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Recovery fund, Ungheria e Polonia mettono il veto: salta tutto?

I due Paesi non accettano la condizionalità sullo Stato di diritto

Gli ambasciatori di Polonia e Ungheria hanno posto il veto. In questo mondo hanno bloccato, oggi 16 novembre, l’accordo raggiunto fra gli Stati membri dell’Unione europea sul Bilancio Ue 2021-2027. Lo rendo noto su Twitter il portavoce della presidenza di turno tedesca, Sebastian Fischer. “I due Stati membri hanno espresso la loro opposizione rispetto ad un elemento del pacchetto, (la condizionalità sullo stato di diritto, ndr) ma non sulla sostanza dell’accordo sul Bilancio”.

Grave battuta d’arresto

Poco oltre, però, il portavoce ha dovuto dar notizia dell’impossibilità di procedere degli ambasciatori per le due riserve espresse. Gli ambasciatori dei Paesi Ue, ha spiegato, “non sono riusciti a raggiungere l’unanimità necessaria”. Ovvero quella “per avviare la procedura scritta” sull’aumento del tetto alle risorse proprie. Ciò “a causa delle riserve espresse da due Stati membri”.

No al “rispetto dello Stato di diritto”

D’altra parte lo stesso premier ungherese, il nazionalista Viktor Orbàn, aveva interloquito con la cancelliera tedesca Angela Merkel e col presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. Il suo Paese avrebbe posto il veto, aveva fatto sapere. Lo avrebbe fatto sia per quanto riguarda il bilancio pluriennale dell’Unione europea che per il fondo per la ripresa dalla pandemia di Covid. Il famigerato, e dall’Italia attesissimo, Recovery fund. Stando all’agenzia di stampa magiara Mti, il governo ungherese dà così seguito alle minacce di bloccare l’approvazione dei bilanci. Perché considera un “ricatto politico” il meccanismo approvato per condizionare l’erogazione degli aiuti finanziari. Ovvero la concessione dei prestiti a patto che siano rispettate le regole dello Stato di diritto. L’Ungheria soprattutto, ma in parte anche la Polonia, sono Paesi dove da tempo spira un forte vento di nazionalismo e in parte almeno di autoritarismo antidemocratico.

Recovery fund a rischio

A livello europeo si stanno discutendo i regolamenti attuativi di quanto deciso dai leader lo scorso luglio con riferimento al Recovery Fund e al bilancio pluriennale. Il blocco della decisione sulle risorse proprie, imposte il cui gettito finisce nel bilancio comune di Bruxelles, di fatto rischia di fermare l’intera procedura legislativa che dovrebbe portare all’erogazione dei sussidi e dei prestiti nell’ambito del piano di ripresa.

Le intese raggiunte finora

All’inizio delle scorsa settimana, dopo dieci settimane di scontri, era stato trovato l’accordo tra Parlamento europeo e governi sul Bilancio Ue 2021-2027, premessa per il lancio del Recovery Fund da 750 miliardi creato a luglio dai capi di Stato e di governo dei Ventisette. Come è noto l’Italia ne attende oltre 200. A sbloccare le trattative, i 16 miliardi aggiuntivi al budget dell’Unione ottenuti dall’Eurocamera. Con l’obiettivo di aumentare i programmi bandiera Ue come Erasmus, Horizon (ricerca) e Eu4Health (salute), cultura e migranti. La settimana prima era arrivata invece l’intesa su come vincolare i fondi Ue al rispetto dello stato di diritto.

Scontro totale

Passato quello scoglio, sarebbe stato necessario proprio il voto dei governi sul nuovo testo su Bilancio Ue e stato di diritto insieme a quello sulle future risorse proprie dell’Unione che finanzieranno parte del Recovery. Se Bilancio e risorse proprie dovevano essere concordate all’unanimità, sullo stato di diritto era sufficiente la maggioranza. Il problema è dunque che Varsavia e Budapest hanno scelto la linea dello scontro totale. Proprio l’ipotesi ritenuta improbabile dai partner in quanto perderebbero i generosi finanziamenti Ue e salterebbe tutto il meccanismo di rilancio da oltre 1.800 miliardi.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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