Si è affacciata nel mondo della produzione da un paio d’anni, anche se è nata e cresciuta in una famiglia in cui quotidianamente si mangia pane e creatività, e si respira chiaramente una frizzante voglia di innovazione e rinnovamento. Ciò che colpisce di questa ventisettenne romana, che dopo gli esordi come attrice ha preferito seguire le orme genitoriali, è la sua pacatezza, i suoi silenzi riflessivi prima di rispondere alle domande, la consapevolezza del valore delle parole e del peso delle risposte.
Virginia Valsecchi, figlia di Pietro (patron di Taodue Film, responsabile del lancio al cinema di Checco Zalone) e Camilla Nesbitt (cofondatrice di Taodue e creatrice della serie “Made in Italy”, tra le altre cose) continua a godersi i grandi successi registrati alla Festa di Roma, dove ha presentato il docufilm “Mi chiamo Francesco Totti” per la regia di Alex Infascelli, e il documentario “Il cielo da una stanza”, da lei stessa diretto.
“Il cielo da una stanza è un docufilm autoprodotto, un progetto che mi ha accompagnato durante tutto il lockdown. Volevo raccontare le reazioni degli italiani a questa misura di salute pubblica che ha sconvolto il mondo di ciascuno di noi. Per questo ho lanciato una call to action il 21 marzo, e da subito mi sono arrivati tantissimi video (alla fine ne ho ricevuti più di 500). All’inizio ero entusiasta, visionavo i materiali e capivo già cosa tenere o no, in base anche alla qualità delle riprese, ai contenuti, ai toni. Ho deciso di incasellarli in aree tematiche, e dopo averli visionati tutti ho cercato di creare un racconto insieme al montatore Pietro Morana. È stato complicato, perché dovevamo capire cosa raccontare, cosa fare che altri non avessero già fatto (in tanti avevano realizzato documentari e cortometraggi sulla quarantena)”.
“Quello che ho notato nei video, è che la maggior parte erano stati realizzati da persone di una generazione tra i 20 e i 35 anni, quindi ho voluto proporre un documentario generazionale. Volevo dimostrare che, pur essendo distanti, abbiamo tutti affrontato attività che ci accomunavano: la spesa, la cucina, la riscoperta del condominio, lo smart working, la vita di coppia, le passeggiate con i cani, le terrazze. Ho visto che certi temi tornavano e ho deciso di creare un racconto che avanza nel tempo per unità tematiche”.
Oggi do più valore a gesti di cui prima non mi accorgevo neppure, non perdo più tempo, se voglio fare una cosa la faccio subito, vivo la vita come se fosse l’ultimo giorno. Professionalmente quel periodo mi ha indotto a pormi delle domande su come raccontare le storie, sul modo in cui vogliamo rappresentare il presente. Oggi mi capita spesso di chiedermi come cambierà la maniera di mettere in scena e produrre i film, come sarà il futuro del cinema e della televisione tra 5 anni. Chi lo sa…
Sì, durante il lockdown ho sviluppato dei concept per serie televisive, e per un film che forse dirigerò io. Mi piacerebbe un giorno buttarmi sulla regia. Per lavoro e indole condivido tutto (con gli sceneggiatori, i creativi ecc) perché sono convinta che bisogna lavorare in squadra, ma molte delle idee che mi vengono le visualizzo in immagini. Ne ho una, in particolare, che mi piacerebbe molto anche dirigere. Vedremo…
Sono molto contenta di aver lavorato con Alex, è un regista fantastico che parla dritto al cuore con questo documentario. La cosa che mi piace di più è il fatto che Infascelli abbia co-diretto il film con Totti, ha trovato una chiave nuova per raccontare un eroe moderno e molto positivo. Di documentari sullo sport e sugli atleti ne abbiamo visti tanti, ma Alex ha usato un punto di vista innovativo, quello personale di Francesco che con intimità ci racconta il suo mondo e alcuni momenti incredibili della sua vita. Da Francesco Totti, invece, ho imparato l’umanità, ed è qualcosa che spiazza: non è solo un eroe calcistico, ma ti travolge con la sua affabilità e capisci perché è un supereroe.
Non posso anticipare nulla, ma ti confesso che sono più che soddisfatta. Pietro ha un talento incredibile, è un ragazzo che si merita tutto il successo che sta avendo. Ha dimostrato una bravura straordinaria con “I predatori”, e la confermerà anche con i suoi progetti futuri.
Nasce verso la fine del 2018 a Roma: ne abbiamo annunciato la fondazione proprio in concomitanza con i progetti su Totti, il documentario e la serie diretta da Luca Ribuoli. L’obiettivo di “Capri” è di diventare un progetto culturale: mi piacerebbe diventasse una factory di contenuti a tutto tondo, in cui si produce audiovisivo, idee pubblicitarie, e in cui le visioni possono arrivare da più punti di vista, non solo da chi lavora nel cinema. Vorrei diventasse una società di produzione più liquida, in questo momento ci sono tanti visionari creativi e tutti possono dare un contributo importante. Voglio creare un roster di nuovi talenti, con cui crescere nel tempo. Nella pluralità di case di produzione che già esistono, non ce n’è nessuna che abbia l’obiettivo di creare sinergie nella nuova generazione.
Deve portare una nuova visione o un linguaggio diverso, non deve essere scontato. Cerco l’X-Factor soprattutto nella scrittura, nel modo di raccontare le idee che mi vengono proposte.
Il lockdown ci ha messo davanti a mesi di elaborazione e confronto, abbiamo avuto modo di pensare e creare nuove storie. E questo mi fa piacere perché da un momento così difficile sono scaturiti tanti progetti davvero interessanti. Il cinema italiano non è affatto morto, abbiamo tantissimi registi affermati ed emergenti che portano avanti la settima arte italiana nel mondo, e in questo momento nella televisione siamo molto forti. Lo si vede anche dalla pluralità di contenuti prodotti ora in Italia. E poi, una volta terminato il lockdown, siamo tutti ripartiti sui set. Ci sono moltissime idee, il punto vero è capire quali hanno una potenzialità effettiva per catturare l’interesse del pubblico.
Capri è un luogo cui sono molto affezionata, ed è un luogo di miti e leggende: io voglio produrre contenuti che abbiano delle storie. Inoltre è stata anche il set di uno dei miei film preferiti in assoluto, “Il disprezzo” di Jean-Luc Godard.
Da quando sono piccola respiro questo mondo, ho sempre rubato con gli occhi e le orecchie. Mi sento molto fortunata perché a casa c’è sempre un grande confronto di idee, un grande scambio e fermento. Non sempre andiamo d’accordo su tutto, ma credo che il confronto porti sempre idee valide.
Non conosco molte produttrici donne: in Italia ce ne sono tante, e sono anche molto brave. Io sono figlia di una produttrice donna. In casa ho sempre avuto l’esempio di una professionista capace di mantenere un grande equilibrio tra famiglia, lavoro e realizzazione di contenuti. Vorrei che la mia generazione cambiasse punto di vista, che domani questa domanda non avesse più significato. Vorrei che l’obiettivo della mia generazione fosse proprio cambiare le cose in tal senso.
Sì, anche in questo caso non posso dire molto se non che Marta è una regista fantastica, e che vogliamo raccontare una bellissima storia al femminile. È sempre più necessario raccontare storie di donne e temi importanti. Quest’opera prima parla di una ragazza che nel 1967 rifiutò di accettare un matrimonio riparatore con l’uomo che l’aveva violentata.
È una domanda difficilissima, sono troppi! Di certo posso dirti che sono pazza di Jean-Luc Godard, ma non posso non citarti Federico Fellini o Alberto Sordi: per me sono personaggi incredibili, sono cresciuta guardando i loro film, che hanno accompagnato anche tutta la mia formazione.
Più di 350 persone per la serata-evento a Villa Minieri a Nola organizzata da Caporaso,…
Continuano le puntate de La Promessa, e in rete stanno già circolando le prime anticipazioni…
La notizia del trasloco di Fedez, il noto rapper italiano e influencer, ha suscitato un…
Cambiano i mutui in Italia, conseguenza diretta di alcune scelte di Trump. Ecco cosa bisogna…
Carlo Conti è tra i conduttori più amati, ma qual è il suo guadagno effettivo?…
C'è stata una furiosa lite nella Royal Family, e la notizia ha fatto subito allarmare…
Leave a Comment