Piotta: «Vi racconto la mia colonna sonora per Suburra 3» [INTERVISTA ESCLUSIVA]
Sì, donne come Nadia e Angelica che acquistano più potere, una dose ancor più massiccia di azione, sparatorie e inseguimenti, Spadino e Aureliano che si uniscono sempre di più nonostante tutto e tutti. Ma una delle cose più belle e memorabili della terza (e ultima) stagione della serie originale Netflix “Suburra” è senza dubbio la sua colonna sonora.
Non semplice sottofondo musicale che fa da contrappunto alle immagini, ma un insieme di brani creati ad hoc per ogni personaggio di spicco della serie. Il risultato sono dieci tracce inedite, comprensive di due strumentali e un remix, che raccontano con musica e parole le storie dei protagonisti e le loro vicissitudini.
Romano di nascita, cresciuto a Monte Sacro, classe 1973, Tommaso “Piotta” Zanello (che ci ha regalato singoli come “Supercafone” e “La grande onda”), esprime una volta di più il suo amore per la Capitale con brani in cui si sente viva la sua conoscenza profonda di vizi e virtù della sua città, che affascina e castiga, sfugge o inchioda. Variegato lo stile e il ritmo dei brani, che si adattano alla personalità dei personaggi su cui sono stati cuciti, per un tipo di operazione mai sperimentata prima, e che rappresenta per Piotta l’esordio nella creazione di una colonna sonora. Ben noto, invece, il legame tra Tommaso e “Suburra”: la hit “Sette vizi Capitale” era la sigla finale degli episodi della prima stagione, mentre per la seconda l’artista romano aveva prestato la sua consulenza sulle parti rap.
Come è nato questo lavoro? Sei stato ingaggiato dalla produzione? Ne avevate parlato prima dell’inizio delle riprese della stagione finale?
Ne avevamo parlato prima, per grandi linee, ma solamente quando la produzione è entrata nel vivo del pre-montato dei primi episodi siamo giunti alla reciproca volontà di trovare la quadra di tutti. Come è mia abitudine si è partiti dagli aspetti fondamentali, ovvero quelli creativi, e si è arrivati a quelli di contorno all’arte, ma comunque inevitabili, ovvero quelli formali.
Che metodo di lavoro hai usato? Ti hanno fatto vedere gli episodi e ci hai lavorato su? Ti hanno fatto leggere la sceneggiatura? Ti hanno fatto vedere gli storyboard? Come è andata?
Calcola che il lavoro sulle musiche è cominciato i primi di marzo, ovvero poco prima del lockdown. Ho lavorato a distanza con i miei collaboratori, coordinando tutto. Dalla scrittura dei testi sul pianoforte di Francesco Santalucia (con cui avevo già composto il succo di “Sette vizi Capitale”) alla co-produzione a distanza sempre con Francesco, ai mix di Emiliano Rubbi. Terminato il primo lockdown ci siamo riversati in studio e abbiamo rifatto tutti i provini, aggiungendo violini e strumenti veri, in base ai brani.
Un tuo giudizio sulla serie: ti è piaciuta? Si tratta della prima produzione originale Netflix in Italia. Cosa pensi del prodotto finito?
Ne penso bene. Non solo è la prima serie italiana prodotta da Netflix, ma è anche la prima che vuole competere con i prodotti internazionali, esattamente come la colonna sonora. I commenti e i passaggio radio anche da altri paesi, direi che sono prova di questa diffusione internazionale.
In questi dieci brani alterni ritmi e stili: mi ha colpito in particolare il brano “Fiore dell’infame” che pur essendo cantata in romanesco ha ritmi spagnoleggianti, quasi latini. La canzone “La giostra”, invece, ha ritmi gitani. Insomma, dal punto di vista musicale è una colonna sonora molto variegata…
È vero, ed è lo specchio di quello che sono. Io vengo dal rap ma non faccio rap puro da tempo, sono un cantautore ma non faccio l’indie, sono un cantante ma non faccio pop. Insomma il succo è chiaro: il mio scopo è poter fare un percorso che si evolva disco dopo disco, e si distingua per capacità autoriali e di esecuzione, in cui ci siano tutti i miei ascolti e le mie esperienze, mixati in una ricetta personalissima.
Sulla base di quali criteri hai abbinato le varie sonorità ai personaggi della serie?
In base alla mia sensibilità che, ho notato, si amplifica a dismisura quando lavoro con Francesco, per affinità elettive con lui avrebbe detto Goethe, e per la potenza evocativa del pianoforte.
C’è un filo conduttore che lega le varie canzoni?
Il filo conduttore è il succo della trama che lega tutti i personaggi pur partendo da percorsi lontanissimi, a volte addirittura agli antipodi se si pensa a Cinaglia e Samurai, per esempio. E il succo è quella sete di potere per cui ognuno di loro è disposto alle azioni più criminali.
“Suburra” sta andando benissimo sul mercato sudamericano. Come mai secondo te?
Penso che il legame Chiesa e crimine affascini molto le popolazioni che come noi vivono sin dai primi anni di vita questo contrasto. È una dicotomia tra l’immagine ufficiale e quella reale, tra pubblico e privato, tra azioni inconfessabili e la richiesta del perdono… Come se alla fine tutto fosse espiabile in qualche modo.
Roma è la tua città. Che rapporto hai con lei? Ti affascina o ti fa arrabbiare?
Continua ad affascinarmi, altrimenti me ne sarei andato. La adoro in tutte le sue mille facce, da quelle più solari a quelle più oscure, da quelle sotto gli occhi di tutti a quelle da indagare nei suoi meandri, come faccio in questa colonna sonora.
Di quale dei sette vizi capitali soffre di più la Capitale?
Nell’invidia, specialmente in ambito lavorativo: difficilmente si riesce a fare squadra ed arrivare ad una vittoria collettiva, ognuno vorrebbe la vittoria solo per sé. Peccato.
Parlando della scena cantautorale romana di adesso, dei giovani romani che si stanno facendo strada nella musica: Galeffi, Fulminacci, Leo Gassman, Gazzelle, Ultimo. Che ne pensi? Come giudichi questa generazione?
Ultimo più che strada ha fatto il giro del Mondo in 80 giorni, andata e ritorno in navigazione solitaria. Altro che strada, ha dei numeri da capogiro! Bravo, mi piace. Mi piace molto, anche se diversissimo, Gazzelle. Fulminacci ha tanti riferimenti musicali, data la giovane età, ma sono molto curioso delle sue prossime prove, così come di Leo. A tutti loro un grosso in bocca al lupo e la gioia nel vedere che a Roma c’è tutto. Dal rap al cantautorato classico, dall’indie all’elettronica, dal pop al reggae degli Inna Cantina… Le tante facce di Roma anche nella musica.
Photo Credit: Alfredo Villa