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Edoardo Ferrario: «In “Paese reale” prendo in giro i talk show: altro che resilienza!» [INTERVISTA ESCLUSIVA]

Voce squillante, pensiero brillante, risposta veloce ed eloquio fluido. Lo immagino, dall’altra parte del telefono, intento a rispondermi con lo sguardo concentrato e, sulle labbra, il sorrisino compiaciuto e divertito di chi è riuscito a realizzare il proprio sogno. Ha le idee molto chiare e delle opinioni ben salde Edoardo Ferrario, giovane comedian romano che in pochi anni ha saputo affermarsi come uno dei talenti più arguti e apprezzati della scena comica contemporanea.

Lo abbiamo conosciuto per le sue partecipazioni a programmi come “Quelli che il calcio” e “Stati generali” di Serena Dandini. Ci siamo divertiti a vedere su Netflix il suo spettacolo di stand-up comedy dal titolo “Temi caldi”, e su RaiPlay lo abbiamo ammirato in “Diamoci un tono” (ripresa di uno spettacolo svoltosi al Teatro Brancaccio di Roma).

Oggi, dopo una lunga a fruttuosa gavetta, iniziata nei piccoli club romani e proseguita in tanti programmi di satira e alla radio nel cast di “Black Out”, finalmente Edoardo ha un programma tutto suo su RaiPlay. Si intitola “Paese reale”, otto appuntamenti settimanali che si propongono di fare al tempo stesso satira sociale e satira sulla televisione. Ma la nostra chiacchierata inizia dai tempi in cui studiava giurisprudenza alla Sapienza di Roma…

Checco Zalone, Andrea Roncato, Valentino Picone, Giorgio Faletti. Siete in tanti ad aver studiato giurisprudenza, ma una volta conseguita la laurea avete capito che quella non era la vostra strada. Nel tuo caso cos’è successo?

Credo che molti comici studino giurisprudenza e poi facciano i comici per la noia. Ho sofferto molto all’università, volevo fare il comico e mi sono trovato a studiare la legge, che poi è la norma. La comicità è tutto ciò che esula dalla norma, è una deformazione della realtà: sono giunto alla conclusione che chi studia giurisprudenza diventa comico proprio per l’esasperazione, perché vuole trovare un linguaggio diverso rispetto a quello che tutti i giorni devi studiare. Ho sempre voluto fare questo mestiere, mi sono iscritto a Legge convinto che come facoltà potesse aprirmi chissà quali porte; mi sono accorto ben presto che non era così, e soprattutto volevo fortemente fare il comico. Alla fine in me ha prevalso la voglia di fare un lavoro più creativo.

Quando hai iniziato? A che età?

Quando avevo vent’anni, al primo anno di università. Andavo a lezione al mattino, e poi trascorrevo le serate esibendomi nei comedy club di Roma, piccoli locali dove facevo i miei spettacoli senza dirlo a nessuno. Sono sempre stato uno con la testa sulle spalle, non ho mai pensato di volerlo raccontare a qualcuno. Mi ero iscritto a una scuola di scrittura che dava la possibilità di esibirsi la sera: le prime cose che ho fatto sono state delle parodie di telegiornali, dei tipici servizi che usano un linguaggio a tratti forzato, esagerato, scandalistico. Quando Sabina Guzzanti mi ha portato in televisione, nel 2012 con “Un, due, tre, stella!”, in molti mi hanno visto in prima serata e a quel punto ho potuto spiegare a tutti, compresi i miei genitori, quello che stavo facendo. Da lì in poi ho cominciato a esibirmi sempre di più, ed è diventato a poco a poco un lavoro.

Gli ultimi anni sono stati cruciali per te, hai realizzato un sacco di cose, hai fatto progressi professionali notevolissimi. Come sei cambiato?

Ho sempre cercato di rimanere fedele al mio pubblico, fin dall’inizio mi sono posto come un comico che parlava alla sua generazione. Quando mi sono iscritto all’università ero molto triste perché in televisione non vedevo nessun comico che mi parlasse, non mi sentivo rappresentato dal tipo di comicità che veniva proposta (si parlava di suocere, di cellulari, di traffico). Ho iniziato a scrivere testi comici che forse potevano comprendere solo i miei coetanei. Con gli anni ho capito che la comicità deve parlare a tutti, bisogna cercare di farsi ascoltare dal numero più alto di persone.

La cosa importante è non sentirsi in obbligo di piacere necessariamente a tutti, ho sempre cercato di mantenere il mio punto di vista, di rivolgermi a chi aveva voglia di ascoltare me e un certo tipo di contenuti. Mi sento fortunato ad essere andato su Netflix e ad aver partecipato a programmi televisivi fatti da persone con cui sono cresciuto (la Gialappa’s Band per “Quelli che il calcio” e Serena Dandini per “Stati generali”). Spero di aver interessato tante persone che magari non erano abituate a vedere gli spettacoli comici o non sapevano cosa fosse la stand-up comedy.

Cosa pensi della satira politica contemporanea?

Credo che in questo momento la satira politica più semplice (quella in cui si imitano i nostri rappresentanti al governo) sia inefficace: mai come in questo periodo i politici sono stati tanto trasparenti e limpidi. Adesso prendono una posizione, la sostengono, e poi cambiano idea dopo tre giorni per opportunismo, e lo dicono apertamente! Inoltre oggi i politici hanno imparato a usare la comicità, fanno battute sul palco, pagano dei social media manager che facciano dei meme su di loro, per renderli più empatici con il loro elettorato. Non credo che la satira politica debba morire, ma io preferisco da sempre la satira sugli elettori: sono loro l’inizio di tutto, mentre i politici sono un po’ il riflesso del volere dell’elettorato, mai come in questo periodo in cui la politica è comandata dai social network.

Parliamo del tuo nuovo programma “Paese reale”, una lucida e spietata parodia dei talk show. Nella tua trasmissione fai il trasformista, interpretando sia il conduttore (il Dottor Ferrario) che i tanti opinionisti che compongono il parterre del tuo particolare talk show: sei Franco Taralloni, un piccolo commerciante arrabbiatissimo con l’e-commerce, Silvano Morgagni, chef-star di Instagram, Filippo De Angelis detto Pips, giovane espatriato a Londra. Impersoni anche una donna, Elisabetta Cancelli, una milanese in carriera che lavora sul web. Partiamo dal titolo, perché hai scelto proprio “Paese reale”?

Le due anime del programma sono la satira sulla televisione e la satira sociale. La satira sulla tv parte proprio dal titolo: “paese reale” è questa espressione ambigua che mi piace moltissimo perché in fondo la realtà non esiste, dipende da come la racconti. In ogni talk show si invoca spesso questo paese reale che viene descritto in maniera sempre diversa e riguarda l’orientamento politico o culturale del programma stesso.

Il mio conduttore, il Dottor Ferrario, è un po’ la summa di tutti i difetti dei presentatori italiani: è narciso, egocentrico, moralista, spesso retorico mentre quando deve invocare l’applauso diventa libertino, a tratti ruffiano. La sua visione del paese reale è quella che emerge dagli ospiti che ha scelto nel suo parterre. Il un paese si trova diviso tra le generazioni che hanno vissuto gli anni più prosperi (e non vogliono rinunciare ai propri privilegi facendo finta che il mondo non sia cambiato), e i giovani, che invece sono stati completamente schiacciati, quindi o fanno qualcosa su Internet o se ne vanno all’estero. Il problema è che davvero non si investe sui giovani, e si chiede loro di essere resilienti. Questa parola, “resilienza”, torna spesso negli sketch e nessuno sa bene cosa sia.

Come mai hai deciso di interpretare tu tutti i personaggi che metti in scena, usando di volta in volta travestimenti diversi? Non c’è il rischio di fare troppo?

Non è stato affatto semplice fare questo programma. All’inizio doveva esserci molta più stand-up comedy, non era previsto che io facessi anche il conduttore: avrei dovuto fare i miei monologhi davanti al pubblico, intervallati da interventi dei personaggi che in effetti fanno parte oggi dello show. Quando ci siamo resi conto che ciò non era possibile (non potevamo avere pubblico né coinvolgere tanti ospiti) abbiamo deciso di virare sulla parodia del talk show, un’idea che io cullavo da anni. Questa è stata una buona occasione per farlo.

È stato difficile caratterizzare bene tutti i personaggi, lavorare sul trucco, sulle acconciature, sui travestimenti e sulle situazioni, ma non potrei essere più felice del risultato. Credo che i personaggi siano tutti molto diversi e riusciti, ognuno ha un punto di vista sulla realtà che è assolutamente personale e non potrebbe essere confuso con quello di nessun altro. Insieme agli altri autori del programma (Chiara Galeazzi, Francesco Lancia e Maurizio Montesi) abbiamo voluto descrivere tanti pezzi della realtà italiana senza sovrapporre le loro voci.

Com’è cambiata la satira in tempi di Covid?

Credo che tutti noi autori ci stiamo chiedendo come affrontare il tema pandemia, non è ancora chiaro come il pubblico l’abbia metabolizzata e come voglia sentirne parlare. Il Covid non è passato, è un argomento presente, è poco chiaro come si evolverà la situazione. Nel programma abbiamo voluto trattarlo come una situazione attuale, facendo spesso dei riferimenti ma non descrivendolo come una tragedia, mantenendo invece un grande rispetto per quello che è successo. Credo che la satura sia cambiata come è cambiata la società.

Per diventare un bravo comico contano l’osservazione della realtà e l’analisi dei tipi umani? Mi vengono in mente artisti come Carlo Verdone, Antonio Albanese, Maccio Capatonda, che dall’analisi del presente traggono materiale per il proprio lavoro.

Hai citato alcuni dei miei riferimenti più alti. Io sono un grande ascoltatore di conversazioni, un osservatore di tic, di parlate, di persone. Se mi rendo conto che un personaggio parla in un modo che mi diverte mi sento quasi in dovere di imitarlo. C’è un detto che recita “lo spettacolo migliore è sempre la gente, e il biglietto è gratuito”: credo sia molto vero, e da comico mi diverto molto a osservare le persone e a imitarle.

Ennio Flaiano diceva: “La satira ci rende fieri, come se ci riconoscesse uno stato civile artistico, un diploma che ci sollevi dalla mediocrità e dal grigiore delle parti secondarie”. Cosa ne pensi?

È proprio così. Fare satira significa avere un occhio che osserva in modo molto attento la società, la politica, la cultura: è davvero un privilegio poterla fare e credo sia un piacere per il pubblico godere della satira fatta bene.

Hai anche pubblicato un libro dal titolo “Siete persone cattive. Storie comiche di mostri italiani”. Come è nato questo progetto?

Volevo scrivere dei racconti che descrivessero la società italiana, non avevo mai pubblicato un libro. Mi sono divertito molto ad esplorare la dimensione narrativa, nel libro ho potuto concedermi dei tempi che non sono consentiti sul palco o in tv, dove è necessario mantenere sempre un ritmo serrato. Anche i racconti del libro sono divertenti, sono riuscito ad andare in profondità sui dettagli (la mia passione). I personaggi del libro tornano quasi tutti in “Paese reale”, mi piace farli crescere ed evolvere.

Come sono cambiati i mostri dai tempi dei mitici personaggi di Vittorio Gassmann, Ugo Tognazzi, Dino Risi?

Non sono cambiati molto: credo che molti tratti della cultura italiana siano rimasti gli stessi, dagli anni del boom economico sino ad oggi. Ci sono dei tipi umani che sono gli stessi: c’è chi si lamenta del passato, c’è il parvenu, c’è l’arricchito. Sono cambiati i mezzi per fare i soldi e avere la fama: se un tempo si diventava ricchi con un’impresa, oggi il denaro si fa con internet e si ambisce a diventare star di Instagram. Il mondo è più globalizzato, si cerca di imitare alcuni modelli che vengono dall’estero, e questo provincialismo italiano mi fa sempre molto ridere. Anche begli anni Settanta, però, si cercava di imitare il modo di fare degli americani, il cinema di Hollywood.

La naturale prosecuzione della carriera di un autore come te è il cinema. Stai pensando di scrivere un film?

In effetti sto lavorando a un progetto cinematografico, lo sto scrivendo: sarà un mio film da protagonista.

Martina Riva

Musica&Cinema

Da sempre appassionata di tutto ciò che riguarda il mondo dell’intrattenimento, mi sono laureata in Conservazione dei Beni Culturali con una tesi di laurea in Storia del Cinema sul film “Lolita” di Stanley Kubrick. Finita l’università, mi sono trasferita a Los Angeles, dove, tra le altre cose, ho ottenuto un certificate in giornalismo a UCLA; nella Città degli Angeli ho lavorato per varie TV tra cui KTLA, dove per tre anni mi sono occupata principalmente di cinema, coprendo le anteprime mondiali dei film e i principali eventi legati al mondo spettacolo (Golden Globes, Academy Awards, MTV Awards e altri). Nel 2005 sono approdata alla redazione spettacoli di SKY TG24 dove ho lavorato come redattrice, inviata ai Festival e conduttrice. Le mie passioni principali, oltre al cinema, sono i viaggi, il teatro, la televisione, l’enogastronomia e soprattutto la musica rock. Segni particolari? Un amore incondizionato per i Foo Fighters!

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