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Giovanni Gastel e la mostra “People I like”: «Ognuno di loro mi ha sedotto oltre la facciata» [INTERVISTA ESCLUSIVA]

Di sangue metà borghese (padre) e metà aristocratico (madre), acclamato da tutte le star internazionali, Giovanni Gastel, sin dall’inizio della nostra intervista, abbatte ogni tipo di formalismo chiedendo subito di darci del tu, dimostrando una cordialità estrema.

Nato a Milano nel 1955, da giovanissimo si è avvicinato alla poesia per poi “virare” quasi per caso verso la fotografia, affermandosi ben presto tra i più grandi artisti del nostro tempo. Le sue fotografie hanno campeggiato su moltissime copertine delle riviste di moda più patinate al mondo, riuscendo nell’ardua impresa di valorizzare ulteriormente bellezze indiscutibili come Linda Evangelista e Monica Bellucci, per esempio. Ma guai a definirlo soltanto un fotografo di moda! Giovanni Gastel è prima di tutto un uomo di vasta cultura, in grado di passare da un genere fotografico all’altro, da una disciplina all’altra, con straordinaria naturalezza.

Giovanni Gastel, ritratto di Bianca Balti

THE PEOPLE I LIKE. LA MOSTRA AL MAXXI DI ROMA

In particolare, in People I like – la mostra aperta al Maxxi di Roma fino all’11 novembre, a cura di Umberto Frigerio – il maestro si è cimentato nel ritratto, a cui ha dedicato gran parte della sua carriera. Il percorso dell’esposizione si snoda tra pareti e pannelli disposti quasi a creare uno spazio labirintico, all’interno del quale risaltano 200 “ritratti dell’anima” realizzati da Gastel alle persone che più lo hanno colpito.

Tra loro si riconoscono volti noti del mondo della cultura, del design, dell’arte, della moda, della musica e della politica: da Barack Obama a Marco Pannella, da Germano Celant a Ettore Sottsass, da Bebe Vio a Luciana Littizzetto, da Franca Sozzani a Miriam Leone, da Vasco Rossi a Tiziano Ferro, da Zucchero a Fiorello e molti altri ancora. Sono tutti ritratti in grande formato, di cui la maggior parte in bianco e nero, mentre nella parte finale della mostra trova spazio una quadreria di 80 immagini della serie dei “colli alti neri”.

Giovanni Gastel, ritratto di Tiziano Ferro

INTERVISTA A GIOVANNI GASTEL

Cominciamo dalla poesia, tua grande passione sin da quando eri ragazzo…

Sì, in realtà di primo mestiere sono un poeta, ancora oggi continuo a scrivere libri, però purtroppo con la poesia non si campa! A quattordici anni ho pubblicato il mio primo libro di poesie, a sedici ho scritto anche un romanzo che è stato pubblicato recentemente, però la mia fidanzata di allora, Alessandra, aveva ampiamente insistito affinché mi dedicassi alla fotografia. Immagino si annoiasse a frequentare un poeta, anche se poi ha sposato un notaio, perciò non ho ben compreso la richiesta (ride, ndr). Scherzi a parte, devo ammettere che è stata lei ad aprirmi le porte a questo grandissimo amore che è per me la fotografia. Infatti, il mio primo studio l’ho chiamato “Alessandra’s Studio”, proprio dedicandolo a lei.

Più osservo le tue opere e più mi sembra che tu sia riuscito a permeare le pellicole di poesia, per l’appunto. Insomma, nel tuo lavoro ho l’impressione che il legame tra queste due discipline sia molto saldo…

Spero di sì. Penso che la poesia sia una lente attraverso la quale è possibile guardare al mondo, alla vita. Poi quell’angolazione, quella poetica, ricade necessariamente su tutte le operazioni creative a cui ti dai.

Tu sei nipote del grande regista e sceneggiatore Luchino Visconti. Quali ricordi hai di lui e cosa ti ha lasciato?

Ho tantissimi ricordi, perché mio zio è mancato che avevo 22 anni e quindi ho avuto modo di frequentarlo spesso e di vederlo in azione sui set cinematografici. Mi ha lasciato soprattutto un metodo.

Giovanni Gastel, ritratto di Stefania Rocca

Cioè?

Lui diceva: “Io non posso consigliarvi quali opere realizzare, tuttavia posso insegnarvi un metodo per tramutarle in realtà. Pensate soltanto a raggiungere il vostro obiettivo, tralasciando il successo ed il denaro; anzi, se necessario, vendete anche le case e le automobili. Se ci riuscirete, e magari meglio degli altri, poi arriveranno a ricaduta anche il successo ed il denaro”. E infatti è stato così anche per me.

Certo non credo basti solo questo…

Ovviamente no. Occorre anche tanta concentrazione e molto studio, perché più studi e più sai, più vedi, più confronti. E questo vale anche al di fuori del campo della fotografia. Ho una biblioteca di 3.000 volumi di storia dell’arte, perché sono convinto che la cultura allontani sempre di più il momento in cui apprezzi il tuo lavoro. È un segno positivo a mio parere! Da ragazzo non sai un accidente e ti piace subito quello che fai. Ma più studi, più ti documenti e meno ti piace ciò che produci, perché alzi sempre di più l’asticella fino alla soddisfazione. Solo così ti evolvi, migliori progressivamente. Poi è vero che non si è mai pienamente soddisfatti, ma almeno ogni giorno crei una nuova opportunità per ricominciare, per riprovarci.

Veniamo alla mostra al Maxxi. In questa carrellata di ritratti, è possibile individuare una caratteristica comune a tutti? Magari un tuo intento di ricercare qualcosa che vada oltre alla mera rappresentazione del soggetto?

Certamente, già il titolo dell’esposizione The people I like lo spiega in parte. Sono tutte le persone con cui ho avuto un centoventicinquesimo di seduzione, di intimità profonda. Il loro viso mi interessa relativamente, mi concentro piuttosto sul tentativo di far cadere la maschera che ognuno di noi indossa quando veniamo fotografati per la prima volta. Io cerco di sedurli a tal punto da arrivare a scoprire ciò che sono davvero, quello che c’è oltre la facciata. In sostanza, queste duecento persone – e molte altre che purtroppo ho dovuto escludere insieme al curatore Umberto Frigerio – mi hanno concesso uno sguardo profondo, più intimo, al di là della posa.

Di fatto si potrebbe affermare che ti hanno concesso uno sguardo nella profondità della loro anima, è corretto?

In un certo modo sì, ma l’anima che io posso vedere e che forse spesso non coincide con quello che loro sono. Mi hanno fatto entrare nel profondo ed io ho percepito qualcosa che ho immediatamente fissato sul mio sensore. Non è la verità assoluta, è la mia verità.

Giovanni Gastel, ritratto di Miriam Leone

Dicevamo che in quarant’anni di carriera hai realizzato migliaia di bellissimi ritratti ai protagonisti dei settori più vari. Cosa ti ha affascinato di questo genere in particolare e perché dedicargli così tanta attenzione?

In realtà ci sono arrivato abbastanza tardi al ritratto. All’inizio ero più un fotografo di moda, poi Germano Celant mi ha liberato da questa etichetta. La prima mostra a sua cura è stata nel ’97, poi la nostra collaborazione è proseguita fino alla sua scomparsa che, come purtroppo tutti sappiamo, è avvenuta pochi mesi fa. Mi disse che avrei dovuto smettere di essere un fotografo di qualcosa. Incalzato sul senso di tale affermazione, mi ha risposto: “Ti presenti sempre come un fotografo di moda, di still life… Tu sei un fotografo e in quanto tale puoi fotografare quel che ti pare!”. Così da quel momento mi sono liberato da ogni tentativo di incasellamento del mio lavoro.

Dicevi anche che al ritratto sei arrivato tardi. Come mai?

Perché all’inizio lavoravo soprattutto con i banchi ottici, che erano macchine complicate per eseguire questo tipo di operazioni. Per intenderci: il soggetto non doveva muoversi di un millimetro, la macchina era fissa sul cavalletto e i tempi erano molto dilatati. Poi quando sono passato finalmente al digitale è stato tutto molto più semplice, perché ho potuto avvicinarmi al soggetto con la macchina fotografica e presto sono nati tutti quei ritratti che ho realizzato dalla fine degli anni ’90 ad adesso.

Quindi mi sembra di capire che per te il passaggio dall’analogico al digitale sia stato un vantaggio notevole, a differenza di tanti altri tuoi colleghi.

È stato un cambiamento radicale, ma molto interessante. I mezzi contengono l’estetica, quindi con l’avvento del digitale ho potuto rimettermi in gioco nel ricercare il rapporto tra me ed un concetto di estetica nuovo.

Come già accennato in precedenza, migliaia sono i personaggi famosi che hai immortalato nei tuoi capolavori. Ce n’è stato qualcuno che ti è rimasto particolarmente impresso?

Tutti mi hanno lasciato qualcosa, ecco spiegato ancora una volta il titolo della mostra The people I like. Posso dirti che l’incontro con Barack Obama è stato straordinario, abbiamo chiacchierato fino a che, con una battuta, sono riuscito a farlo esplodere in una risata bellissima. Invece Ettore Sottsass è stato uno dei miei maestri, verso il termine della sua vita mi ha chiesto di realizzargli i ritratti che sono esposti al Maxxi. E poi con alcuni di loro sono nate amicizie che durano ancora oggi, come nel caso di Omar Pedrini.

Avevo lavorato in passato con lui per la rivista Rolling Stones e già allora era scattata una bella empatia. Un giorno mi ha contattato e mi ha detto: “Ho fatto un nuovo tatuaggio, ti dispiace fotografarlo?”. Naturalmente ho accettato e, al momento dello scatto, si è tolto la camicia rivelando la profondissima cicatrice scaturita in seguito all’intervento al cuore al quale si era sottoposto di recente. A quel punto ci siamo commossi entrambi. Quella foto – a detta sua, ma me lo auguro anch’io – rappresenta forse la fine di quella terribile esperienza. Da lì ci siamo molto uniti.

Giovanni Gastel, Leo

Una mia curiosità, che poi credo sia la stessa di tanti altri visitatori. Sempre in mostra al museo romano, tra la sfilata di star da te ritratte, compare Leo, un tenerissimo barboncino nero. La vera superstar, il tuo cagnolino o entrambe?

(Ride, ndr) Come ben saprai, una sezione della personale comprende una galleria fotografica costituita da 80 ritratti in bianco e nero. In questa serie ho voluto concentrarmi più sul personaggio, piuttosto che sull’aspetto “modaiolo”. Pertanto, ho usato per tutti lo stesso modello di maglione nero a collo alto e la stessa luce, allo scopo di fare emergere l’unicità di ognuno. Poi mentre ne scattavo uno è entrato il barboncino di mia moglie e mi sono detto: “ma lui è un collo nero naturale!”, così gli ho scattato una foto e ho deciso di esporla in una parete isolata.

 

INFORMAZIONI

Giovanni Gastel. The people I like

a cura di Umberto Frigerio, allestimenti Lissoni Associati

Fino al 22 novembre 2020

MAXXI – Museo Nazionale delle arti del XXI secolo

Via Guido Reni, 4/A

00196 Roma

Dal martedì alla domenica 11:00 – 19:00

La biglietteria è aperta fino ad un’ora prima della chiusura del museo.

www.maxxi.art

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Manuela Valentini

Arte&Cultura

Manuela Valentini lavora tra Roma e Bologna. Laureata in Storia dell’Arte Contemporanea all’Università di Bologna, è curatrice indipendente di mostre d’arte contemporanea in Italia e all’estero. Tra i vari progetti realizzati, si ricorda New Future – una collettiva promossa da Visioni Future, MAMbo e BJCEM – durante la quale sono stati presentati i lavori di tredici artisti visivi selezionati al W.E.Y.A World Event Young Artist di Nottingham. Ha inoltre curato un focus a proposito dell’arte giovane italiana in occasione di Mediterranea 16, la sedicesima edizione della Biennale dei Giovani Artisti del Mediterraneo. Infine, nel 2014 ha portato un’installazione di Marcos Lutyens in esposizione al MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna. Iscritta all’ordine dei giornalisti dell’Emilia-Romagna, si è occupata di due rubriche (Ritratto del curatore da giovane e L’altra metà dell’arte) per Exibart – per cui continua a scrivere – ma l’esordio in ambito giornalistico è avvenuto nel 2010 sulle pagine culturali de Il Resto del Carlino.

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