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Camilla Filippi, “La sorella sbagliata” è il suo libro d’esordio: «Essere fratelli non è facile» [INTERVISTA ESCLUSIVA]

«Sono stancamente felice!» mi confida Camilla Filippi quando le chiedo come sta. Una domanda che fino a pochi mesi fa veniva utilizzata quasi come un semplice intercalare, mentre oggi ha ripreso il suo spessore. La voglia di comunicare ed interagire con l’altro è più forte, soprattutto se al fianco si ha un libro di così tale intensità, pronto ad innescare dibattiti, opinioni e riflessioni

‘La sorella sbagliata’ è il libro scritto da Camilla Filippi. Lei è un’artista a tutto tondo, che aveva già mostrato le sue abilità come attrice, visual art e fotografa. Oggi però agli occhi del pubblico Camilla nasce come scrittrice di un libro, il primo, che non cede al pietismo. Anzi! L’esser così ruvido e schietto porta forse ad amarlo ancor di più. Camilla presto tornerà in tv vestendo i panni di Roberta nella seconda stagione de ‘Il silenzio dell’acqua’ e nel film ‘La Stanza’ per la regia di Stefano Lodovichi, un horror sentimentale. Ma nel frattempo, con ‘La sorella sbagliata’ l’attrice racconta la storia di un rapporto “battagliero” tra due sorelle, di una diversità di fondo e di un viaggio che sarà importante per tutti.

‘La sorella sbagliata’ è il romanzo con cui debutti come scrittrice. È la storia di un rapporto tra sorelle che viene messo in discussione, e non solo. Faranno un viaggio insieme ad altri due personaggi, ma il grande tema della storia è la diversità. E molto spesso non è detto che sia l’altro ad essere diverso… 

Esattamente! Per me credo che non esista il diverso. Esistono occhi che non sanno guardare gli altri, che è una cosa differente. È un problema personale la percezione del diverso, non è una cosa reale. Tra l’altro io penso che l’educazione sia di grande aiuto. Ad esempio ai bambini basta spiegargliele le cose. Sono molto più pronti e puri di noi rispetto alla vita. Se le cose venissero spiegate con naturalezza entrerebbero a far parte della vita delle persone con più semplicità. 

Sei mamma di due bambini, come affronti con loro il tema della diversità? 

Io parto dal presupposto di spiegargli che non esiste qualcosa che è diverso. Perché se qualcosa è diverso significa che c’è un metro di paragone. No?! Hai questa sensazione. Io dico ai miei figli che esistono realtà che non conoscono. Cerco sempre di spiegare che il senso della democrazia sta proprio lì. Ovvero nel dare la libertà a chiunque di essere chi vuole, finché la propria vita non lede la vita di qualcun altro

Se un giorno uno dei tuoi figli ti dicesse «Voglio fare l’attore»?

Io li supporto in ogni cosa ma non con leggerezza. Se mio figlio volesse fare l’attore, gli direi: «Sì! Però devi studiare». Mi troveranno sempre dietro di loro, ad appoggiarli o comunque a sorreggerli nel momento del bisogno. Anzi, nel momento in cui sono caduti e si sono rimessi in piedi; io sarò lieta di essere lì ad ascoltare il loro dolore. Poi, penso che nella vita ognuno di noi debba imparare a farcela da solo. Le delusioni devi imparale un po’ a gestirtele. Io ti posso ascoltare, ma non ti posso risolvere i problemi. Anche perché un giorno non ci sarò più e quindi è bene che si impari presto a fare la propria vita. 

“Ogni giorno è il giorno in cui la tua vita potrebbe cambiare, non sai se in positivo o in negativo, ma potrebbe cambiare”. Inizia così il primo capitolo di questo tuo libro, che ho amato leggere fin dalla prima pagina. Il cambiamento a volte fa paura. Qual è stato il giorno in cui hai dovuto cambiare? 

Ho cambiato tanto volte, ma diciamo che è più facile accorgersi dei cambiamenti quando accadono cose tristi. Per le cose felici, invece, bisogna stare un po’ più attenti, e sono molto importanti anche quelli. Ovviamente tra le cose brutte ricordo quando da figlia sono dovuta diventare donna perché ho perso mia madre, e in quel momento c’è stato sicuramente un cambiamento epocale. Per quanto riguarda invece i momenti felici, mi vedo arrivare a Roma per inseguire il mio sogno. Un cambiamento, quello, che mi ha fatto diventare una persona diversa.

Luciana e Giovanna, le due sorelle del libro, sono solo frutto della tua immaginazione?

Luciana e Giovanna sono totalmente frutto della fantasia. Di reale c’è il fatto che anche mia zia è spastica, e ho lasciato il nome di mia madre e il nome di mia zia per omaggiarle. Nulla di quello che è scritto, e nemmeno nulla di quello che racconto del loro rapporto è reale. Mia madre non se n’è mai andata da Brescia. Non ha fatto nessun viaggio e non hanno mai avuto un rapporto bellicoso come io l’ho raccontato. L’aspetto può reale nel libro è la morte della madre. Non ho potuto non pensare alla mia di mamma. Se Luciana ha solo il nome di mia madre nella storia, invece la mamma che scrivo con la “M” maiuscola mi riporta a quando si è piccoli e il nome proprio della mamma è “Mamma”, e quel dolore è un dolore vero, che conosco. Mia madre era come la racconto, una persona aperta alla vita e in accoglienza con chiunque passasse. 

In che cosa assomigli a lei? 

Sono anche io una persona molto accogliente. E poi lei mi ha sicuramente insegnato ad amare gli altri in maniera profonda e leale. Io in questo mi rivedo molto. Voglio bene sì al genere umano, poi però amo delle persone… 

Cosa ti ha spinto a scrivere ‘La sorella sbagliata’? 

Mi piaceva raccontare la difficoltà di essere fratelli in generale. Non tanto per la mia esperienza personale, anche se quando ero più piccola succedeva. Ad ogni modo lo vedo con i miei figli, con le mie amiche. Il fratello timido, il fratello quello che chiacchiera di più. La difficoltà di essere il fratello famoso e quello meno famoso. È molto difficile trovare un equilibrio nell’essere fratelli, e si ha sempre il peso del senso di colpa e dell’incapacità magari di rapportarsi all’altro. Mi interessava dunque raccontarlo, e ho pensato che questa differenza si vede molto quando si parla di disabilità. Io ho amiche che hanno più figli e magari uno di questi è malato, e quindi mi focalizzo sulla sofferenza dell’altro. Ma può capitare anche quando nasce il secondo figlio: tutti arrivano a casa e calcolano solo lui. Mentre il primo, che era il re dell’abitazione fino ad un attimo prima, viene assolutamente dimenticato. 

Tu Camilla eri la regina o “il secondo dimenticato”? 

Stesso papà e due mamme, ma sono la seconda del primo matrimonio. Dopo di me, ho altri quattro fratelli. Devo essere onesta, ero quella che più soggiogava gli altri. Non ero la bambina che subiva (ride, ndr). Avevo un caratterino… diciamolo! Però dai, cerco di migliorarmi. Poi facendo l’attrice, il mio lavoro è quello di interpretare personaggi e di conseguenza il mio libro è fatto di personaggi, è stato naturale lavorare anche su quell’aspetto. 

Il pubblico che da anni ti segue ti ha vista interpretare molte donne ben diverse l’una dall’altra. Il personaggio di Linda Monaco ne ‘Il Processo’ sfoggia una femminilità incredibile. È stato un ruolo faticoso?

Quando reciti ti devi mettere in discussione e non avevo mai tirato fuori la mia parte più sensuale. Quindi vestirla non è stato facile. Linda Monaco era un personaggio molto in controllo, quando invece io non lo sono proprio. A differenza sua sono molto calda e passionale, nel senso più istintivo del termine. Quindi sì, la sfida e stata molto divertente ma nello stesso tempo molto difficile perché stavo sul filo di un rasoio. D’altronde lo spettatore doveva sempre avere il dubbio che io potessi essere innocente. 

Ti vedremo presto in un altro film? 

Dopo la pausa, ad autunno dovrebbe uscire la seconda stagione de ‘Il silenzio dell’acqua’. Il 14 Agosto invece ho finito un film che si chiama ‘La stanza’ con Guido Caprino ed Edoardo Pesce, per la regia di Stefano Lodovichi. È un horror dei sentimento, il film più tosto che io abbia mai fatto nella vita. 

Quale ruolo interpreterai? 

Sai, è molto difficile parlarne. Perché qualsiasi cosa che io dica è quasi uno spoiler. Diciamo che sono una moglie, e non dico donna con cognizione di causa. Ma sono una moglie molto innamorata di un uomo che non ricambia in realtà questo amore. 

Sei un’artista a tutto tondo, dalla recitazione alla visual art, e ora anche scrittrice e fotografa. Per un certo periodo hai trasformato le tue colazioni in visioni psichedeliche, fotografate e messe su Instagram. Un giorno ti svegliavi nei panni di David Bowie, un altro giorno nella ragazza con l’orecchino di perla. E così via, fino a creare una vera e propria mostra fotografica a Spoleto. Com’è nata questa idea? 

Tutto è nato con un pensiero, non avevo ancora Instagram. Trovavo questo social network un luogo molto falso, in cui ognuno rimandava un’immagine di se stesso non reale. Quindi mi sono detta che, se avessi trovato delle immagini già codificate di personaggi, scegliendo una loro frase che rispecchiasse lo stato d’animo con cui mi svegliavo esattamente quel giorno, sarei riuscita a creare un diario emotivo, che raccontava in maniera più vera la persona ero io. Perché questo? Perché raccontava il mio vero stato d’animo, invece di scegliere quanto carina potevo essere. Quindi, se un giorno mi svegliavo stupida ero stupida. Se un giorno mi svegliavo di pessimo umore avevo un’immagine più angosciante. E così via, con i vari stati d’animo che mi hanno accompagnata per quasi 250 giorni. 

Tra l’altro, c’è da aggiungere che non hai comprato nulla di nuovo che potesse servire per la sessione di scatto. 

Esattamente. Mi sono messa dei paletti perché sennò erano capaci tutti. E invece facendo così, dovevo veramente trovare il modo dentro di me di fare uscire qualcosa. L’unica cosa che ho comprato è stato uno stock di parrucche che non potevano costare più di 20 euro. Mi sono accorta che più fai arte, più produci arte. Meno fai e meno faresti. Ogni mattina avevo l’idea. Non si esaurivano. 

Pare che dalla prossima edizione 2021 del Festival del cinema di Berlino non ci sarà più il premio alla “migliore attrice” e al “miglior attore”, ma un unico premio alla “migliore interpretazione protagonista”. Stessa cosa per il premio alla “migliore interpretazione non protagonista”. Il fine di questa decisione sarebbe quello di non distinguere più i premi dal genere. Che ne pensi?

È una domanda difficile, nel senso che sono d’accordo che ci debba essere un’interpretazione e basta. Quello che mi chiedo è: in un film in cui ci sono due protagonisti cosa fai? Dai un premio solo? Poi penso che sia giusto. L’interpretazione è tale a prescindere. Puoi essere un bambino, qualsiasi cosa. Non è l’orientamento sessuale che determina niente. Quindi a livello teorico son d’accordo. Nel pratico mi chiedo poi come funzioni

Hai diverse anime dentro te stessa, in fondo l’artista è anche questo. Ma chi è semplicemente Camilla Filippi allo specchio? 

Non so, dipende dai giorni (ride, ndr)! Quello che vedo è una persona che non si accontenta mai e che cerca di migliorare. Soprattutto nell’unica cosa che ritiene veramente importante, cioè quella di essere un essere umano. 

Teresa Comberiati

Spettacolo, Tv & Cronaca Rosa

Calabrese, a vent’anni si trasferisce a Roma dove attualmente vive. Amante della fotografia quanto della scrittura, negli anni ha lavorato nel campo della comunicazione collaborando con diverse testate locali in qualità di fotografa e articolista durante la 71ª e 75ª Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica. Ha già scritto il suo primo romanzo intitolato Il muscolo dell’anima. Colonna portante del blog di VelvetMAG dedicato alla cronaca rosa e alle celebrities www.velvetgossip.it, di cui redige ogni mese la Rassegna Gossip.

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