La storia è nota e ha conquistato le prime pagine dei quotidiani nazionali e internazionali e scatenato il popolo, sempre all’erta e acceso, del web. Armine Harutyunyan, 25 anni, modella armena dalla bellezza lontana dai canoni tradizionali, è la nuova testimonial di Casa Gucci. Segni particolari, un ovale del viso lungo e spigoloso, un naso “importante”, orecchie grandi, silhouette secca e verticale. A leggerla così, nulla di più lontano da quella perfezione patinata che per anni è stata la linea, o meglio “il limen” di demarcazione e inclusione nel magico mondo della moda.
Se dunque la bellezza secondo il concetto più classico può far difetto ad Armine, quello che invece non manca di certo è il coraggio. Soprattutto ad Alessandro Michele, il direttore creativo della Maison, che da quando ha preso in mano il timone, nel gennaio 2015, confortato dal sostegno strategico di Marco Bizzarri, l’amministratore delegato di Gucci, ci ha abituati a radicali e sempre sorprendenti inversioni di rotta, dando all’inclusività un valore sconosciuto, fino ad oggi, nel patinato mondo del fashion system. E lasciando all’estetica una libertà di fluire, senza vincoli. Lontana da qualunque diktat borghese. Soprattutto senza paura di mostrarsi per come si è.
Giusto un anno fa, nei giorni della Milano Fashion Week, Armine, aveva sfilato per Gucci, vestita con una tunica bianca. Quasi una divisa, una camicia di forza?, una protesta contro i lacci e laccioli che la moda da sempre impone. La vera libertà era in quella diversità, professata da Michele, fin dal primo giorno della sua direzione, coerenza di valori agganciati ad una comunicazione efficace, che non perdeva di vista anche la concretezza commerciale di un’azienda quotata in borsa che impiega migliaia di persone.
Prima di Armine, c’era stata Ellie Goldstein, prima modella con la sindrome di down, scelta dal marchio fiorentino proprio come testimonial della linea beauty. Anche in quel caso, la provocazione non era scivolata tra le pagine digitali di una popolazione social che anche oggi si divide come nel migliore match, a favore o contro Armine. E se è tutta da condannare “senza se e senza ma” l’ondata di body shaming che le si è riversata contro in rete, forse bisognerebbe però essere anche attenti a stilare classifiche sempre e da sempre pericolose, per tutti.
Si sapeva che includere Armina tra le 100 donne più belle del mondo, come accaduto lo scorso anno, avrebbe alla fine scatenato un polverone di allusioni e commenti, nel caso migliore, pronti facilmente a scivolare nei più beceri insulti. Forse bastava solo registrare la notizia, guardare e raccontare. E lasciare che alla fine ciascuno ne traesse le proprie personali conclusioni, senza podi e senza classifiche. Che, alla fine, da Miss Italia ad Armine, non fanno mai bene. Come ci insegnarono nel 1951 Luchino Visconti e Anna Magnani in un film entrato nella storia, Bellissima, o come ancora prima faceva Oscar Wilde, ricordandoci che alla fine, la bellezza è sempre e solo negli occhi di chi guarda.
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