Il 28 agosto del 1963, al Lincoln Memorial, in una Washington gremita, Martin Luther King teneva il celeberrimo discorso: “I have a dream“. Pronunciate dopo una lunga marcia di protesta – per il lavoro e la libertà -, quelle parole sono rimaste sospese, come se non avvertissero il bisogno di attecchire, ma di volare alte per arrivare oltre ogni confine.

«Io ho un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione dove non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per ciò che la loro persona contiene. Io ho un sogno oggi!»

Oggi. Oggi 28 agosto 1963. Oggi 28 agosto 2020. 57 anni di progressi scientifici e tecnologici che hanno modificato il nostro modus vivendi, ma che evidentemente non hanno saputo influenzare l’incapacità di superare i limiti quelli veri, quelli che ancora, nonostante le lunghe battaglie, nonostante il dolore della storia, deridono e uccidono senza pietà. Martin Luther King aveva un sogno, desiderava che gli esseri umani fossero banalmente considerati tali a prescindere dal colore che la loro pelle avesse. Una richiesta legittima, quasi ovvia; suscita incredulità pensare che si abbia avuto bisogno – e che lo sia abbia tuttora – di ribadire in modo così forte un concetto che dovrebbe considerarsi piena normalità. Bianco o nero. Bianco e nero.

Umani tutti: organi interni, ossa, legamenti, tendini, muscoli. Umani tutti. Martin Luther King al Lincoln Memorial stava dicendo esattamente questo: umani tutti. Eppure, nonostante le clonazioni, i farmaci, gli ologrammi, gli smartphone, la globalizzazione, oggi sui nostri social, in tendenza, c’è l’hashtag #blacklivesmatter. Oggi sulle prime pagine dei nostri giornali leggiamo i nomi di George Floyd e Jacob Blake. Oggi dobbiamo ancora una volta, con estrema incredulità, guardare al discorso di Martin Luther King quasi come si tratti di utopia. E forse, tristemente, lo è davvero.

#blacklivesmatter: il fallimento dell’umanità 57 anni dopo “I have a dream”

Sì è un fallimento. Quando il mondo durante una pandemia deve scendere in piazza per reclamare diritti – che dovrebbero essere – imprescindibili, inalienabili, si parla di fallimento. Il volto di George Floyd mentre gli viene lentamente negato il respiro e gli spari alla schiena di Jacob Blake, attualmente paralizzato, non possono che definirsi un fallimento.

Dicevamo, all’inizio, che quelle parole di Martin Luther King non ne volevano saperne di tacere; volevano arrivare a tutti, indistintamente dallo stato, dalla nazione e dal continente. Loro degli uccelli liberi in volo, noi i cacciatori assetati di sangue che hanno ne arrestato la migrazione e le hanno zittite. Allora, perché tornino a urlare “libertà“, perché tornino a dire “uguaglianza“…

«Io ho un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione dove non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per ciò che la loro persona contiene. Io ho un sogno oggi!»