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Pierluigi Lopalco: «Il virus c’è ancora, il suo alleato è la cattiva comunicazione» [INTERVISTA ESCLUSIVA]

Settimane di polemiche politiche sulla necessità o meno di allentare le misure di sicurezza anti coronavirus dopo la fine del lockdown. Manifestazioni dei “no mask”. Appelli, al contrario, a non abbassare la guardia, come quello del presidente della Repubblica Sergio Mattarella la scorsa settimana, col quale il capo dello Stato ha richiamato gli italiani a non dimenticare le oltre 35 mila vittime del Covid-19. E infine messaggi contraddittori nell’arco di appena 24 ore. Come durante lo scorso weekend: dapprima si è lasciato passare il messaggio della fine del distanziamento a bordo dei treni ad Alta velocità, poi si è fatto dietrofront con un’ordinanda ad hoc del ministro della Salute Roberto Speranza. Della confusione che sembra diffondersi in Italia sul coronavirus e di cosa sia meglio fare adesso di fronte alla pandemia VelvetMag ha riparlato con l’epidemiologo Pierluigi Lopalco, dopo la precedente intervista nei giorni più caldi dell’emergenza a marzo.

Professor Lopalco, qual è il bilancio della pandemia in Italia a 6 mesi dalla proclamazione dello stato di emergenza, prorogato fino a ottobre?

L’Italia ha superato la tipica prima ondata pandemica. Una fase in cui il Paese e il suo sistema sanitario sono stati colti impreparati. Così come noi cittadini: la popolazione all’inizio di una pandemia è sempre più esposta e fragile. Grazie al lockdown, alle misure di sicurezza e alle azioni di contenimento questa fase è stata superata.

Cosa dobbiamo aspettarci adesso?

Il coronavirus non è finito. Ogni pandemia ha più ondate. Non arrivano in maniera sincrona ma asincrona. Dopo l’Italia il coronavirus ha invaso l’Europa, quindi il Nord America, poi il Sud America. Il pericolo non è passato.

In Italia però la situazione non è più così drammatica come in primavera: quale fase stiamo attraversando?

Da noi il virus circola ancora. È rimasto come residuo della prima grande ondata. Nei debolmente positivi, ad esempio. In più esistono i piccoli focolai dovuti ai casi d’importazione dall’estero. Dobbiamo continuare a stare in guardia.

Quanto è importante una efficace comunicazione pubblica sul Covid-19?

Non esiste nemico peggiore di una comunicazione contraddittoria. Gli italiani sono disorientati. Abbiamo assistito in questi ultimi mesi alla volontà, da più parti, di spaccare l’opinione pubblica sul coronavirus per fini di propaganda politica. Invece occorre un’alleanza stretta fra il cittadino e la sanità. Il Covid-19 è pericoloso: guardiamo a cosa sta succedendo negli Stati Uniti, il Paese più ricco del mondo.

Cosa possiamo fare da ora in avanti contro il virus?

Dobbiamo impedire che si arrivi a una nuova circolazione del Sars-CoV-2 in autunno. Per fare questo, e imparare a convivere col coronavirus, occorre osservare le tre regole che contano di più. La distanza: evitare assolutamente i luoghi affollati. La mascherina: va usata sempre quando ci troviamo nei luoghi chiusi accessibili al pubblico, come i negozi o i locali. L’igiene del corpo, col lavaggio frequente delle mani, e l’igiene respiratoria: tossire coprendosi la bocca e starnutire nel gomito.

È possibile prevenire la diffusione di nuovi virus sconosciuti che con i “salti di specie” raggiungono gli esseri umani?

Ci vorrebbe un cambio di rotta planetario. Occorre combattere contro i cambiamenti climatici; mettere in discussione il modo in cui produciamo il cibo che mangiamo, la maniera con la quale alleviamo gli animali ai fini della produzione alimentare… Sono problemi complessi. Di certo a una futura possibile pandemia dobbiamo arrivare preparati. Con investimenti in primo luogo sulla sanità. Anche apparentemente banali: ad esempio possedere stock di camici, guanti e mascherine e la capacità di autoprodurli. Cosa che lo scorso mese di febbraio l’Italia non aveva.

 

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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