Questa è una grande storia. Di amicizie decennali, di sogni inizialmente così ambiziosi da sembrare ridicoli, e poi di ragazzini che s’incaponiscono e diventano dei re. Ma anche di ostentazione e cifre da capogiro, che faranno sempre discutere, e dello zampino che la vita ci ha messo in mezzo, ben prima di arrivare a questo music-film. La storia infatti inizia a Cinisiello Balsamo, nella periferia milanese, dove Gionata Boschetti cresce solo insieme a sua madre. Non è uno di quelli a cui basta il garage per fare un po’ di freestyle e tirare avanti: in testa ha la musica ma pure i soldi, vuole la fama, vuole imporsi come numero uno: punta a diventare il Re della trap. È così che Sfera Ebbasta riscrive un insolito american dream e si trasforma in una macchina produttiva internazionale, perché l’obiettivo è proprio l’America, è il mondo, da sempre, da quando era impensabile e gli altri (addirittura uno come Marracash, tra i primi a credere in lui) gli davano del pazzo. Forse tanto pazzo non era.
Questa è una grande storia ma io non la conoscevo, e forse neanche voi.
Tantomeno avevo messo in conto che potesse travolgermi o commuovermi. Pepsy Romanoff direbbe che un certo snobismo rischia di farci perdere un bell’incontro, perché le storie forti prescindono dai gusti musicali e meritano almeno un paio d’ore d’attenzione. A me l’ha detto, e aveva ragione. Se a raccontarla poi è lui, il regista dei record, quello del Vasco di Modena Park, quello che ha firmato le monografie di Pino Daniele e James Senese, di Battiato, Ezio Bosso e Capossela, e i grandi live internazionali, da N.E.R.D & Pharrell Williams a Tinie Tempah, Dave Gahan, Busta Rhymes, Little Dragon, ma anche Club Dogo, Marracash, Guè Pequeno, Casino Royale, Brunori Sas, Salmo… Si fa prima a spuntare gli artisti che mancano, e non sono molti.
Che poi anche quella di Pepsy Romanoff è una grande storia, iniziata a Torre Annunziata nel ’77, decollata vent’anni fa negli studi di All Music e poi planata sul San Paolo di Napoli insieme a Vasco, girando il mondo con i fuoriclasse della musica, fino a incontrare Sfera Ebbasta. Una nuova tappa che forse per Peppe Romano in arte Pepsy Romanoff non era scontata, ma che per certi versi sembrava inevitabile: è la prima volta che qualcuno racconta la vita di Sfera. Che sia un prologo o l’inizio di una lunga saga: se non Pepsy, chi?
«Penso di aver capito davvero il potenziale che c’era dietro con ‘Mercedes Nero’. Ho pensato: questi due, Sfera e Charlie Charles, hanno una marcia in più. Faranno strada, ma di quella pesante. Nessuno si sarebbe immaginato quello che poi è successo. Tuttora sono un duo unico. Tanti hanno provato a replicarli in Italia, ma loro sono internazionali, ed è così che si diventa grandi, dei numeri uno».
L’incontro tra Sfera, Charlie e Pepsy risale a 6 anni fa, ed anche qui c’è tutta la casualità delle storie da raccontare: «Succede che intorno al 2014 devo girare una serie tv. Faccio uno script casting e un mio amico, Shablo, che conosco da circa 15 anni, mi aiuta nella ricerca di un paio di personaggi tosti, produttori e rapper, per raccontare le gang latine. Ecco, in quest’occasione Shablo mi manda questi due ragazzi, Gionata e Charlie. La serie poi non l’ho mai fatta, e le immagini non sono mai uscite: ma diversi anni dopo ci siamo ritrovati nel music-film del materiale d’epoca inedito, a costruire una storia che parte da lontano. L’opener di Famo$o, dove vediamo Sfera e gli altri in macchina, è stato girata il giorno in cui l’ho incontrato per la prima volta, così come il finale del film».
Ora Famo$o uscirà in 5 lingue in tutto il mondo, a partire dal 27 ottobre, in esclusiva su Amazon Prime Video, prodotto da Island Records / Universal Music Italia, e realizzato da Except con la produzione esecutiva di Maurizio Vassallo. Alle spalle il record di 7 brani italiani per la prima volta nella classifica delle top 200 global di Spotify, circa 4.7 milioni di ascoltatori mensili su Spotify e la mission degli Stati Uniti: «Era tempo di raccontare il personaggio», spiega Pepsy Romanoff. «Sfera è di poche parole. Mentre guardava per la prima volta il film ha riso e sorriso tanto. È rimasto contento ma ha sdrammatizzato subito: non te la dà vinta. Ma io non sono più in quella fase della vita in cui ho bisogno che mi venga detto. L’ho avvertito. Ed è bello anche così».
Photo credits cover, ritratto Pepsy Romanoff: Chiara Mirelli
Photo credits backstage “Famo$o”: Lorenzo Villa, a.k.a. Lory BHMG
Il primo incontro casuale nel 2014, poi vi siete persi per un po’. Come è andata?
Sì, entrambi abbiamo iniziato a fare altro. Anche se all’epoca tra noi c’era stato subito un bel contatto. Per girare gli avevo dato una mia felpa e gli avevo consigliato un film, Amores perros di Iñárritu, uno dei miei preferiti. Gli avevo detto: «Guardalo, è veramente street ed ha una storia bellissima. Magari un giorno racconteremo una storia del genere». Stacco: ci troviamo al Forum di Assago, mi chiama il suo manager: Sfera era diventato grande, era il momento di girare un suo live.
Dunque galeotto fu quel live?
In un certo senso. Dopo il Forum lui ha iniziato a incidere il disco e io ho detto ai discografici che era il momento di raccontare qualcosa, c’era un personaggio. Abbiamo puntato ad un progetto mondiale. Nel frattempo Sfera ha fatto X Factor, lo ha vinto, è riuscito a sbarcare in America, ha chiuso dei featuring con personaggi importanti, c’è stato il Covid… e all’inizio di marzo 2020, un attimo prima del lockdown italiano, ci siamo ritrovati a girare Bottiglie Privè, title track del nuovo album.
Nel contesto discografico Sfera si è posto subito come uno con una forte identità, non è sceso a compromessi neanche di fronte alle critiche o all’incontro con Roccia Music, l’etichetta discografica di Marracash e Shablo con cui ha ripubblicato l’album d’esordio. Con te è stato scontro o incontro?
Lui è uno con le idee molto chiare. Ha una disciplina incredibile, ogni sera alle 10 esce di casa e va in studio a registrare. Tra noi tutto è partito gradualmente, credo che riconosca in me l’esperienza. Una volta mi disse una frase che quasi mi ha commosso. All’inizio della mia carriera facevo un programma insieme a Maurizio Ridolfo, ‘Rido’, (oggi anche co-autore del film Famo$o, ndr), Rapture, il primo del genere ad andare in onda su All Music. Sfera mi disse: «Se faccio rap lo faccio grazie al fatto che da pischello ho visto quel programma». Quel programma ha fatto arrivare anche me a fare cose impensabili. È un po’ un cerchio che si chiude, no?
Sembrerebbe di sì. O un cerchio che si apre: hai documentato Sfera, il racconto di un mito in ascesa. Non è esattamente come raccontare Vasco…
Assolutamente. Nella tracklist di Famoso ci sono nomi enormi: Diplo, J Balvin, Steve Aoki… Parliamo di numeri uno al mondo. J Balvin è un re delle top ten Spotify, insieme a Drake e Jay-Z: il fatto di averlo anche nel film, presente nell’unica data del Mamacita Festival a Milano, è una chicca pazzesca. E pensare che il primo gancio con questi nomi arriva sempre da Sfera, ci mette la faccia lui, c’è da sempre uno spirito imprenditoriale forte in questo ragazzo. Comunque appartiene a un’altra generazione, mi ha dato la possibilità di entrare anche in luoghi in cui non si poteva entrare.
Io ad oggi non sono mai riuscito ad entrare in ‘casa’ di Vasco. Sfera va sempre in giro con le sue persone, che è un rituale molto simile a quello di Vasco, ma mi ha permesso di stargli dietro per molto tempo. Questo è un tassello che vorrei raggiungere anche con Vasco: penso che ci arriveremo, me lo auguro. Ma raccontare il successo di un ragazzo partito dalla periferia, è stata una bella storia. Anche lui è uno che veramente ce l’ha fatta.
La scena del flauto è una delle più inaspettate del film. Hai filmato l’uomo dietro il trapper, che nota una ragazzina all’oratorio di paese e la porta a suonare in studio: anche lì eri al posto giusto nel momento giusto?
Sì, perché Sfera è veramente così. Alcuni pensano che sia solo un arrogante coi brillanti, un tatuato con la Lamborghini. Ma c’è una parte di lui che va raccontata. Io e lui non ce lo siamo mai detti ma io volevo si vedesse Sfera come una bella persona, educatissima, che ne sa di musica, che ha il cuore di chiamare una ragazzina a suonare il flauto in studio per un suo brano. È uno partito da zero e non se l’è dimenticato: cerca di regalare una scintilla anche agli altri. Sfera è uno che sa scegliere i talenti, e non è scontato. Lo ha dimostrato anche a X Factor: un giro solo, il tempo di vincere e andarsene.
Ha sempre scelto le pedine giuste, e qui ci sono molti punti di contatto con Vasco. È un grandissimo professionista, quando ascolti un suo pezzo senti che non potrebbe essere di nessun altro. In America con lui sono rimasto sconvolto per come la gente lo trattava e lo guardava. Proprio gli americani, che quella musica l’hanno inventata, e che spesso te lo ricordano con la spocchia. Invece lui riceveva un rispetto totale. Un documentario non è mai chiuso: qui racconto che Sfera ce la sta facendo, che sta portando questo suono urban da Cinisello in giro per il mondo. Questo sarà davvero un progetto World Wide.
Hai usato diverse immagini di repertorio: l’impressione è che tu lo segua con la camera da 6 anni. Da dove escono quei filmati?
Sono materiali che ho recuperato da Spiv, primo videomaker di Sfera, e da Fulgo, il suo road manager, uno dei primi ad esser stato con lui dal minuto zero. Volevo un racconto ampio, per ribadire il concetto di Famo$o non solo come status ma anche come artista conosciuto, riconoscibile, affermato: e allora io vi faccio vedere che c’è nella scatola. Se accanto a un disco crei un’operazione del genere, due ore di film, vuoi far capire davvero chi sei.
Nel film ti focalizzi molto sul lusso, e questo era un rischio. È una narrazione di accessori, orologi, look, anelli, corpi scultorei, automobili, a volte quasi erotica. Altre, invece, quell’ostentazione arriva a commuovere, soprattutto dopo aver visto un diciottenne partito con troppi sogni e zero soldi in tasca.
Per me era importante, è il tratto distintivo dell’artista. La domanda era: perché tanti marchi di lusso vogliono assolutamente vestire Sfera Ebbasta? Forse se commuove è perché, economicamente parlando, lui fa campare tante famiglie: come dice nell’intervista, la mattina si sveglia e quando apre gli occhi sta già facendo business. Ha un appuntamento? Bene: Fulgo inizia a prepararsi, la macchina dev’essere pulita e di un certo valore, Tano è già sul posto e Lory scatta le foto. È un nuovo modo di fare business: questo è il presente. Il punto però è che dentro al contenitore c’è anche un contenuto forte: stanno costruendo qualcosa per diventare dei veri colossi.
Con Sfera sei entrato dentro casa, nella quotidianità. Non è mai arrivata una porta in faccia?
È stato un po’ come tornare all’inizio del mio lavoro, oltre le sovrastrutture produttive. Cinque o sette persone che si muovono insieme per seguire e raccontare l’artista. A Los Angeles e ad Arezzo siamo andati addirittura in due, con Dario. Ma devi diventare così invisibile che lui neanche ti pensa, mentre parla e si incazza appena è sveglio la mattina. A volte a Los Angeles mi trovava già sotto con la telecamera accesa ad aspettarlo, e qualche volta mi ha guardato male, voleva una tregua. Ma quando si è rivisto sullo schermo ha capito: era un racconto necessario, era bello. E questo era il mio scopo.
Che poi, famoso o meno, c’è sempre una madre pronta a urlare “chi vuole il caffè?”: nel film sono tante le scene di normalità, di verità, di routine…
All’inizio Vale, la mamma, era molto attenta a me. Entravo così dentro alla loro quotidianità, e per una famiglia molto riservata come la loro è stato tosto. Ma dopo aver visto il film la prima volta mi ha abbracciato e mi ha ringraziato: «So che mio figlio è così, però vederlo non in soggettiva ma in oggettiva, dagli occhi di un altro, è una conferma». È una bella storia, questa, che dà anche un po’ di benzina a tutti i ragazzi che a volte si perdono. E Sfera lo dice sempre: non perdetevi, anche se scappate da scuola andate a fare qualcosa che reputate importante. Andate a suonare.
In questa scalata sociale, Famo$o non dimentica nessuno: a parlare sono proprio i collaboratori stretti di Sfera, chi ha mollato un lavoro precario per imparare un mestiere insieme a lui. Il successo poi è arrivato nel tempo. Perché ci tenevi tanto a raccontare questo salto nel vuoto?
Perché questo lavoro è fatto di team e poi tante persone rimangono nell’ombra. Io lo so bene: sono 15 anni che lavoro con il mio autore, Maurizio Ridolfo, e poi c’è il mio produttore, Maurizio Vassallo, il folle che asseconda tutte le mie isterie e le voglie creative, quelle alla «fidati di me, è una grande storia». Il montatore, Dario Garegnani, lo stesso che ha montato anche Modena Park, e tutto il team di Except, gente di 25 o 27 anni, che quando io sarò passato a miglior vita andrà ancora avanti.
Volevo questa linea narrativa anche nel documentario: gli ‘Invisibili’ hanno un ruolo grosso, gente che si è licenziata perché ha trovato un lavoro insieme al successo di Sfera. Oggi in quanti, se arrivano al successo, si mettono a condividere? Loro si sono fatti insieme, Tano è uno dei suoi migliori amici e durante l’intervista continuava a commuoversi: non ci poteva pensare che dopo anni di fatica fossimo lì a parlare proprio di loro. È esattamente così: ognuno ha i suoi. E nel film parlano tutti loro, questo è il nocciolo della storia.
Nel documentario Steve Aoki sostiene che Sfera stia aprendo il mercato estero anche agli altri artisti italiani: questo genere di music-film potrebbero avere lo stesso effetto?
A breve ne usciranno tanti di prodotti di questo genere…
Ma Sfera ha voluto il primato.
Sì, assolutamente. Sfera ha voluto essere il primo ad uscire con un progetto così mondiale.
E tu sei il primo a firmarlo.
Sì, ho un po’ paura ma ho anche le mie certezze. Diciamo che ho avuto un gran culo con due artisti enormi e agli antipodi, Vasco e Sfera. Salmo sarebbe un personaggio fortissimo da raccontare. Vasco è unico. Se un giorno mi dovesse aprire quella porta che ancora non abbiamo aperto… là succede un casino. Potremmo tirar fuori cose mai viste, mai dette e mai sentite. Io spero si aprirà un fronte su questo tipo di racconti, e in effetti il mercato si sta muovendo in questa direzione. Saremo in troppi? Beh, come c’è un disco bello e un disco brutto, ci sarà anche un music-film bello e uno più brutto.
Riusciresti mai a raccontare nello stesso modo un artista in cui non credi?
Farei fatica, mi è capitato di rifiutarne. Molti scettici mi hanno chiesto: «Ma davvero ti piace Sfera Ebbasta?». Io dico sempre: ho fatto il giro. Vasco, Ezio Bosso, Battiato, Pino Daniele fino a Sfera Ebbasta. E sono tutti artisti nello stesso modo, con skills diverse. Il mio lavoro è quello di raccontare una storia, e dietro Sfera c’è una storia imponente.
Una storia che, a detta tua, qualche punto di contatto con Vasco ce l’ha.
Sarà che uno viene da Zocca e l’altro da Cinisello, che sono perfette rockstar, che la stoffa per arrivare in alto loro ce l’hanno dentro. Ma io in molte situazioni li ho visti simili. Anche Vasco all’epoca era criticato, massacrato, mal tollerato. Oggi Albachiara è la canzone più amata in Italia nelle radio dopo 45 anni.
Insomma non è un caso che Sfera stimi Vasco…
Tutt’altro che un caso: per il percorso, per la grandezza, ma soprattutto per quello che ha scritto. Si sono anche incontrati, eravamo in tournée a San Siro nel 2019. Sfera è venuto ad omaggiare Vasco.
Che potrebbe sembrare inaspettato.
Ti potrei sbalordire. Che poi a un certo punto si è deciso di accostare Achille Lauro a Vasco, ma non è vero ragazzi, dai: l’accostamento è Achille Lauro e Renato Zero. E poi qui non parliamo di contenuti e generi musicali. Vasco è nato nell’epoca delle radio libere, gli Indiani metropolitani, la caduta del Muro di Berlino; oggi puoi essere Vasco Brondi o Brunori Sas, certo, ma anche Bottiglie Privè rischia d’essere un pezzo che farà la sua storia, come Bravi ragazzi nei brutti quartieri: pezzi generazionali per quest’epoca. Poi, se preferite, facciamo finta di niente…
Credo che prima del film mancasse una finestra su questa storia. Forse, quando dal nulla arriva una gang di ventenni in Rolex e Lamborghini a suon di trap, serve una finestra sulla storia per spiegare a tutti che è successo, per stare dalla loro parte.
Forse sì. E poi leviamocela un po’ questa allure di gente radical chic che rifiuta a priori una bella storia. È bello che in Italia ci siano questi fenomeni che alzano così tanto il livello e che ci fanno conoscere anche fuori. Quello che mi piace di Sfera è che a un certo punto lui se ne è fregato di tutto questo pregiudizio.
A proposito di american dream…
Sì, che non è quello di essere nati in America, ma di andare alla conquista dell’America. Uno che ti dice una frase così, ha capito molte cose, ha un progetto. Non so se racconterò il suo futuro, ma questo presente sono riuscito a fermarlo: il primo grande episodio della sua vita.