Metti una cittadina immaginaria nel Connecticut, metti una mamma e una figlia amiche per la pelle, metti il diner di Luke che dà sulla piazza centrale, metti le foglie che, cadendo, colorano le stagioni, metti la neve che arriva solo quando Lorelai lo chiede, metti un agglomerato di personaggi assurdi e adorabili allo stesso tempo. Metti i problemi dell’adolescenza, mettici quelli dell’età adulta. E non dimenticare le difficoltà e la bellezza degli intrecci familiari. Alla fine ottieni sette (più una) stagioni indimenticabili di Una mamma per amica, Gilmore Girls.

Sono trascorsi vent’anni – già, proprio così, venti- da quando per la prima volta le ragazze Gilmore hanno fatto la loro apparizione sul piccolo schermo. Sullo sfondo c’è Stars Hollow; in scena, nel ruolo della protagonista, c’è Lorelai che ha solo trent’anni, è direttrice di un hotel, l’Independence Inn, e ha una figlia sedicenne: Rory, diminutivo di Lorelai. E no, non è un caso. Nulla è lasciato al caso in Una mamma per amica. Amy Sherman-Palladino e Daniel Palladino hanno creato un intero mondo solo all’apparenza permeato da una perfezione inquietante. Perché, per tutta la durata della serie, ti andrebbe di vivere lì, di circondarti di persone così lontane da quelle che frequenti ogni giorno, così lontane da quelle con cui incroci lo sguardo in metropolitana. Una città in cui tutti si adorano, una madre e una figlia che hanno un rapporto di amicizia, una confidenza, da fare invidia; non solo, le due possono mangiare a dismisura senza mai mettere su nemmeno un grammo, hanno la battuta sempre pronta e conducono dialoghi memorabili dal ritmo frenetico. Hanno storie d’amore avvincenti e romantiche. Insomma, un calderone di bellezza, impeccabilità e avventura, a volte anche stucchevole. Ma è così, vorresti essere loro.

Però…

Attenzione, però, perché – e adesso sì, dobbiamo necessariamente appellarci a uno storico e mai antiquato modo di dire – non è tutto oro quel che luccica. Lorelai ha un rapporto complesso con i propri genitori; rammenta costantemente di aver represso se stessa, il proprio individualismo, fino ai sedici anni, fino a quando non è riuscita a lasciare casa dei suoi. Una frattura d’amore che, nonostante gli sforzi, non si è mai ricomposta. E ne abbiamo la prova quando nella stagione supplementare prodotta da Netflix Lorelai al funerale del padre non riesce ad essere spontanea, a raccontare un ricordo che gli renda giustizia. Si potrebbe obiettare che poi Lorelai e sua madre, proprio alla fine, riescano a parlarsi sinceramente, ma il merito in questo caso è di Emily che ha sovvertito le regole del gioco, ha eliminato le proprie barriere e ha scelto di ascoltare sua figlia. Una vittoria a metà.

Poi c’è Rory: studentessa impeccabile, bella, gentile e divoratrice di libri. Vive tre amori importanti: Dean, Jess e Logan, ma ogni volta, quando la storia prende la piega sbagliata, Rory si rifugia in se stessa e sceglie di rinunciare all’amore per guardare avanti. L’assenza del padre ha minato la stabilità dei sentimenti della giovane donna. In tema di amori pericolosi e faticati, anche Lorelai porta con sé un bel bagaglio: matrimoni annullati, storie vissute con il timore della fine e rancore. Ma per lei, alla fine, c’è Luke, è scritto nelle stelle.

Gilmore Girls vent’anni dopo: perché abbiamo ancora bisogno di “vivere” a Stars Hollow?

La risposta è semplice: perché i problemi, anche quelli che Lorelai e Rory vivono nell’arco delle sette (più una) stagioni, per noi tutti sono pane quotidiano. L’imprevisto, la storia d’amore che finisce, l rapporti compromessi in generale, fanno parte di noi come se fossero un muscolo o un osso. Ci sono e li sopportiamo. Quello che non abbiamo, però, è Babette che ci racconta dei suoi gatti mentre ci porge una tazza di cioccolata calda, è Lane che ordina una pizza dalla nostra camera da letto, è Luke che sforna pancakes e costruisce piste di pattinaggio, è Taylor che organizza feste e celebrazioni condite da castagne, zucchero filato e musica, è Miss Patty che insegna danza alle nostre bambine, è Kirk che se ne inventa sempre una, è l’odore dell’autunno, è il gazebo al centro della piazza in cui succede tutto, è Richard che legge un volume antico nel suo studio, è Emily che organizza una cena ogni venerdì.

Abbiamo ancora bisogno delle ragazze Gilmore e dei loro amici per ricordarci che è così bello sognare, che è così potente lasciare la nostra realtà, per qualche ora, e poi tornarci forse un po’ cambiati, un po’ diversi, magari con la voglia impellente di una tazza fumante di caffè.