La questione è abbastanza semplice: un utente ha insultato Vasco Rossi perché indossa ‘troppo’ la mascherina e questo è poco rock; Vasco Rossi ha risposto insultando l’utente a sua volta. «Da ‘vita spericolata’ a ‘vita in mascherina’, che tracollo che hai fatto. Brutta fine»: questo il commento pubblicato sotto un post Instagram di Vasco. Da qui, i toni accesi della risposta: «Fai così, brucia tutti i miei dischi e datti fuoco anche te».

Il dibattito si è acceso presto, come di consueto alimentato dalla lente di giudizio esasperata del mondo social: è giusto rispondere così ad un utente, soprattutto se ti chiami Vasco Rossi? Oppure c’è il rischio di avallare un linguaggio d’odio che fermenta incresciosamente sul web e che caratterizza ‘quelli che sbottano appena li contraddici?’. Viene da chiedersi un paio di cose, però: che significa una risposta del genere e chi è il vero leone da tastiera? 

Il leone da tastiera: un concetto (mica tanto) confuso

La definizione dispregiativa e biasimante proposta dal gergo di Internet per definire un leone da tastiera, indica quella categoria di utenti che offendono, giudicano o perfino minacciano gratuitamente un altro utente. Spesso, aggiungo io, veicolando messaggi negativi di body shaming, bullismo, sessismo e violenza. Gran parte delle volte però – attenzione – questi messaggi sono veicolati in modo subdolo, senza ricorrere necessariamente a parolacce o volgarità. Potete trovarli sotto l’abusatissimo argomento a propria discolpa ‘non ho offeso, ho solo espresso un’opinione’. Su Instagram è un trend.

Chi sostiene che un commento del genere non sia offensivo, forse sopravvaluta i limiti dell’opinione personale e sottovaluta la sensibilità di un artista – qualunque artista ma non solo gli artisti – esposto mediaticamente. Quando abbiamo deciso che sopra i 100.000 followers una persona sia chiamata ad abbracciare il martirio mediatico? Quando abbiamo deciso di sconvolgerci ogni volta che un vip, un attore o Chiara Ferragni rispondono alle offese sprezzanti? Affermare il ‘tracollo’ di un cantautore di 68 anni accusandolo di aver fatto una ‘brutta fine’ poiché sceglie (è davvero una scelta individuale o dovrebbe essere collettiva?) di indossare una mascherina protettiva (per sé e per gli altri), rientra a tutti gli effetti nella definizione del leone da tastiera.

Vasco Rossi: perché la risposta fa discutere

Che poi la risposta di Rossi, arrivata a sorpresa, sia radicale e altrettanto infiammata, è un dato di fatto. Che non ci si aspetti una risposta del genere da un personaggio famoso di quasi 70 anni, può essere plausibile. Che non ci si aspetti una risposta del genere da Vasco Rossi, però, è irrealistico. Da uno che nel 1980 ha scritto Asilo Republic (sul caso Pinelli: «Dice che è stata una disattenzione della maestra / E subito uno si è buttato giù dalla finestra»), nell’81 Ho sgozzato mio figlio (denuncia metaforica dei massacri familiari: «È stato un sbaglio / Credevo fosse un coniglio»), e ancora nel 1993 Delusa (sul ruolo della donna nella discutibile rivoluzione televisiva dei primi anni Novanta: «Sei tu che quando balli così in televisione / chissà com’è orgoglioso di te tuo papà / Eh sì che il gioco è bello così, solo guardare / Però quel Boncompagni lì… secondo me»).

Dunque, forse, la situazione è semplice: un utente ha insultato Vasco Rossi perché indossa ‘troppo’ la mascherina e prende ‘troppo’ sul serio il Coronavirus, al punto da farlo sentire un debole, un anziano da deridere, l’antitesi del rocker. Al punto da considerare il suo senso civico un tracollo di cui vergognarsi. Davvero? Vasco Rossi, dal canto suo, ha fatto quel che Vasco Rossi spesso fa: ha difeso con lo stesso brutto muso una causa, e il suo diritto di indossare una mascherina. Difficile dire che questo non sia sacrosanto. E che non sia rock.