“Un viaggio nell’intimità del corpo umano”, “Ritratti di provincia dove osservare il mondo”, “Il disco dell’accettazione, la vita che comincia per davvero”. È stato definito in tanti modi il nuovo album degli Zen Circus uscito lo scorso 13 novembre con il titolo “L’ultima casa accogliente”. Di certo l’undicesimo lavoro della band toscana è un album pensato, ponderato, assai elaborato e variegato, che ci mostra come Appino (voce e chitarra), Ufo (basso e voce) e Karim (batteria e voce), coadiuvati dai sodali Maestro Pellegrini (chitarra e voce) e Geometra Pagni (pianoforte, tastiere e voce) siano sempre più consapevoli e in qualche modo pacificati. Nove tracce originali che parlano di vita, di morte, di malattia, di accettazione di sé.

Per certi versi una continuazione del precedente “Il fuoco in una stanza” del 2018, soprattutto nella traccia di apertura “Catrame”, che se sembra voler completare “Catene”. Prosecuzione involontaria e non calcolata, garantiscono gli Zen Circus, che ci regalano un album emozionante e personale, pieno di pezzi da cantare a squarciagola ai concerti cui speriamo di poter partecipare prestissimo! Chiacchieriamo con Appino e Ufo per sapere un po’ di più dell’album.

Il vostro undicesimo disco, “L’ultima casa accogliente”, contiene nove brani inediti. In varie interviste avete detto che si tratta di un album “più suonato che pensato”. Cosa si intende?

APPINO: Avremmo dovuto produrre il disco negli Stati Uniti, presso gli studi di El Paso. Il nostro volo era prenotato per il 19 marzo. Poi, come è facile pensare, i nostri piani sono andati a monte a causa del Covid. Prima di partire avevamo fatto tante prove, suonando tutti insieme: eravamo pronti per partire e registrare. Il lockdown ci ha fornito ancora più tempo per riascoltare le canzoni, perfezionarle, ponderarle bene. Alla fine l’album è stato registrato in modo classico, senza alcun tipo di editing. Per questo è un album che ha tanta aria.

È un disco un po’ più libero, più vario degli altri, o sbaglio?

UFO: Sicuramente. Analizzando l’album nel suo complesso si riscontra una grande varietà di stili. I nostri album sono sempre molto riconoscibili. C’è sempre una parte più folk e acustica, e una parte più legata a sonorità d’oltre oceano. La multiformità di influenze e di gusti fa parte di noi. Questo disco evidenzia ancora di più questa varietà. Abbiamo ascoltato molta musica diversa, l’abbiamo elaborata tutti insieme ed ecco che si passa da un brano molto acustico come “Appesi alla luna” a canzoni quasi prog come la nona traccia “L’ultima casa accogliente”, fino a un pezzo come “Catrame” che è una canzone Zen classica. Abbiamo cercato di essere più svincolati da aspetti legati al singolo o alla radiofonicità. Per noi era essenziale in questo momento.

In questo disco c’è tanto groove, cosa abbastanza nuova per gli Zen Circus. Da dove deriva questa scelta?

UFO: È vero, in questo senso c’è una differenza sostanziale nel nostro ultimo album: abbiamo cominciato a giocare con le ritmiche. Sia io che Karim ci siamo divertiti a dare ai brani un altro andamento. Questo trend era già iniziato con “L’anima non conta”, una ballad suonata a marcia indietro, con uno spirito quasi black, andamento ben diverso dallo spirito classico degli Zen che sono molto “a correre in avanti” (cosa che deriva dalle nostra nostra passione comune per il punk-rock). È stato un esperimento molto interessante, che io ho provato in un brano come “Ciao sono io”, con sonorità che ricordano quasi gli anni ‘60, e anche nel pezzo “L’ultima casa accogliente”. A volte ci divertiamo a giocare con soluzioni ritmiche che non sono tipiche degli Zen Circus, come facemmo anche ne “I qualunquisti” (brano tratto dall’album “Nati per subire” del 2011, ndr) che ha sonorità reggae-punk.

Il titolo dell’album si riferisce al corpo, che è la nostra ultima casa accogliente, giusto?

APPINO: Sì, gli abbiamo dato questa accezione. Quando siamo andati a riascoltare il nucleo di canzoni che avevamo composto negli ultimi due anni, per capire in che modo metterle insieme, ci siamo resi conto che il corpo era un soggetto molto presente: niente di tutto questo era voluto o era stato pianificato. Quando il disco è uscito, in piena seconda fase della pandemia, abbiamo capito quanto “L’ultima casa accogliente” sia di conforto in questo momento. Parla di corpi che si ammalano e di altri che guariscono, di corpi che vengono a mancare e altri che si uniscono, di corpi che si innamorano e si amano. Le canzoni arrivano tutte da prima del Covid (unica eccezione è il brano “Come se provassi amore”), ma in qualche maniera le parole “casa” e “corpo” in questo momento hanno tutta un’altra accezione.

Un verso del brano “L’ultima casa accogliente” dice “la musica serve a far tacere le persone”. Siete d’accordo?

UFO: È chiaramente uno dei nostri tanti paradossi, sono quelle frasi paradossali che ci piace inserire nelle nostre canzoni. Spesso la musica, per assurdo, è un pretesto per rinviare le conversazioni o riempire il vuoto. A volte c’è un eccesso di suono e di musica, che sembra quasi colmare l’horror vacui, l’assenza permeante la nostra vita. In realtà penso che la musica comunichi e faccia parlare le persone, però a volte ha in sé l’aspetto opposto. C’è chi ha fatto un grandissimo lavoro su questo come i Talking Heads, che hanno realizzato un lavoro come “Fear of Music”. Una riflessione proprio sul ruolo della musica, che contiene in sé un paradosso: come fai a fare un disco e chiamarlo “Paura della musica”? Siamo stati sempre affascinati da questi aspetti paradossali.

Il primo singolo che avete lanciato lo scorso 2 ottobre è “Appesi alla luna”, brano che hai scritto durante una tua vacanza a Lisbona nel giugno del 2019. La canzone vanta la collaborazione alla chitarra elettrica di Francesco Motta, che per voi più che un amico è quasi un fratello. La vostra conoscenza va indietro nel tempo, agli anni in cui vivevate ancora a Pisa tu eri un adolescente e lui un bambino. Ai Criminal Jokers di Motta tu hai anche prodotto il primo album nel 2010: cosa vi ha detto dopo aver ascoltato per la prima volta il vostro album intero?

APPINO: Devo dirti che da tanto tempo, ormai, io e Francesco ci inviamo i brani, le musiche le canzoni. In questo caso noi abbiamo ascoltato il suo nuovo album, e lui ha ascoltato il nostro. Ci siamo molto emozionati, noi e Motta. E a lui il nostro album è piaciuto davvero molto.

Il vostro nuovo album mi sembra leggermente più ottimista rispetto ai precedenti. I titoli dei vostri CD, d’altronde, denotano un progressivo miglioramento, per così dire. Da “Andate tutti affanculo” a “Nati per subire”, passando per “Canzoni contro la natura” e “La terza guerra mondiale” siete arrivati a “L’ultima casa accogliente”! Gli Zen Circus si stanno un po’ ammorbidendo?

APPINO: Non è questione di ammorbidirsi, bensì del tempo che passa e lo notiamo su ognuno di noi. Nessuno di noi è completamente identico a come era dieci anni fa, e se lo è c’è un problema. Ogni disco è figlio di un periodo, racconta qualcosa che sia nostro e di chi abbiamo intorno. Qualche anno fa abbiamo fatto un patto non scritto che era di dire “Tutta la verità e nient’altro che la verità”. In questo momento la verità è proprio che siamo stati circondati da corpi che si sono modificati, in meglio o in peggio. Evidentemente le canzoni parlano di questo nel modo in cui lo ritenevamo più opportuno oggi. Quello che accadrà domani, non si sa.

A chi vi ha criticato dicendo che vi siete un po’ commercializzati con gli ultimi album (già con “Il fuoco in una stanza” del 2018), che avete perso quella carica critica e quelle sonorità più grezze che tanto piacciono soprattutto ai fan che vi seguono dagli inizi, cosa rispondete?

UFO: Ogni nostro nuovo disco crea pareri discordanti all’inizio. Poi quando viene riascoltato, come mi hanno confermato molti fan con i quali sono in contatto, emerge la trama classica degli Zen Circus. In una certa misura siamo sempre stati così, chiaramente i nostri pezzi venivano veicolati con altri mezzi, con altri metodi di registrazione, con arrangiamenti più scarni. Non dimentichiamoci che eravamo anche meno a livello di componenti del gruppo. Da qualche anno sono nostri sodali il “Maestro” Francesco Pellegrini alle chitarre, e il “Geometra” Farbizio Pagni alle tastiere, che hanno dato un apporto significativo alla nostra musica. Ma la trama che c’è dietro rimane quella di sempre.

I testi di questo album denotano anche qualcosa di più spirituale, con la presenza frequente di parole come “stelle”, “luna”, “cielo”, “notte”. È come se anche il vostro sguardo si fosse alzato.

APPINO: In effetti lo spirituale c’è sempre stato, uno spirituale nostro, molto carnale e terra terra. Essere atei non vuol dire non farsi le domande alle quali la religione risponde, o non condividere un sacco delle risposte che la religione propone. Questo lo diciamo da sempre, anche provocando. Ma se abbiamo parlato così tanto di Dio in questi anni, è perché ogni tanto ci parliamo.

UFO: È come un occhiale rovesciato, perché il disco verte molto sulla corporeità, ma c’è la finestra degli occhi, attraverso la quale si va anche oltre. Ora voglio sciuparmi e fare un paragone dantesco: è come quando alla fine dell’Inferno si dice “uscimmo a riveder le stelle”. In questo disco c’è molta sofferenza, fisicità, terrenità ma anche una certa spiritualità, un po’ speciale ma tipica degli Zen.

Il 12 aprile dello scorso anno avete fatto un bellissimo concerto al Paladozza di Bologna, in occasione dei dieci anni di “Andate tutti affanculo” e di vent’anni di carriera effettiva. Il vostro primo album “About Thieves, Farmers, Tramps and Policemen” fu pubblicato nel 1999 (anche se nel gruppo non c’erano ancora né Karim né Ufo). Durante lo show avete duettato con Nada, Dente, Giorgio Canali, I Tre Allegri Ragazzi Morti e Motta, appunto. Perché non pubblicare un album di duetti degli Zen Circus, con tutti gli artisti con cui avete collaborato?

APPINO: Ti dirò che in effetti ci stiamo più che pensando…

In una recente intervista Francesco Bianconi, frontman dei Baustelle che ha da poco pubblicato il suo primo album da solista, ha dichiarato che in questo periodo le band sono un po’ in declino. Cosa ne pensi?

APPINO: Le altre band, forse! Io l’esperienza da solista l’ho già fatta, nel 2013 con “Il testamento” e nel 2015 con “Grande raccordo animale”. È stato bello averla fatta, adesso non lo rifarei. Oggi noi Zen possiamo andare dove vogliamo, suonare quello che vogliamo, siamo liberi e da parte mia (come autore di canzoni) non c’è alcuna esigenza di uscire da tutto questo. Non è solo una delle cose più belle della mia vita, ma anche un gruppo di amici tra i più importanti che abbia mai avuto, una vera e propria famiglia. È vero che in Italia ci si innamora facilmente dei cantanti, dei solisti, e questo è anche il motivo per cui ci siamo divertiti tanto durante la nostra partecipazione al Festival di Sanremo del 2019, quando portammo il brano “L’amore è una dittatura”- In quanto band ci siamo divertiti da matti, perché tra noi c’è un certo tipo di ironia e di compagnia. Capisco il discorso di Francesco Bianconi, ma va riferito agli altri, non a noi.

A proposito del Festival di Sanremo: quell’esperienza che di sicuro ha fatto aumentare ulteriormente il numero dei vostri fan. La rifareste?

APPINO: Assolutamente sì, ci siamo divertiti tantissimo!
UFO: Io la rifarei domani, è stata un’esperienza molto arricchente. Per quanto riguarda l’aumento dei nostri fan, credo che sia avvenuto in maniera molto organica: non abbiamo portato un brano canonico, tipicamente sanremese. Il nostro era un pezzo molto complesso, senza ritornello e con una tematica profonda, una di quelle canzoni che non ti centuplicano gli ascolti da un giorno all’altro. I fan sono aumentati di una proporzione corretta. Se una persona ascolta un pezzo così in prima serata, gli interessa al punto tale che va a cercare anche altre cose della band, si è già messo in atto una sorta di filtro. Per quanto riguarda il Festival di Sanremo, ci interessava vivere quel tipo di esperienza, è stato bello, ci siamo trovati bene. È qualcosa di lontano dal nostro linguaggio, ma è anche vero che il format si sta progressivamente adattando ai gusti della popolazione, sta cambiando come è giusto che sia.

Un augurio per gli Zen Circus per il 2021…

APPINO e UFO: Tornare a fare concerti da urlo, nel più tipico stile Zen!