Young Signorino: «Resto CALMO e non se lo aspettavano» [INTERVISTA ESCLUSIVA]
Esce oggi il primo album ufficiale di Young Signorino: "Calmo"
L’esplosione di Young Signorino resta ad oggi uno dei grandi capovolgimenti, l’ultimo forse, imposto all’industria discografica dalla stagione della trap italiana. Con ogni probabilità l’unica corrente legata al pop emersa negli ultimi due decenni capace di far parlare di sé a livello generalista. Proprio la trap sembrava aver trovato nel giovanissimo Paolo Caputo la sua incarnazione definitiva; indecifrabile, provocatoria, un oggetto alieno piovuto direttamente da Youtube per un pubblico ultra-giovanile apparentemente insondabile.
Quasi tre anni dopo Mmh Ah Ah Ah, l’elemento perturbante del genere è oggi pienamente assimilato nei programmi più mainstream delle major italiane. La trap ha da tempo abbandonato ogni pretesa di indipendenza, etichetta peraltro mai cercata. I suoi eroi si sono reinventati idoli televisivi (Sfera Ebbasta, Ghali) o sono definitivamente emigrati sui social (Dark Polo Gang), e mentre l’industria lancia giovanissimi poster boy a getto continuo, ogni elemento aggressivo sembra a questo punto superato.
In uno scenario ormai stabilizzatosi, con l’incognita Covid a gravare, si riaffaccia lui: Young Signorino. Non era mai scomparso davvero, e si appresta ora a chiudere un 2020 ricco di novità personali con il suo primo album ufficiale. Calmo arriva a chiudere un ciclo che lo ha visto collaborare a sorpresa con Vinicio Capossela (nel folle brano +Peste), poi con Laoiung nell’apprezzato ep Elementi, e che approda ora ad un nuovo progetto. Quello della maturità definitiva, se di definitivo si può parlare nel caso di un ragazzo di soli ventun anni.
Fin dal titolo, “Calmo” si pone in contrapposizione con il tuo personaggio precedente. C’è voglia di presentarsi in un altra maniera?
Assolutamente. Durante la lavorazione dell’album mi ripetevo di restare calmo, contro qualunque ostacolo avrei incontrato, qualunque problema. Così è nato il titolo. E anche le tracce sono molto chill, senza niente di spinto, cosa che magari la gente si aspettava. Quindi per me il titolo è perfetto.
C’è questa linea melodica e cloud che si vede poco in Italia, dove l’idea che passa è di solito quella della trap dai toni aggressivi.
Esatto. È sempre trap, ma un sottogenere con dei contenuti differenti.
Riferimenti internazionali?
Molti artisti americani, ma anche Yung Lean e i francesi PNL. È uno sguardo che va oltre: ho voluto prendere un percorso diverso, soprattutto musicale. Anche a livello di testi, che ho voluto molto motivazionali.
Ricorre molto il tema della salute mentale, l’ultimo che ci si aspetterebbe.
Esatto: qui son pochi, tra chi fa trap e rap, a parlare di questo argomento.
In questi ultimi mesi hai iniziato a produrre tantissimo. Prima del disco c’è stato l’ep Elementi.
A me stanno stretti i ritmi in cui viene prodotta la musica oggi in Italia. La creazione dell’hype, far passare il tempo… io scrivo molto, e preferisco far uscire subito le cose.
A proposito di collaborazioni, come hai scelto Laioung come produttore unico di quel lavoro?
Ho saputo che era in città e l’ho contattato su Instagram. Così sono andato a casa sua, e ci siamo messi a lavorare su una traccia. E insieme abbiamo detto: perché non facciamo proprio un ep? Ed Elementi è nato così, in appena un mesetto. Era la prima volta che lavoravo con un unico produttore. È venuto un bell’ep, decisamente uno dei miei preferiti.
La collaborazione più strana è quella con Capossela. Cantautori e trap non si trovano, è un connubio che per ora non esiste. Quindi quello che avete fatto è da pionieri.
Lui mi invitò allo Sponz Fest, il suo festival in Irpinia. Quando ero lì ci fece andare a casa sua. Così ci siamo conosciuti. Poi io partecipai alla manifestazione, e dopo qualche mese mi ricontattò ancora. Mi disse che avrebbe voluto fare il remix de La Peste, la sua traccia da Ballate per Uomini e Bestie. Ed il singolo è nato così, me l’ha proposto lui. È uscito un bel progetto.
Domanda obbligatoria: com’è la situazione attuale per un musicista?
Ormai è quasi un anno che non faccio più live. E difficile per tutti, il mondo musicale è stato abbandonato, se lo sono dimenticato. Gli artisti, come tutti i lavoratori… pensano che la musica e lo spettacolo siano hobby.
Sono passati due anni dalla tua esplosione fuori controllo su Youtube. È stata dura gestirla?
Sicuramente oggi la vivo meglio. Ai tempi era stato difficile ritrovarsi all’improvviso in quel mondo lì, subito proiettato in quel contesto nell’arco di poche settimane, addirittura di pochi giorni. In realtà mi aspettavo che sarebbe successo, perché mi stavo impegnando a realizzare il mio sogno. Ma non pensavo così presto, così veloce. Sicuramente un po’ di ansia c’era, per le persone che incontravo per strada, per tutti gli addetti ai lavori…
Tu rappresenti quella generazione che più che all’attività live, o anche a Spotify, affida la propria gavetta a Youtube.
All’inizio io caricavo tracce semplici, senza neanche video. Due-tre tracce a settimana, e per un anno sono andato avanti così. Poi piano piano la gente continuava a chiedermene altre, si erano abituati alle mie uscite settimanali… E lentamente ho iniziato a fare i numeri, ho fatto i primi video. Facevo bei dati per un emergente.
Tempi diversi rispetto a quelli della discografia classica.
Non tutti hanno Spotify, non avrebbe avuto senso muoversi altrimenti. Ai tempi poi non andava di moda, ce l’avevano in pochi. Poi magari lo streaming in molti manco lo vogliono pagare, figurati i concerti. Youtube invece lo seguono tutti, adulti, bambini… Certo, il contraltare è che ormai escono mille artisti al giorno.
Tu quando hai iniziato?
Le prime cose le ho pubblicate a quattordici anni. È stata una gavetta lunga, ma io mi divertivo. Non mi accorgevo neanche che il tempo passasse. Scrivevo queste due tracce al giorno, era come mangiare, dovevo farle per forza. Poi le facevo uscire il giorno dopo. Adesso c’è anche chi riesce a diventare famoso dopo una traccia sola. Ma lì sono le etichette, che investono migliaia di euro e comprano gli ascolti. Diciamo che così è un po’ più facile… Ma ai tempi la trap la facevamo io, la DPG e Sfera. Eravamo solo noi tre.
I primi video del genere, nel 2015, erano una cosa del tutto nuova.
Gli altri erano ancora fermi a fare l’hip hop, c’erano artisti come i Club Dogo. Loro erano bravi all’inizio, poi sono diventati come J-Ax, sono rimasti lì… Mentre un pezzo trap in radio, ai tempi, era difficile sentirlo. Ora finalmente qualcosa passano.
È stato difficile a livello di credibilità muoversi da quel contesto?
No, quando sono arrivato io avevo già una credibilità mia. Quando ho iniziato già non esisteva più l’idea di gavetta come di ‘andare a fare i live’. Al limite c’erano le battaglie di freestyle, che io facevo, però non ne pubblicavo video né niente… In realtà avevo già un mio pubblico. Piano piano si sono abituati anche i discografici, la musica si è evoluta.
E in questi due anni come hai gestito la tua maturazione?
Io mi ero annoiato a fare quel genere lì, e a un certo punto ho deciso di variare. Magari era un periodo, ma ora con Calmo voglio seguire questo stile qui. Perché non sono uno che nei pezzi racconta caz**te, o che finge di essere un mood quando invece ne è un altro. Voglio fare musica in base a cosa sono. Prima puntavo più sull’immaginazione, ora ho voluto raccontare di me, far vedere una parte precisa. È giusto che uno si evolva anche.