto o, al contrario, ti ha in qualche modo ostacolato?
È stata un’arma a doppio taglio. Sicuramente da una parte è stata una grande opportunità che mi ha permesso di fare di tutto ciò il mio lavoro. Ho avuto la fortuna di esordire in un progetto di questa portata, con un regista come Paolo Virzì e accanto a dei mostri sacri come Valeria Bruni Tedeschi e Valeria Golino. Una produzione italo-francese, che ci ha permesso di girare molto, un film che è stato visto da centinaia di migliaia di persone. Insomma: un grande lancio. Io, che appunto ero una “novellina” dell’ambiente, mi sono dovuta ben presto rendere conto che non tutte le produzioni sono così. Non parlo in termini di qualità, ma di impatto mediatico, di persone che vedono il film. Ma questo non è necessariamente un fattore negativo, anzi.
Da lì è stato tutto un crescendo di successo. Quest’anno, dopo aver recitato ne Gli uomini d’oro di Vincenzo Alfieri, sei stata la protagonista femminile di Doc – Nelle tue mani, una serie che ha ottenuto degli ascolti record. Anche se avevi già avuto modo di recitare in alcuni sceneggiati destinati al piccolo schermo – penso, ad esempio, a Gomorra – questo è stato il tuo primo vero ruolo importante in una serie tv. Quali differenze hai notato rispetto al lavoro sul set di un film?
La differenza più importante riguarda le tempistiche, che per una serie televisiva sono decisamente più lunghe. Siamo stati otto mesi sul set, quasi ogni giorno. In pratica come un anno scolastico. Le stagioni sono passate, è arrivato l’inverno, le cene di Natale, e poi l’inizio della primavera. Insomma: siamo stati a stretto contatto per mesi e mesi. Mi è piaciuto moltissimo. E credo sia quel qualcosa che manca ai film. Quando ne giro uno, spesso mi viene da pensare che sia finito troppo presto, che mi sarebbe piaciuto restare di più sul set, che ci sia ancora molto su cui lavorare. Il fatto di stare incessantemente per otto mesi consecutivi sul set è stato anche uno straordinario allenamento. Mi sono resa conto che ero molto più reattiva, imparavo più facilmente le battute, come se la mia memoria stesse diventando più elastica. È stata un’ottima palestra.
Doc – Nelle tue mani è andato in onda in un momento delicatissimo per l’Italia a livello sanitario. Forse è riuscito, in qualche modo, a far sentire gli italiani più vicini alla realtà degli ospedali. Secondo te è un fattore che può aver contribuito al successo della serie?
Doc – Nelle tue mani nasce con l’idea di rilanciare il Medical Drama in Italia, sulla scia di prodotti di successo internazionale come Grey’s Anatomy e Dr. House. Quando abbiamo girato le puntate ovviamente non potevamo neanche immaginare quello che sarebbe accaduto di lì a breve. Ti dirò: quando è scoppiata la pandemia e abbiamo saputo che saremmo ugualmente andati in onda, abbiamo avuto paura di risultare inopportuni. In fondo noi stavamo solo recitando la parte dei medici, mentre in tutta Italia c’erano medici veri che mettevano a rischio la propria vita per salvare quella degli altri. E in certi casi, purtroppo, l’hanno anche persa.
Fortunatamente, però, la serie è piaciuta e ha riscosso un grande successo. Mi sono stupita del fatto che l’abbiano vista davvero persone di ogni età, tanto che sono stata fermata anche da alcuni bambini che mi hanno chiesto se fossi io la dottoressa Giordano. Il fatto che fossimo tutti dentro casa sicuramente ha contribuito al permettere a un maggior numero di persone di guardare la serie, ma tutto il mondo televisivo ha visto una crescita in questo senso. Io mi sento di dire che la serie è piaciuta così tanto perché è stato fatto un ottimo lavoro, e la gente se n’è accorta.
Dal 6 luglio sono ricominciate le riprese della serie. Puoi darci qualche anticipazione sulle prossime puntate?
No, col cavolo! (ride). Guarda, fosse per me ti racconterei tutto. Ma proprio per questo motivo sono sempre quella che viene più “cazziata” e sto cercando di imparare a mantenere il silenzio. Posso dirti che sarà un crescendo di situazioni, di emozioni e di intrecci. Varrà la pena guardarle.
E qualche anticipazione sul tuo futuro professionale? Che progetti hai in cantiere?
Quando finiranno le riprese di Doc – Nelle tue mani, sarò quattro giorni sul set per girare un documentario. Non posso dirti molto, se non che interpreterò un personaggio storico e che sarà un lavoro a più voci femminili. Credo siano tutti personaggi del Novecento, ma non te lo posso dire con certezza perché non conosco le parti delle mie colleghe e tutte stanno mantenendo una certa discrezione a riguardo. Una cosa però posso confessartela: è un tipo di progetto che mi piace moltissimo.
Anche perché tu provieni da studi filosofici, possiamo dire che l’ambito umanistico è un po’ il tuo campo.
Sì, per me è davvero stimolante, anche il lavoro che c’è dietro la preparazione del personaggio mi entusiasma: leggere la bibliografia, fare ricerca… Ma non è l’unico progetto che ho in cantiere. Ultimamente ho fatto due provini per due lavori e ci sono buone probabilità che ottenga la parte. Lo so, di solito i miei colleghi sono molto più scaramantici e non ne parlano prima di essere sicuri di averla ottenuta, ma io sono un’attrice atipica anche in questo. Saprò dirti meglio in futuro. Speriamo che questa chiacchierata mi porti fortuna e speriamo di poterne fare un’altra, presto, dal vivo.