La voce di Franco Arminio ci giunge a tratti, disturbata dalla linea telefonica che cade, ma calda, dolce. Lo scrittore e poeta irpino di Bisaccia (Avellino), diventato celebre in Italia negli ultimi anni come paladino dei paesi svuotati da far tornare a vivere, si trova in Aspromonte dove sta girando un reportage per il Tg1 sullo spopolamento di una delle zone più affascinanti e impervie dell’Italia. Con Arminio (nella foto in alto, ufficio stampa PS Comunicazione) affrontiamo questo tema ma non solo. Dall’estate circola con successo il suo ultimo libro, La cura dello sguardo (Bompiani): si tratta di pagine “fitte come gli scaffali di un antico speziale”, composte di racconti, poesie, riflessioni, schegge sane di un delirio poetico e introspettivo. Uno specchio dell’anima per osservare il mondo e se stessi.
Lo sguardo e la cura: come nasce l’idea di questo libro?
Io guardo ogni cosa come se fosse bella. E se non lo è vuol dire che devo guardare meglio. Questa è una riflessione che presento nel mio libro, accanto a tante altre dedicate al potere del nostro sguardo sul mondo. Uno sguardo terapeutico, per noi stessi e per le cose.
Nel libro sembra andare oltre, scrive che “ci vorrebbe anche il ministero dello sguardo” e che ci sono “molte malattie accentuate dalla penuria di parole, di sguardi”…
Sì, tocco anche temi scabrosi, difficili, come la morte. Sempre però sotto la lente dello sguardo che cura. Nella riflessione sul ‘ministero dello sguardo’ preciso che ci serve una medicina poetica. Qualcosa che consideri l’amicizia, la rivoluzione, la preghiera, la gentilezza, la stessa ansia come forme di terapia. Perfino il pensiero della morte è terapia: se la combattiamo ossessivamente non saremo mai sani. Così la vecchiaia. Pensare in termini ossessivi di rallentarla rende molti corpi falsamente giovanili.
Lei ha fondato la Casa della Paesologia di Bisaccia, un progetto per la valorizzazione dell’ “Italia interna” che ha illustrato anche alla trasmissione tv I Dieci Comandamenti di Domenico Iannacone. Qual è oggi lo stato di salute dei nostri paesi?
Il prossimo autunno faremo il punto. Potrebbe essere l’occasione per verificare se, dopo questi primi mesi di Coronavirus, il governo e la politica in generale si muovono e cominciano a valorizzare i piccoli paesi. Per ripopolarli occorrono politiche e investimenti ma non solo. Serve prima di tutto l’attenzione: cambiare il proprio approccio, riservare attenzione al piccolo.
Cosa ci ha insegnato il Covid da questo punto di vista?
Che non si possono fare le stesse politiche e le stesse regole uguali per tutti, a Milano come in un paese dell’Italia interna, dove l’isolamento esiste di per sé, toccato magari poco e per nulla dal virus. Occorre arieggiare i paesi, come scrivo in un altro punto di quest’ultimo mio libro. Ci sono tante Italie che non dialogano fra loro. Non c’è solo l’Italia dei piccoli e numerosissimi paesi; c’è anche quella delle coste, quella delle città….
Il giudizio però non è tenero sui “paesani”…
Spopolamento e morte civile di tanti luoghi non sono solo colpa del ‘progresso’ o della disattenzione. Spesso gli abitanti fanno la loro parte. Eleggono sindaci che non fanno nulla di buono per la comunità. Si sta commettendo un omicidio silenzioso uccidendo i paesi e io cerco di ricordare agli italiani che dobbiamo e possiamo farli rivivere.
Cosa rappresenta per lei la vita di una piccola comunità che “non conta”?
Ah, io se non vado ogni mese a visitare un paese mi sento male. Lo vado a trovare come si fa con un vecchio zio. Ne La cura dello sguardo scrivo che il paese deve essere un intreccio di indigeni e forestieri. Bisogna agitare le acque, ci vuole una comunità ruscello più che una comunità pozzanghera…