“Un film che mi ha veramente esaltato ultimamente è “Sole”, diretto da Carlo Sironi. Mi è piaciuta la tenera storia d’amore tra due ragazzi che inizia contro ogni aspettativa, e ho apprezzato come il regista ha diretto gli attori. Sai, è uno di quei progetti che quando li vedi ti prendono di pancia, non provocano un piacere intellettuale ma carnale.”
Una risposta certamente non banale quella che mi dà Alberto Malanchino, ventisettenne attore di padre italiano e madre del Burkina Faso, entrato nelle case degli italiani grazie a serie tv come “Doc – Nelle tue mani”, “Don Matteo” e “Summertime”. Risposta non banale ma in effetti non sorprendente, se è vero che nel corso della chiacchierata con lui le parole più ricorrenti sono state “umanità”, “empatia”, “persone”.
Anche al telefono si percepisce il suo essere un ragazzo sensibile, attento, dotato di grande determinazione e passione per il suo lavoro. Pretesto per l’intervista è l’arrivo su RaiUno (dal 15 ottobre, alle ore 21:25) delle nuove puntate della serie “Doc – Nelle tue mani”, in cui interpreta Gabriel Kidane, il tirocinante che affianca il Dottor Andrea Fanti (Luca Argentero). Ma la nostra conversazione parte proprio dagli inizi…
La prima attrazione nei confronti di questo mondo l’ho avuta da piccolo: mia madre è sempre stata una grande appassionata di cinema italiano e internazionale, ed è proprio con lei che ho i primi ricordi di questo mio innamoramento per la recitazione.
La vera maturità, e la decisione di fare questo lavoro, è arrivata alla fine delle scuole superiori: avevo avuto un assaggio di questo ambiente facendo delle recite scolastiche e all’oratorio. Ricordo benissimo che in quinta superiore una nostra insegnante di ragioneria portò tutta la mia classe a vedere uno spettacolo a teatro, a Milano. Per me fu una folgorazione. Avevo capito che era quello che volevo fare da grande! Da allora sono passati quasi nove anni e non ho affatto cambiato idea.
Bella domanda, sto ancora lavorando sulla risposta. Fare l’attore significa avere la fortuna e la possibilità di vivere diverse vite, di poter incontrare delle storie e delle persone che magari non avresti mai incontrato, è la possibilità di vivere cento vite in un momento solo. Inoltre per me è fondamentale cercare di portare un messaggio sociale attraverso il lavoro, e fare l’attore me lo consente spesso.
Non posso svelare troppo, ma ti garantisco che ci saranno tanti colpi di scena per tutti i personaggi. Non mancheranno i momenti di suspence, e questo renderà ancora più intrigante la trama di “Doc”. Speriamo davvero di continuare a portare avanti un bel messaggio con questa serie. Siamo andati in onda durante il lockdown, in un periodo in cui l’attenzione sulla sanità era altissima. Essere riusciti a intrattenere il pubblico in quelle settimane è una cosa meravigliosa, come lo è il fatto di aver dato agli spettatori un punto di vista particolare su quello che è il mondo dell’ospedale e dei medici.
Bellissima, soprattutto perché ho potuto conoscere più a fondo il mondo medico, una grande occasione! Prima di iniziare a girare abbiamo avuto modo di stare al fianco di dottori veri (quelli che lavorano al Policlinico Gemelli di Roma, siamo stati coadiuvati in particolare dalla Dottoressa Barbara Fossati): questo ci ha permesso di entrare sempre più a fondo nel loro lavoro, nella loro routine. È qualcosa che mi porterò sempre dietro, una grandissima esperienza.
Devo ammettere che ho imparato ad umanizzarli molto. Tante volte quando si ha a che fare con persone che fanno lavori particolari, si tende a mettere in secondo piano la loro parte empatica. Ho capito che bisogna sempre ricordare che abbiamo davanti a persone come noi, assolutamente fallibili e che hanno una responsabilità enorme tra le mani, hanno l’urgenza di salvare vite, ed è un lavoro per certi versi estremo. Mi ha cambiato molto.
Credo che il grande successo di “Doc” sia dovuto sicuramente a una grandissima regia (curata da Jan Michelini e Ciro Visco), e al gruppo di sceneggiatori che ha scritto la storia. A loro va il merito di aver costruito una serie che si basa molto sull’empatia che si stabilisce tra il medico e i pazienti. A volte si ha la percezione che gli ambienti medici siano freddi, inaccessibili, caratterizzati da un uso di termini incomprensibili per noi profani. Credo che siamo riusciti a restituire al pubblico anche la parte introspettiva di tutto il lavoro che c’è dietro, e secondo me questa è l’arma vincente.
È vero, stiamo girando la seconda stagione e a breve dovremmo terminarla. C’è un’evoluzione per tutti i personaggi, ci sono grandi sviluppi. La storia si svolge in estate, quindi sono passati un po’ di mesi, sono cambiate tante cose, i ragazzi sono cresciuti sia nel carattere che nell’altezza!
Quando ho iniziato a lavorare non c’erano player internazionali come Netflix (e parliamo solo di una manciata di anni fa). Sapere che qualcuno, dall’altra parte del mondo, può godere di una tua prestazione artistica, anche se doppiato o con sottotitoli, è molto bello, ti dà una dose maggiore di responsabilità, ma è una bellissima sensazione. Una volta era tutto più difficile. Comunque so che “Doc” è stata trasmessa anche in Spagna che in Portogallo, ed è bello constatare che c’è un’evoluzione anche sulle piattaforme più marcatamente nazionali.
È stato interessante approfondire il tema della tratta dei ragazzi che stanno tra Ventimiglia e Mentone; la cosa che mi ha affascinato di più è la vena romantica che i registi Orso e Peter Miyakawa hanno deciso di usare. Siamo partiti da un punto di vista laterale su questo argomento: il film ruota tutto intorno all’amicizia che si crea tra un gruppo di persone che cercano di aiutare un ragazzo ad arrivare da sua moglie.
Quando si parla delle tratte di persone normalmente viene messa più in risalto la parte tragica della situazione, sono storie sempre molto drammatizzate. I registi, in questo caso, hanno deciso di lavorare di sponda su questa storia, mettendoci ironia e sarcasmo, senza limitare o ridurre la parte drammatica perché ci sono anche momenti in cui esce fuori il dramma di Elvis, la sua umanità e disperazione. Il lavoro è stato anche non creare patetismi eccessivi nelle scene.
Si tratta del soggetto per un dramma, da realizzare come film ma potenzialmente da sviluppare per farne una serie tv. È un progetto ancora in cantiere, lo stiamo sviluppando, e ti assicuro che quando ci saranno aggiornamenti operativi in merito sarai la prima a saperlo!
Mi piacerebbe molto tornare a teatro, anche se la situazione al momento è delicata, tutto sta ripartendo timidamente. Io nasco come attore di prosa, quindi sarei felice di tornare a calcare le assi del palcoscenico, ma sono una persona vorace di vita, molto curiosa, mi piace fare tante cose. Anche per questo vivo tra Milano e Roma, dipende dal lavoro.
Sarebbe un sogno fare un film con Paolo Virzì: mi piace molto come riesce ad andare a fondo nelle storie, ad approfondire i personaggi e far recitare gli attori. Ho amici che hanno lavorato con lui e mi hanno detto che è eccezionale (ma questo si vede anche guardando con attenzione i suoi film). Ha la grande capacità di tirare fuori il meglio da tutto e da tutti. Altri registi che adoro sono Stefano Sollima e Marco Tullio Giordana: sarebbe un onore lavorare con loro.
Tra gli italiani sicuramente Pierfrancesco Favino, tra gli americani ti direi Denzel Washington. Favino lo adoro, ho visto tutti i suoi film a partire da quando ero piccolo e sono innamorato del suo modo di recitare. Credo sia un bellissimo esempio italiano per gli attori italiani: troppo spesso abbiamo riferimenti stranieri, ed è bello avere persone di grandissima qualità anche in Italia, vedere il loro processo creativo e artistico. Denzel Washington è un punto di riferimento assoluto per me e per tanti altri colleghi che sono di colore o misti. Nella sua generazione è sicuramente uno dei più bravi e io lo ammiro moltissimo.
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