Cresce in Giappone il fenomeno dei cosiddetti “evaporati”, in lingua nipponica johatsu, coloro che evaporano. Ogni anno, cioè, sparisce apparentemente nel nulla un numero sempre più rilevante di cittadini. Si parla ormai di 100mila persone in questa “categoria”. Lo fanno volontariamente. Per ricomparire a centinaia di chilometri di distanza, nel tentativo di rifarsi una vita lontani dal proprio luogo di origine. Senza documenti, e con una, o più, identità inventate.
Documenti? Non sono obbligatori…
Come riporta Pio D’Emilia sul Messaggero, la questione degli “evaporati” è particolarmente scabrosa nel Paese del Sol Levante, generalmente percepito quasi come uno Stato di polizia, con le autorità che controllano in modo serrato la popolazione. Ciò è vero solo in parte, sottolinea il giornalista italiano, profondo conoscitore del Giappone. Perché in realtà laggiù non esiste l’obbligo di possedere (e tanto meno di circolare con) un documento di identità. Per espatriare serve il passaporto, per guidare devi avere una patente, e per le cure occorre una tessera sanitaria. Ma nessuno di questi documenti è obbligatorio.
Stigma sociale molto duro
In buona sostanza: nessun cittadino può essere fermato e portato in questura perché non ha con sé i documenti d’identità, come succede in Italia. La propria identità, generalmente, viene semplicemente dichiarata. Quasi a contraltare di tutto questo ecco il giudizio sociale, terribile, su chi diventa un “evaporato”. Mentre per chi si suicida l’opinione pubblica tende a mostrare rispetto, per chi svanisce nel nulla la condanna è implacabile.
Le differenze con i suicidi
Le famiglie, infatti, per un minimo di 7 anni non possono ottenere una dichiarazione di morte presunta del loro congiunto divenuto un johatsusha. Per tutto questo tempo ricadono su di esse le conseguenze economiche e sociali del fallimento e della fuga del loro familiare sparito. Il quale, nel frattempo, vive lontano, rivendicando per sé una nuova identità. Nel caso, invece, di un suicidio, spiega Pio D’Emilia, esiste la possibilità di un risarcimento. Il Giappone è infatti uno dei pochi Paesi nel mondo in cui esistono assicurazioni che offrono risarcimenti in caso di congiunti che si tolgono la vita.